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Museo Archeologico di Calatia: Per l’Anno del Cibo Italiano", convegno “Campania pinguis: Storie di cibo tra archeologia e modernità”

L’ appuntamento di sicuro interesse per gli appassionati e cultori dello star bene a tavola, ma anche una giornata formativa per agli alunni dell'Istituto Alberghiero di Striano.

N.R. - 13,06.2018 - Si è tenuto, sabato 9 giugno, alle ore 17.00, il convegno “Campania pinguis: Storie di cibo tra archeologia e modernità”, organizzato dal Museo Archeologico di Calatia di Maddaloni in provincia di Caserta.

locandina Storie di cibo

L'iniziativa è uno dei numerosi appuntamenti programmati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che hanno dichiarato il 2018 Anno nazionale del cibo italiano.
Ha aperto i lavori Antonio Salerno, Direttore del Museo archeologico di Calatia; a seguire gli interventi dei funzionari del Polo Museale della Campania per descrivere come, nei secoli, sia cambiato l'approccio dei nostri antenati con il cibo.
Un convegno di sicuro interesse per gli appassionati e cultori dello star bene a tavola, ma in primis una giornata formativa per agli alunni dell'Istituto Alberghiero di Striano, in provincia di Napoli, che hanno partecipato all'iniziativa.

All'appuntamento presenti anche il presidente dell'Associazione degli Allevatori-Casari della provincia di Salerno ed il responsabile della comunicazione Tenuta Le lune del Vesuvio.

A seguire una degustazione di prodotti tipici campani, vini dell’Azienda Tenuta Le Lune del Vesuvio, formaggi dell’Associazione Allevatori Casari Salerno e prodotti da forno e dolciari dell’Azienda agricola Iannotta Antonio di Sant'Agata de' Goti. La degustazione è stata gestita dagli allievi dell’Istituto Alberghiero I.S. Striano – Poggiomarino

I CAVALIERI PERDUTI DEL MUSEO DI CAPUA

Flash di storia sulle lastre campane dipinte ad affresco: Il bombardamento del 1943, le opere perdute, la lastra campana copiata a mano da un disegnatore. Da una didascalia di Carlo Rescigno su facebook.

800px Palazzo antignano via roma .sede Museo CampanoL.P. - Nel #MuseoCampano, fondato dal Canonico Gabriele Iannelli nel 1870 ed inaugurato nel 1874, definito da Amedeo Maiuri “il più significativo della civiltà italica della Campania”, regione a cui Capua ha dato il nome. erano raccolte molte lastre dipinte ad affresco che provenivano dalla necropoli di Capua, databili tra il IV e il III secolo a.C.

In questo periodo, nella città campana, infatti, il compito di celebrare le famiglie più importanti nel momento del più tragico commiato era affidato ai racconti di cavalieri e dame.

800px Frammento di affresco di Epoca SannitaPurtroppo, il terribile bombardamento degli anglo-americani del 9 novembre 1943 non risparmiò il Museo Campano, con sede nel centro storico di Capua nel quattocentesco Palazzo Antignano in seguito ampliato fino a comprendere il settecentesco ex monastero della Concezione. e tutto ciò che non fu possibile portare al sicuro altrove, chiuso in casse di legno, andò perduto.

Questa sorte ebbero anche le pitture campane, di cui, oggi, sopravvive solo qualche sparuto frammento.

Cavaliere lastra dipinta del IV III sec. a. C. 117757500 163399498653248 6526993435358469755 oUna delle lastre più belle, per fortuna, prima di essere distrutta dalla esplosione, era stata copiata dalla mano di un disegnatore esperto, firma in calce G. Fiorentino, che la rifinì in tutti i suoi dettagli con il colore.

A distanza di secoli la storia dell’antico cavaliere campano ci raggiunge così per raccontarci del suo ritorno vittorioso dalla guerra e del suo orgoglio di cavaliere: sulla veste bianca ricamata indossa un cinturone di bronzo, insegna del suo ruolo, e porta ancora un corto mantello variopinto; ha il volto tinto di rosso in segno di vittoria e calza un elmo dal bel pennacchio; alla caviglia porta il pungolo per spronare il cavallo, che, bardato, procede al trotto.

Grazie a questo disegnatore, la voce del passato, che aveva superato tanti secoli, riemerge dalle macerie della guerra e ci racconta ancora di opere del Museo Campano che non esistono più.

MUGNANO DEL CARDINALE: CON LA VENDITA DEI FAGGI DI “VALLICELLA” SORGE LA CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

Dalla prefazione del libro di don Giovanni Picariello "Mugnano Cardinale nel Tempo".

copertina Mugnano del Cardinale nel tempo s l225Em.An. – agosto 2020 - Chiedere notizie sulla Madonna delle Grazie, soprattutto quando è la patrona del proprio paese è cosa abbastanza grave. Eppure il compianto sacerdote Giovanni Picariello, nonché storico locale di Mugnano del Cardinale, scomparso, recentemente, ha scritto un testo dal titolo "Mugnano Cardinale nel Tempo" - Banca di Roma- 1993. 

Avvalendosi di una sua prefazione, tra i vari interessanti argomenti, al capitolo VI, titolato "Le altre chiese di Mugnano", a pagina 84, si legge"Santa Maria delle Grazie - S Filomena......Avvenuta la surrettizia vendita, con veste di rimunità della Commenda di Mugnano allo stabilimento della SS. Annunziata di Napoli, fatta dal Cardinale Commendatario Ludovico d'Aragona nel dì 30 settembre 1515, di che a lungo parlammo nel capo IV, passò Mugnano nel dominio di Montevergine a quello dello stabilimento. Cominciarono allora i governatori di esso, ad opprimere il paese non solo nel civile con nuove tasse, ma ancora nel religioso, coll'abolizione del titolo di Parroco, sostituendovi quello di Rettore Curato, assottigliandone anche il canonico assegno, nonché le spese di culto per la Parrocchia, volendo ancora detto rettore, amovibile a loro cenno, e quello che fu più duro, ordinò di non potersi celebrare festa in detta Chiesa Parrocchiale senza espresso suo permesso, che da principio rilasciava gratuitamente, indi vi fissò delle tasse pecuniarie che pretese riscuotere prima della festività nell'accordarne la venia. Vi pure chi assicura aver saputo da' suoi antenati, che pretese poi ancora una tassa per ogni battesimo di bambino, che perciò non pochi Mugnanesi portarono i loro figli a battezzare in Quadrelle, dopo la erezione di quella Parrocchia, e ciò anche per esimersi da quel vassallaggio, qua reso troppo pesante”.

D. DAndrea La devozione della Madonna delle Grazie a Mgnano del Cardinale IPC9QTF3Questi avvenimenti insostenibili costrinsero i fedeli a prendere una precisa decisione:Indispettita la popolazione per tali e tante angarie, pensò di edificare a spese della Comunità, ossia il Comune, un’altra Chiesa in cui potesse onorare come e quando i santi, che ai cittadini piaceva a dispetto dei detti Amministratori, si volle edificare poco lontano dalla Parrocchia di loro giurisdizione. Ad eseguire il progettato disegno, già approvato dall’interno parlamento, oggi municipio, si vendette il legname della contrada detta anche oggi <VALLICELLA>, gremita allora di faggi annosi e di smisurata grandezza, quale contrada fin dall’ora non ben custodita, e zappata in diversi punti, nelle varie epoche, e sempre danneggiate dagli animali e da devastatori e rimasta infruttuosa pel comune, che inutilmente, da più secoli, vi paga i pesi governativi. Col denaro ricavato da tale vendita si cominciò la costruzione della chiesa, ma in qual giorno, mese ed anno, non abbiamo potuto trovare, non solo le notizie, ma nemmeno un brevissimo cenno. Si può stabile però che ai tempi della <simoniaca” vendita del d’Aragona”, avvenuta il 30 settembre 1515, certamente non doveva esistere la chiesa di S. Maria delle Grazie, altrimenti sarebbe stata compresa nella vendita come tutte le altre cose nostre. Solo il dotto guadagni ce ne dà la descrizione, come la vide nel tempo in cui compose la rarissima sua <storia>, nel 1685 circa, come attesta questa stessa. Si rileva allora da ciò che nel 1515 non esisteva; nel 1615 poi era tutta completa; dunque la detta Chiesa dovette essere costruita circa il 1600”.

maio mugnano11Questa in breve la storia, anche se don Giovanni evidenzia anche altre cose importanti riguardanti le dimensione, la gestione di Mons. Luigi Esposito da Faibano di Marigliano, venuto nel paese di Santa Filomena come Rettore, di cui ne parla in un suo testo un altro scrittore di Storia Patria, il prof. Domenico D’Andrea, ed altri avvenimenti.   

Certamente dal racconto emerge, forse tutti l’avranno capito, ancora una volta, che la Festa del Maio è importante, tanto che lo dice anche un canto d’amore durante il lavoro in montagna, vale a dire “Due cuori e una capanna” e al montanaro bastano “l’amore e l’èvere a ‘dderòsa” … ma bisogna superare l’ostacolo della mamma: 

Muntagnà si me vuò ‘bbène

Nun ce sèrve ‘o liètto ‘e spòsa

‘ncopp’a lèvere a ‘dderosa

Quànn’è ‘bbèllo stà cu tè

Làscia a màmmeta e viène cu mè.

RESTAURATA IN SICILIA UNA STATUA DI SAN PAOLINO DI NOLA

La statua, che risale al 1600, è di ignoto scultore. Servizio di Antonio Fusco.

Particolare prima del restauro 1Agosto 2020 - Nella nostra pubblicazione del 2004 intitolata “Il culto di San Paolino di Nola in Sicilia”, segnalammo Palermo ed altre quattordici località in cui è presente la venerazione del Santo Nolano, considerato nell’isola il protettore dei campanari e di tutti gli operatori agricoli. Nelle varie cittadine, in cui è presente la devozione, come da calendario è ricordato il 22 di giugno, e la ricorrenza è festeggiata con messe solenni, processioni, bande musicali, fuochi d’artificio ed altre manifestazioni anche folcloristiche. A Lui sono dedicate chiese e singoli altari, in cui è raffigurato in dipinti e statue con immagini simboliche che richiamano le attività agricole. Oltre ai comuni segnalati nella pubblicazione del 2004, abbiamo individuato successivamente altri siti paoliniani, quali Caltanisetta (1) e Carini (2).

Particolare prima del restauro 3Di recente sono stato informato da studiosi siciliani che in una chiesa dell’isola è stata restaurata una statua lignea, raffigurante S. Paolino di Nola, risalente al 1600, di ignoto scultore. L’opera, fu realizzata in legno scolpito ricavato dalla giunzione di vari pezzi, assemblati con colla e cerniere di metallo.

Il Santo è raffigurato in abiti pontificali intarsiati in oro con motivi naturalistici, col mantello e il capo coperto dalla mitria. E’ nell’atto di benedire con la mano destra mentre con la sinistra regge il bastone pastorale. La statua, posizionata su una base di legno aggiunta in epoca posteriore, si presentava piena di polvere e cera delle candele. Nell’insieme era completamente annerita a causa delle ossidazioni delle vernici finali che coprivano l’intera superficie Statua dopo il restauro 1dipinta, impedendone un’agevole leggibilità del primitivo cromatismo. Dalla presenza di alcuni tasselli stratigrafici e di lacune si rilevò che non c’erano state ridipinture e che sopra la base lignea era presente uno strato sottilissimo di gesso coperto dalla pellicola pittorica, oltre a marcate fessurazioni con andamento verticale che attraversavano l’intera figura.

Furono riscontrati anche cadute e sollevamenti concentrati maggiormente nella zona inferiore anteriore e posteriore dell’abito e del mantello. Il copricapo della statua aveva una grossa lesione al centro nella parte posteriore. Un po’ su tutta l’opera, e principalmente sul volto, apparivano creature. Nella parte inferiore dell’intera circonferenza si mostravano molti fori dovuti all’attacco erosivo di insetti xilofagi. Oggi, grazie agli interventi di restauro quali pulitura, disinfestazione, risanamento strutturale, ricostruzione delle parti mancanti, stuccatura, reintegrazione pittorica, doratura, e verniciatura finale, la statua ha riacquistato il suo originario splendore aureo e la pregevole estetica.

1 - Cfr. Bassairpinia.it del 27/02/ 2018 – Il Cazziblog del 09 / 03 / 2018.

2 - Cfr. “l’Impegno”, anno XXVIII, n. 3, maggio – giugno 2008.

RISORGIMENTO, UN MARTIRE DELLA LIBERTA’: IL CARBONARO AVELLANO NICOLA LUCIANO

Nella prima parte le vicende dallo scoppio dei Moti Carbonari del 1820 alla condanna del Sergente-Maggiore di cavalleria del re ad anni venti di ferri, da scontare nell’isola di Favignana.

 

1 16 e1593536540307IL RAPPORTO (1): “Rapporto a De Concilj della deliberata diserzione da Nola - Avella il 1° luglio 1820

Signor Tenente, mi affretto parteciparvi che questa mattina il sotto-uffiziale del distaccamento qui stazionato del reggimento Borbone cavalleria, è venuto ben tre volte in mia casa, insistendomi che mi fossi con sollecitudine portato in Nola per un affare che non ammetteva dilazione.

Veggendo abbastanza dei suoi detti di che mai si trattasse, non ho esitato un momento a recarmi colà. Mi sono abboccato col tenente Silvati e col sergente-maggiore Altomare, i quali mi hanno comunicato la risoluzione presa di muoversi col reggimento nella prossima notte in unione di parecchi paesani. I medesimi perciò mi hanno premurato a disporre i miei e quanti più avessi potuto del circondario, per attendere la loro mossa e la loro venuta alle cinque e mezzo di notte, e che frattanto mi fossi portato costà per recarne a voi l’avviso. Io non ho creduto di potermi muovere un solo momento da qui in questa circostanza, e credo anzi che la mia persona sia necessaria; vi scrivo perciò, e colla presente vi metto a giorno di tutto. Io non solamente già ho disposto i miei paesani, ma insieme anche ho inviato il sergente dei militi Stefano Maietta a recarne l’avviso pel circondario, ed ho spedito un corriere in S. Maria per avvisarne i signori Maietta, i quali essendo colà relegati per opinione, correranno certamente alla difesa della causa comune. Voglio sperare che se voi secondate un tal movimento sarà tutto per riuscire felice, e che l’aurora di domani sarà quella della nostra rigenerazione politica.

Nicola Luciano”. 

Il personaggio che firma la lettera è il patriota avellano, nato ad Avella, il 28 gennaio 1786 da don Francesco e Donna Cecilia d’Anna; morto il 23 aprile 1859, celibe e domiciliato nella strada detta S. Giovanni della Collegiata.

 

ap22 001LA CRONACA (2): Ad Avella vi erano i Calderai ed Carbonari, i primi erano capeggiati da Don Giuseppe Barba, a cui era affiliata tutta la famiglia, mentre ai secondi apparteneva Don Francesco Majetta, Capitano dei militi provinciali.

Queste due famiglie, per lotte sanguinose, nelle quali non vennero risparmiati nemmeno i domestici, furono allontanate da Avella; infatti i Barba furono destinati a Caserta, i Majetta a S. Maria Capua Vetere.

I Majetta tornarono in paese allo scoppio della rivoluzione ed insieme agli altri Carbonari accusarono i Barba di trasporto di armi, di tramare contro il governo e chiesero che fossero relegati in un’isola; ma quando nel 1821 cadde il governo costituzionale e le truppe austriache tornarono nel Regno, Don Giuseppe Barba, il 6 giugno, era già sindaco e allora per i Carbonari cominciarono tempi duri, con arresti, processi e condanne. Don Francesco Majetta morì il 15 gennaio 1850, nella sua casa alla “Contrada S. Giovanni”.

 

copertinoa pubblicazione per il 150enario img011NICOLA LUCIANO: In questa lotta politica si inserì proprio il fervente liberale Don Nicola Luciano, che divenne il capo incontrastato dei Carbonari avellani e mandamentali.

Studiò nel Seminario di Nola e poi legge a Napoli, ma non si sa se si laureò; militò nel corpo dei corazzieri a cavallo e divenne Sergente-Maggiore di cavalleria del re, col grado di maresciallo, ma, perché di sentimenti rivoluzionari, si dimise.

Nel 1817, infatti, era ad Avella, dove lavorava a diffondere la Carboneria e ad incoraggiare gli affiliati e, quindi, si scontrò ben presto con la famiglia Barba.

Successivamente, fu obbligato a risiedere in Capua sotto sorveglianza, da dove ritornò il 16 giugno 1819, dopo sedici mesi, e ripigliò le file delle interrotte trame e si tenne in contatto con il Minichini e con gli altri Carbonari del Circondario; stabilì contatti con Bianchi e Preziosi di Mercogliano e strinse rapporti con De Concjli di Avellino, testimonianza attestata dalla lettera-rapporto.

Ma il contributo del Luciano non si limitò alla preparazione dei Moti, ed infatti guidò anche una colonna di 400 avellani sulla linea del Ponte di Schiava per fronteggiare le truppe del Generale Carrascosa.

Eletto Sindaco al posto di Don Arcangelo Niola, fece inalberare, sulla torre civica, il vessillo tricolore carbonaro; resse il Comune fino alla caduta del Governo Costituzionale e i suoi avversari lo accusarono di aver dilapidato il patrimonio comunale, di fare beneficenza e di aver imposto una tassa “ingiusta e capricciosa”. Però, dovettero riconoscere che non aveva commesso abusi col bastonare i cittadini, come avevano fatto altri Carbonari, e fu lodato perché, quando entrarono gli austriaci nel Regno, aveva mantenuto l’ordine pubblico.

Venne arrestato il 2 maggio “nella piazza di Avella” da un piccolo numero di gendarmi e da guardie rurali del Comune di Nola, in seguito a precise indicazioni ricevute dal su menzionato Giuseppe Barba.

Fu giudicato dalla Gran Corte Speciale di Napoli con sentenza del 20 Agosto 1825 e, ritenuto responsabile del delitto di lesa Maestà, fu condannato alla pena dell’ergastolo, ridotta poi ad anni venti di ferri, pena da scontare nell’isola di Favignana, da dove fu liberato per effetto dell’atto sovrano del 18/12/1830.

Dopo un anno fu coinvolto in un'altra congiura, ma si sottrasse alla cattura, rendendosi latitante. (...continua...)

 

1- La Storia della rivoluzione di Napoli entrante il luglio 1820 - Biagio Gamboa.

2- La guerra tra i Barba e i Majetta - La Voce della Bassa Irpinia del 1° Maggio 1985 - avv. Pasquale Perna.

3 - Archivio Storico di Nicola Montanile - Albo pubblicato nella ricorrenza del 1° Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, Editrice L’Arca, Maggio 2011