Arienzo nel ‘400: Matrimonio di Giovannella Stendardo
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08 Giu 2019
- Scritto da Anita Capasso
Un salto nel passato per raccontare una bellissima storia d'amore e per immergersi nel medioevo.
Anita Capasso - 08 giu 2019 - Cosa avveniva ad Arienzo nel 400? Il matrimonio di Giovannella Stendardo, in diretta sul Tg regionale di oggi, diretto da Antonello Perillo, ha raccontato una bellissima storia d'amore del Quattrocento meridionale.
Dal 6 al 9 giugno visitare Arienzo è come fare un salto nel passato: danze medievali, cibi e ricette medievali, giochi e sfilate in abiti d'epoca. L' occasione è offerta dalla riproposizione del matrimonio di Giovannella Stendardo. L'anteprima è avvenuta giovedì 6 Giugno con l’annuncio della festa, la presentazione delle contrade e l’inaugurazione delle osterie.
Venerdì i bambini hanno partecipato alla Giostra degli Infanti, giochi medievali realizzati per le vie della Terra Murata, in collaborazione con l’Istituto comprensivo Galilei. Sabato 8 Giugno, a partire dalle 10.00, escursione sul castello di Arienzo; alle 16.00 le dieci contrade partecipano alla corsa dell’oste. La contrada vincitrice vedrà affisso il proprio vessillo davanti al Comune per tutto l’anno e i piatti migliori comporranno il banchetto nuziale. Si arriva così al gran giorno della festa. Domenica 9 Giugno: alle ore 19.00 verrà rievocato il matrimonio attraverso figuranti in abiti d’epoca che sfileranno per il centro di Arienzo fino a piazza Lettieri.
Ci sarà anche il Mariglianese, Giovanni Villano, storico e meridionalista, in scena. Lungo il percorso, si svolgeranno performance ed eventi con modalità e funzioni del medioevo. I visitatori potranno cimentarsi in danze medievali, assaggiare cibi e ricette medievali, concedersi una visita al centro storico.
Tutte le sere, il pubblico sarà guidato lungo un percorso artistico alla scoperta di Giovannella e la passeggiata si concluderà con concerti di musica medievale, racconti e suggestioni nell’antico chiostro di S. Agostino.
Schiava di Tufino: Scomparsa del cav. Eugenio Alibrandi
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08 Mag 2019
- Scritto da Gianni Amodeo
Gianni Amodeo – 03.05.2019 - Con la scomparsa del cavaliere Eugenio Alibrandi, “Don” Eugenio, se ne va un’altra operosa presenza e testimonianza di quella piccola e media imprenditoria che ha costituito per larga parte del ‘900 il polo conserviero dell’agro-alimentare nell’area del Baianese e dell’Alto Clanio e nell’area nolana sull’asse Tufino–Cicciano, soprattutto sul versante della lavorazione e solforazione delle ciliegie con importante export verso gli Stati Uniti d’America e i Paesi anglosassoni. Una rilevante realtà economica e produttiva ben integrata sul territorio ed articolata in circa venti, tra stabilimenti ed opifici a conduzione famigliare; stabilimenti ed opifici, di cui il lavoro delle donne era la forza propulsiva, toccando stabilmente la soglia di oltre due mila lavoratrici impegnate nei periodi stagionali di maggiore domanda dei mercati; forza propulsiva coordinata con la capacità sia di organizzazione che di “lettura” degli imprenditori sull’andamento del mercato estero. Un processo, in cui esercitava un ruolo notevole l’indotto degli addetti al trasporto su gomma per fare scalo nel porto di Napoli, per non dire dei Maestri - bottai.
“Don” Eugenio, nasce a Messina, il 12 gennaio del 1930, da Giovanni e Sara Patanè. Nel ’50 da Riposto, in provincia di Catania, dove risiedeva, la famiglia si trasferisce ad Avella, nella frazione Purgatorio, dando impulso all’attività imprenditoriale per la lavorazione e il trattamento di solforazione delle ciliegie che si esportano nei caratteristici fusti di legno, che garantiscono l’ottima conservazione del prodotto. “Don” Eugenio e il fratello Antonio, scomparso qualche anno fa, assunsero ben presto le redini dell’azienda famigliare, a cui sul finire degli anni ’60 conferirono una nuova e meglio strutturata dimensione produttiva, realizzando lo stabilimento di via Carmignano, attuale via Carlo III, nelle vicinanze del Ponte di ferro della Circumvesuviana, la porta d’accesso dalla Nazionale delle Puglie ad Avella. Un investimento importante per realizzare una moderna ed efficiente struttura su progettazione del geometra Romeo Lieto che diresse l’esecuzione dei lavori. Nasceva lo stabilimento industriale dei fratelli Eugenio e Antonio Alibrandi che ha assicurato continuità di lavoro e produzione per il fiorente ciclo che, però, si è venuto esaurendo negli anni ’90, quando è arrivata la crisi di mercato irreversibile che ha colpito il settore, fino alla dolorosa dismissione dell’attività. Un colpo duro, che non privò “Don”Eugenio, né il fratello Antonio della stile di vita che era loro connaturato, riservando sostegno e prodigalità verso le lavoratrici e i lavoratori dell’azienda. “Don” Eugenio nutriva una forte sensibilità religiosa e di umana cristianità, segnata dalla frequentazione domenicale del Santuario della Madonna del Carpinello, a Visciano.
Affabilità e gentilezza d’animo erano davvero i tratti distintivi di “Don” Eugenio, che era solito dividere il tempo libero, soprattutto nelle mattinate domenicali degli anni ’60 e ‘70, con gli amici, a Baiano, frequentando la sede dell’ufficio assicurativo gestito da “Don” Agostino Grassi in corso Garibaldi, prospiciente l’attuale sede del Baiano calcio, e, sempre in corso Garibaldi, il Salone di “Don” Pellegrino Litto, barbiere raffinato e almanacco parlante e prodigiosa memoria dell’intero panorama calcio dilettantistico della Campania. E quello di “Don” Pellegrino Litto è stato il Salone-Agorà strapaesano in cui tenevano banco, con qualche spruzzata di politica locale, il calcio di serie A, il Napoli, il Baiano, neanche a dirlo, fino al ciclo chiuso con Osvaldo Bruno, il romano di forte tempra e tecnica di gioco briosa che era vissuto fino all’adolescenza ad Alessandria d’Egitto, ineguagliato e ineguagliabile bomber dei “granata”, dotato di dribbling stretto e ubriacante, con tiro di collo piede al fulmicotone. Di certo, meritevole di “militare” in squadre professionistiche.
“Don” Eugenio aveva sposato nel ’58, Emilia, figlia di Tommasina, sorella di Silvino Foglia, capitano e roccioso centro-mediano metodista del Baiano del dopo-guerra.
Alla moglie Emilia, alle figlie Rosaria, dottoressa commercialista con Studio professionale a Milano, Tommasina, architetto e docente negli Istituti statali, ai congiunti tutti giungano i sentimenti di cordoglio della redazione.
NOTARELLE STORICHE SU CICCIANO - 1
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17 Mar 2019
- Scritto da Nicola Montanile
Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti ….trovo un testo di Umberto Sammarco sullo stemma e un documento dell’Archivio di Stato di Napoli sul Catasto della Terra, Seu Castello di Cicciano tratto dall’Onciario del 1746.
Nicola Montanile – marzo 2019 - Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti, balza agli occhi un interessante testo di 24 pagine, con copertina grigia dal titolo "PER LO STEMMA DI CICCIANO", il cui autore è un certo Umberto Sammarco. - MICHELE CARUSO - CASALNUOVO Di NAPOLI - 1934 - XII.
Il testo che sull'antepagina presenta le stesse indicazioni, nel retro di essa, non è numerata, ma si capisce che è pagina 2 - anche perché si evince che tutti i retro non sono numerati - in basso si legge anche "Tip. NAPPA - Via Giovanni Palladino, 51, (Università Vecchia) - Napoli", Dalla pagina tre, in cui si nota lo stemma, si inizia col parlare della storia del paese e delle varie supposizioni tra cui "L'attuale stemma del Comune di Cicciano rappresenta nel centro di uno scudo ovale e senza fregio, una mammella su cui si posa, come in atto di carezzarla, una mano che si protende dal lato sinistro della corona; ma la parte inferiore della figura è costituita da una doppia sbarra o, come alcuni interpretano, da un doppio ponte, sostenuto da un pilastro. Intorno corre la scritta: Universitas Castri Cicciani", anche se, secondo l'autore, dovrebbe essere "Castri Cicciani Universitas" e a pagina 15 sono messi in risalto i due stemma, ovvero l'attuale e l'originale.
Ma tralasciando le disquisizioni, riguardanti lo stemma ed il nome del paese, nel testo vi è una pagina, che tratta di "DOCUMENTI", di uno dei quali si riporta il contenuto, integralmente:
Il DOCUMENTO 1 così recita: "ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI - ATTI PRELIMINARI N: 931 - Vol. 3 - Istanze e documenti Volumetti N. 2 - Apprezzo - Squarciafogli dell'apprezzo - Libro di Tassa".
L'attenzione si posa più sul DOCUMENTO 2, ovvero: "ARCHIVIO DI STATO - NAPOLI --CICCIANO - ONCIARIO DELL'ANNO 1746 - N. 935 - Catasto della Terra, Seu Castello di Cicciano - D. O. M."
Ma ecco il contenuto: "La terra, seu Castello di Cicciano, che nella nostra Campagna Felice trovasi situata tra il piano, e il piede del Monte del Castello di Rocca Raynola, lungi da circa un miglio e mezzo dal Venerando Santuario e Terra di Cimitile, e dai circa due dall'antichissima Nola, che per la salubrità dell'Aere sotto piacevolissima Clima, per l'umanità dei giardini, e Fertilità dei Campi, lunga, e sana Vita agli abitatori conserva, più Forestieri, ha indotti a possedervi beni, e non pochi Coloni a sudare nel suo Territorio: Non invidiosa agli Edifici, dà l'abitazione a 1840 Anime, di animi, se non piena, mediocremente ornati di doti Morali. Termina il suo Confine colle pertinenze di Faibano, Campasano, Resigliano, Rocca Raynola, Cimitile, Nola, ed altri. E viene posseduta nella Giurisdizione secolare dell'Illustre Barone Fabrizio Testa-ferrata di fuori Regno, e nella Ecclesiastica dalla Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano il Maltese, e per essa dall'Ill.mo Frà Don Giuseppe Maria Cicinelli commendatore. Al presente retta e governata da Luigi Vitale e Domenico Taliento Eletti che da sano consiglio drizzati, quanto ossequiosi Venatori, tanto esattissimi esecutori degli ordini Reali emanati dal Re N. S. (Dio G. di) per la formazione del presente Catasto, avendo me sott. Gio Tomaso d'Amato assunto per Cancell. e coll'assistenza ed intervento delli Mei Dr. Fis. Michele Vitale, Onofrio del Campo Carmine, e Nicola di Luca Giuseppe d'Avanzio e Carlo Capoluongo cittadini per deputati in pubblico Parlamento Eletti han dato fine ad esso per la maggior Gloria del Sommo Motore, pronta obbedienza del nro Regnante, e suoi Ministri, ed utile del Comun Pubblico oggi 27 Agosto 1746
D. Fr. sco Michele Vitale deputato f.f
Onofrio del Campo dp.to.
Carmine de Luca deputato
Nicola de Luca deputato
*Segno di Croce di Giuseppe d'Avanzio dep.to S. N.
*Segno di Croce di Carlo Capoluongo dep. S. N.
Domenico Taliento Eletto
Aloisi Vitale Eletto
Not.r Gio: Tomaso d'Amato Calcell. e f.f.".
TRAFORO DEL PARTENIO: DALLA LOTTA PER L'ATTRIBUZIONE TERRITORIALE AL COLLEGAMENTO CON LA VALLE CAUDINA
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06 Apr 2019
- Scritto da Em. An.
Già negli anni settanta (1971), fu Domenico Biancardi, zio dell’attuale sindaco di Avella, a lanciare l’idea del traforo, rilanciata, negli anni '80 e precisamente nel 1981, da un bicolore PSI - PCI, con sindaco il socialista dottore Benito Sepe, eletto presidente della Provincia nel 1988.
Si rinnova anche un’antica tradizione legata al santuario della Madonna della Stella, eretto sui Monti Avella.
Em. An. – 31.03.2019 - Brillante è l'idea del traforo del Partenio per il collegamento della Valle Caudina con la città capoluogo, mediante il comprensorio avellano -
Baianese; a lanciarla è stato il sindaco avellano, avv. Domenico Biancardi, nonché presidente della Comunità Montana Partenio- Baianese e Vallo di Lauro e neo presidente della Provincia.
Le idee, quindi, si rinnovano, considerando che, negli anni settanta (1971), fu lo zio, allora primo cittadino, medico di nome anche lui Domenico, a cui oggi, è dedicato il teatro di piazza Convento, a lanciare la proposta, rilanciata, negli anni '80 e precisamente 1981, da un bicolore PSI - PCI, con sindaco il socialista dottore Benito Sepe, tra l'altro, eletto presidente della Provincia nel 1988.
Certo sono passati circa quarantanove anni e molte cose sono cambiate, per cui la realizzazione del progetto troverà grosse difficoltà, per essere attuato, per la presenza di nuovi enti e associazioni.
A prescindere da quello che succederà, ironia della sorte, si passerà dalla lotta per l'attribuzione territoriale al collegamento ed ecco perché.
Un’antica tradizione si rinnova, all’alba della Domenica di Pasqua, nel Santuario della Madonna della Stella: lo sparo in alto dei sacri archibugi.
Un rito che avviene a Rotondi ma che coinvolge, direttamente, Avella e gli avellani, per un fattaccio accaduto nel 1300, quando si era in piena lotta iconoclastica.
Narra la leggenda che sui Monti avellani, boscaioli rotondesi videro l’immagine della Vergine, su menzionata, con una stella in capo e per questo motivo innalzarono un tabernacolo ai confini dei due paesi.
Ne scaturì una disputa, fra le parti, per l’attribuzione territoriale dell’apparizione e per il possesso della statua, per cui, una notte, alcuni avellani tentarono di rubare la scultura per portarla nel proprio territorio.
Se ne accorse l’eremita che aveva in consegna il Santuario e subito diede l’allarme, facendo risuonare per la vallata i rintocchi della campana. Allora i cittadini di Rotondi si armarono di archibugi, tridenti e bastoni ed inseguirono e misero in fuga i profanatori, i quali, per scappare, lasciarono la statua sul fondo di un burrone, che restò deturpata per la frantumazione degli arti.
Certamente fu un grande affronto dei confinanti ed una vera e propria profanazione, perché, secondo essi, non essendoci più la Madonna a proteggerli, sicuramente, sarebbero andati incontro a brutti periodi, caratterizzati da pestilenze, malattie ed altre sciagure, per la qual ragione, con sacrifici, abbellirono il Santuario e diedero vita ad una immagine scultorea nuova e più bella e non contenti si
rivolsero al Papa Benedetto XIII, per ottenere il permesso di collocare la statua deturpata nella Chiesa della SS. Annunziata; e così, ogni anno, tra fede e tradizione, dopo una nottata di veglia, passata all’addiaccio, sul piazzale del Santuario si snoda la processione, accompagnata dagli spari degli archibugi.
Ancora un fatto di forte fede che vede protagonisti, però, sempre, in negativo, gli avellani, perché si dice, pure, che, approfittando della sosta forzata, in quanto durante una processione venne a piovere, rubarono la statua di S. Sebastiano agli speronesi ed, inoltre, alla vigilia di Natale, nella sagrestia della Chiesa di S. Pietro, un cittadino del quartiere di Sperone, uccise un Vescovo ed è per questo motivo che Avella abbia perso la sede di Vescovado, anche se le ragioni ed i motivi storici furono ben altri.
Comunque, il primo cittadino avellano già, nella mattinata del 18 febbraio, si è recato presso la Regione Campania, per un incontro con il presidente della Commissione Trasporti: motivazione dare vita ad un protocollo d'intesa per l'attuazione del progetto del traforo.
IL CULTO ARBOREO NEL COMPRENSORIO AVELLANO-BAIANESE
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20 Feb 2019
- Scritto da Nicola Montanile
Il rito nella storia lungo la Nazionale delle Puglie. I riti arborei e le ierofanie legati all’albero.
Nicola Montanile - 19 febbraio 2019 - Si concluderà, nel comprensorio avellano baianese, la festa del Maio, il 20 febbraio, nel piccolo e attivo centro basso irpino di Sperone, per il patrono Sant'Elia, la cui “prima” è iniziata il 30 novembre, a Sirignano per Sant'Andrea, continuata, a Baiano il 25 dicembre, in onore del santo patrono, il protomartire Santo Stefano,
La kermesse si è svolta, poi, nel mese di gennaio, e precisamente il 10 a Mugnano del Cardinale per Santa Filomena, per poi passare a Quadrelle il 17 per Sant'Antuono e arrivando ad Avella il 20, questa volta con il protettore San Sebastiano.
Da sottolineare che soltanto per due centri: Mugnano del Cardinale e Quadrelle, la celebrazione non è per i santi protettori, in quanto, per il primo, caro a Santa Filomena, è la Madonna delle Grazie, mentre per il secondo, San Giovanni Battista.
Comunque il culto, iniziato in Alta Irpinia, con connotazioni diverse - e si parla del Carro di Fontanarosa, in onore della patrona Assunzione della Beata Maria Vergine Santa Maria della Misericordia; del Carro o Obelisco di Paglia, alto 25 metri, di Mirabella Eclano, per Maria SS. Addolorata e del Giglio di Flumeri, il cosiddetto Giglio di Spighe di S. Rocco del 15 agosto - si snoda su tutta la Nazionale delle Puglie, prendendo a Nola, il nome dei Gigli, per terminare a Barra, nel mare, poiché, secondo alcune delle leggende, San Paolino offrì la propria vita agli Arabi, in cambio di quelle di una vedova e del suo figlioletto.
Indubbiamente, il tutto lo s'inquadra nel culto arboreo e le ierofanie, che sono le manifestazioni del sacro attraverso il profano; e, prendendo in esame le vegetali, esse vengono classificate in questo modo: un tipo individuato di albero (il noce), un frutto (il limone), il fiore in senso lato e l'albero in senso lato.
Nel campo magico tutti ricordano la leggenda delle streghe nell'area del beneventano che si riunivano, intorno ad un albero sacro, un noce; un albero che sta tra il religioso e il magico, il sacro e il profano.
"In questa dimensione - si legge nel libro "Entro i relitti dell'ambiguo, a cura del prof. Franco Salerno" - si colloca infatti il famoso rito della <Cinghiatura dei noci>. Il 24 giugno si celebra la festività di san Giovanni Battista, patrono di Roccarainola; (NDA anche di Quadrelle) nell'ambito di questa festività si effettua tutt'ora (anche se con minore frequenza di una volta) la
<cinghiatura dei noci>. Nella notte del 23 tutti i tronchi dei noci vengono cinti, legati (questo tema del 'legamento' ritornerà nel culto popolare di un altro santo, Sant'Antonio Abate) da rametti di salice o di pioppo, per proteggerli da caduta prematura delle noci. La genesi di questo rito viene riferita alla decapitazione del Battista avvenuta per un capriccio di Solomè, su istigazione della madre Erodiade".
Il testo presenta una sottotitolo "Misteri e Furori nelle Feste e nei Culti popolari del <mondo magico> campano dal 1500 ad oggi"; si tratta l'argomento nel capitolo terzo "L'Universo delle ierofanie nel Nolano, nel Vallo di Lauro e nel Baianese" ed è stato impresso nel mese di maggio 1984 presso le Arti Grafiche Palumbo & Esposito Cava dei Tirreni (Salerno) e scaturisce da un lavoro di una serie di ricerche, fatte da un gruppo di studenti della IA C del Liceo Scientifico "E. Medi" di Cicciano.
L'interessante lavoro sulle nostre radici ci informa, altresì, "Un'altra interpretazione, invece, collega la <scarmatura> delle noci (cioè la caduta precoci delle noci) ad un essere mostruoso, tipo un grosso serpente o un drago (ritorna la presenza del serpente, che abbiamo già evidenziato nel quarto paragrafo del secondo capitolo): esso appare solo alla vigilia di san Giovanni Battista. Secondo gli anziani, nel mostro si incarnerebbe per una maledizione lo spirito di colei che fece decapitare il Santo; perciò ai giovani e alle fanciulle veniva raccomandato di non avventurarsi per i campi durante la vigilia di san Giovanni".
Ma i giovani discenti, forse, oggi, docenti o professionisti, narrano anche di "Un'altra leggenda fra religioso e magico, sempre in riferimento al noce, è quella di san Barbato e del <noce incantato> con la quale ritorniamo nell'area del Beneventano. Si racconta infatti che san Barbato abbatté a colpi di scure il <noce incantato> e lo seppellì in una fossa. Ma dalle radici balzò fuori un demonio gigantesco (ritorna sotto forma cattolica il tema dell'<essere mostruoso> presente nella <cinghiatura dei noci> tanto
spaventoso a vedersi che tutti scapparono, tranne san Barbato. Il demonio aveva avuto il tempo di far spuntare dal terreno un nuovo noce alto e verde come quello che san Barbato aveva abbattuto, intorno al quale continuavano a riunirsi diavoli, streghe e <arcifanare>, cioè le streghe possedute da diavoli. In tutta questa serie di credenze
collegate al noce un elemento senz'altro è in comune: la dialettica vita/Morte. Infatti: - la decapitazione del Battista è un evento a - temporale (di Morte) che serve a proteggere contro una <morte> precoce delle noci; - il risorgere continuo del <noce incantato> introduce il tema dell'albero come simbolo della vita...".
Alla fine, i giovanotti chiudono con M. Eliade, op.cit. p.275, che dice "L'albero rappresenta - in modo sia rituale sia concreto sia mitico e cosmologico e anche puramente simbolico - il Cosmo vivente, che si rigenera senza interruzione".
Un prosit, quindi, agli allora giovani studenti nelle persone di Letizia Cafarelli e Adele Lombardi, che trattarono proprio la "cinghiatura", nonché Ida Bifulco, Alessandra Miani, Nunzia Pierno, Paolino Castaldo, Enrico Fedele, Aniello Laudanno, Giovanni Russo, Luigia D'Angelo, Giuseppe Buonaiuto, Pierluigi Romano e ovviamente al coordinatore, magnifico prof. Franco Salerno.
Foto - 1. Maio; 2. Carro di Fontanarosa; 3. Obelisco di paglia di Mirabella Eclano; 4. Giglio di grano di Flumeri; 5. Maio di Sirignano; 6. Maio di Baiano; 7. Maio di Mugnano dl Cardinale; 8. Maio di Quadrelle; 9. Maio di Avella; 10. Maio di Sperone; 11. copertina "libro "Entro i relitti dell'ambiguo"; 12.Janare intorno al Noce di Benevento; 13. S. Giovanni Battista e la cinghiatura del noce.