da Lucio Garofalo – 04.10.2015 - Vignetta: Fonte internet
Il mondo della scuola pubblica è sotto attacco da almeno una quindicina di anni, se non più. Da quando, nel 1998 (in carica c'era un governo di "centro- sinistra" presieduto da Romano Prodi ed il ministro della Pubblica Istruzione era Luigi Berlinguer) fu istituita la famigerata "autonomia scolastica", in particolare l'autonomia tecnico-finanziaria ed amministrativa, che ha inferto tagli notevoli al budget economico delle scuole, in quanto ha permesso al governo centrale di intraprendere una politica di disinvestimenti a discapito delle scuole pubbliche, ormai definite "autonome", ossia abbandonate di fatto a sé stesse. Nel contempo, i soldi sono stati dirottati altrove, cioè nel settore privato.
L'ultima riforma virtuosa ed apprezzabile che io ricordi, risale all'introduzione dei "moduli didattico-organizzativi" nella scuola ex elementare (primaria). Fu varata nel 1990 e reca la firma dell'allora ministro dell'istruzione, l'attuale presidente della Repubblica. Si trattava di una riforma ispirata da una visione pedagogica seria e credibile, pluralista e democratica. Inoltre, anziché tagliare, prevedeva investimenti e creava anche nuovi posti di lavoro: il "modulo didattico" era una soluzione organizzativa formata da tre insegnanti dotati di pari dignità e titolarità (vale a dire che non esisteva una gerarchia tra un collega di serie A ed uno di serie minore) che ruotavano su due classi.
Questo era il nucleo organizzativo base, il più diffuso, ma io ho lavorato (bene) anche in moduli "anomali" composti da più di tre/quattro docenti su tre classi. Insomma, il modulo aboliva e superava la scuola del maestro unico ed introduceva nella scuola elementare una pluralità di figure didattiche,le quali offrivano esempi comportamentali e modelli socio-educativi vari e diversi. Il che abituava gli alunni ad una coesistenza con le differenze culturali. E non mi pare una novità da poco.
Per almeno diciassette anni quella riforma funzionò a meraviglia, ma nel 2008 venne la Gelmini ed eliminò i moduli, restaurando la figura del maestro unico o, meglio, una figura didattica prevalente, per ragioni di mera ragioneria aziendale e non pedagogiche.
Infine, la legge 107/2015, varata dal governo in carica, sta per infliggere la mazzata finale a quella che un tempo era la migliore scuola elementare del mondo, ovvero una delle migliori.
Servizio e foto di Antonio Caccavale
Cicciano – 06.10.2015 - Sono passati sedici anni. Sedici anni di attese, di problemi che hanno riguardato quella struttura fatta, all'epoca, solo di pilastri e di solai e che, originariamente, era destinata a diventare un edificio scolastico per le scuole primarie, come da iniziale progetto legato ai fondi della legge Falcucci. Ce n'è voluto di tempo per venire a capo di controversie tra il Comune di Cicciano e i proprietari dei terreni su cui quella struttura stava nascendo, tra il Comune e la ditta che aveva eseguito i lavori: alla fine, sedici anni dopo, (a conclusione di un percorso iniziato ai tempi in cui dirigente scolastico dell'IPSAR "C. RUSSO" di Cicciano era la prof.ssa Amelia La Rocca, quando sindaco di Cicciano era il dott. Rosario Castoria e assessore all'Istruzione della Provincia di Napoli era Raffaele Porta, nella Giunta presieduta dal prof. Amato Lamberti) quella struttura è diventata una bella e ospitale realtà che oggi, 6 ottobre 2015, è stata inaugurata in pompa magna alla presenza di autorità civili, religiose e militari.
Ha fatto gli onori di casa la dirigente scolastica, prof.ssa Carmela Maria Napolitano ed hanno presenziato all'inaugurazione la dott.ssa Luisa Franzese, direttore dell'Ufficio scolastico regionale, il dott. Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e presidente della città metropolitana di Napoli, il sindaco di Cicciano, Raffaele Arvonio, il consigliere regionale Pasquale Sommese, il vice presidente della Camera dei deputati Luigi Di Maio, il vicario del vescovo di Nola, don Lino D'Onofrio. Erano presenti alla cerimonia anche rappresentanti dell'Arma dei carabinieri, della Polizia e della Guardia di Finanza.
Il percorso lungo e travagliato dell'edificio, che ha visto finalmente la luce, iniziava proprio sedici anni fa, quando il sindaco Castoria e l'assessore Porta apposero la firma in calce ad un protocollo d'intesa con cui il Comune di Cicciano cedeva, in comodato d'uso, alla Provincia di Napoli quella struttura allo stato nascente perché la si trasformasse in Istituto alberghiero.
Tanti anni, troppi anni sono passati. Non possono e non devono essere questi, i tempi, per costruire una nuova scuola, per consentire agli insegnanti ed agli studenti di poter fare lezione in aule decenti e in laboratori degni di questo nome.
Non riproponiamo, qui, la descrizione del nuovo edificio dall'alberghiero di Cicciano, di cui abbiamo avuto modo di parlare in un articolo apparso su questo stesso giornale alla fine del mese di agosto. Molti problemi sembrano aver trovato adeguata soluzione, ma non manca qualche criticità.
Il nuovo edificio sarà dotato di una consistente quantità di banchi e di sedie nuovi e non è escluso che la Città metropolitana provvederà a fornire anche nuovi armadi e scrivanie per gli uffici. Resta il problema della insufficienza delle aule, nonostante all'Istituto sia stato consentito di continuare a disporre delle aule del plesso Gescal. Anche l'attuale numero dei laboratori è insufficiente e qualcuno fa notare quanto sarebbero stati utili quelli che erano stati allestiti nel plesso di Camposano e che oggi non sono più nella disponibilità dell'Ipseoa "C. Russo".
A partire dalla prossima settimana la vecchia sede centrale sarà definitivamente lasciata e la campanella suonerà negli ampi corridoi della nuova struttura.
da Prof.ssa Susy Barone (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) – 15 settembre 2015
"Non la solita manifestazione autoreferenziale, ma una piacevole conversazione", così il filosofo prof. Aldo Masullo ha definito l'incontro tenutosi il 9 Settembre u.s. presso l'Hotel "I Gigli" di Nola, a conclusione del 60° anno di attività del Masullo-Theti, con la presentazione dell'Annuario.
Moderatrice la giornalista de "Il Mattino", dott.ssa Carmela Maietta; a relazionare, oltre al filosofo prof. Aldo Masullo, la D.S. prof.ssa Anna Maria Silvestro, il dott. Salvatore Guerriero, segretario nazionale di P.M.I. Italia-International, la dott.ssa Laura Napolitano, in rappresentanza del sindaco, dott. Geremia Biancardi, e la scrivente, prof.ssa Susy Barone, referente dell'Annuario.
In sala numerosi rappresentanti delle istituzioni civili, sociali e militari, insieme a docenti in attività e in pensione.
Singolare la conduzione della dott.ssa Maietta che, evitando discorsi e/o relazioni preparati ad hoc, ha invitato ad uno scambio di opinioni sia i relatori che alcuni presenti tra il pubblico, autori degli articoli che maggiormente avevano suscitato in lei curiosità ed interesse: dai Progetti Europei all'Alternanza Scuola-Lavoro, dal Femminicidio agli Incontri con l'autore, dalle Celebrazioni Augustee alle iniziative sull' Educazione alla salute organizzate in collaborazione con i Lions.
Tutti coinvolti a rispondere alle domande e talora provocazioni della dott.ssa Maietta.
Filo conduttore ciò che può fare della istituzione scolastica non la renziana buona scuola, ma, per citare ancora il filosofo Masullo, una scuola "buona".
Ad intervenire anche don Virgilio Marone, portavoce di un messaggio del Vescovo Beniamino De Palma, teso a sottolineare l'importanza che la scuola ha nella formazione umana delle nuove coscienze, "missione" ben più alta e complessa della pur importante funzione didattica che alla scuola appartiene.
Numerose le parole-chiave emerse dal dibattito: condivisione, autorevolezza, assunzione di responsabilità, impegno, esempio, unicità della cultura, ma soprattutto necessità di "dare senso". Ecco quindi che le parole di Edgar Lee Masters, allorché diceva: "Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio. E' una barca che anela al mare eppur lo teme", possono caricarsi di un ulteriore significato, visto che, senza comprendere il senso più profondo di ciò che si studia, i nostri giovani sarebbero destinati ad essere poco motivati ed appassionati alla cultura, se non anche alla vita.
In occasione del compleanno della più antica Università di Napoli, il 5 giugno scorso, molti furono i servizi giornalistici celebrativi dell'evento. Ritenendo che ricordare una così importante istituzione è "cosa buona e giusta", riportiamo di seguito, comprensivo del programma delle manifestazioni organizzate per l'occasione, il servizio di Kasia Burney Gargiulo pubblicato in Fame di Sud – Campania del 28 maggio 2015 (La Redazione).
E' la principale istituzione accademica partenopea e una delle più importanti in Italia e in Europa, ma il suo primato forse meno conosciuto è quello di essere la prima università fondata attraverso un provvedimento statale: praticamente è la più antica università laica e statale del mondo, non istituita quindi da corporazioni o associazioni di intellettuali, o di studenti ma appunto in forza di un provvedimento sovrano. E' la "Federico II" di Napoli, istituita il 5 giugno 1224 dall'imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia Federico II di Svevia. Quest'anno compie dunque la bellezza di 791 anni, ragion per cui il rettore Gaetano Manfredi ha deciso di aprire alla città le porte tutte le sedi didattiche, museali e monumentali dell'Università. Per l'occasione è stato stilato un ricco programma di appuntamenti intitolato "Buon compleanno Federico II".
Federico II di Svevia, che ha legato il suo nome al Sud Italia fino al 1250, data della sua prematura morte in Puglia, oltre che un grande sovrano fu anche un abile poeta, letterato e scienziato. E proprio la volontà di agevolare i propri sudditi nella formazione culturale, evitando loro costosi e problematici viaggi all'estero, e soprattutto quella di garantire una formazione esclusiva del personale amministrativo e burocratico della curia regis, spinse il sovrano a creare questa istituzione, cosa che fece tramite una lettera circolare inviata da Siracusa. La scelta di Napoli come sede fu dettata da diversi fattori: innanzitutto ragioni di carattere culturale, quale la presenza di una lunga tradizione di studi di vario genere, ma anche di carattere geograficio ed economico, quali la posizione strategica della città all'interno del regno, la presenza di intensi traffici marittimi e non ultimo il clima mite.
I primi indirizzi didattici furono orientati soprattutto verso il diritto, per le citate esigenze statali, ma non mancarono altre discipline come le arti liberali, la medicina e la teologia, la quale, in particolare, fu insegnata presso varie strutture religiose fra cui il convento di San Domenico Maggiore, dove dal 1271 al 1274 insegnò Tommaso d'Aquino.
Rimasta indipendente dal potere papale durante il periodo angioino, con l'avvento del dominio aragonese nel 1443, l'Università subì purtroppo una prima chiusura. Un'intesa tra re Ferdinando il Cattolico e papa Paolo II ne consentì la riapertura nel 1465, seguita da una nuova serrata nel 1490.
Lo studium napoletano riaprì finalmente le sue porte nel 1507 presso il convento di San Domenico Maggiore, che ne fu la sede per tutto il Cinquecento.
Nel 1616 fu quindi realizzata la costruzione, su progetto dell'architetto Giulio Cesare Fontana e per volere di Don Pedro Fernando de Castro, conte di Lemos e viceré di Napoli, del Palazzo degli Studi (quello in cui oggi ha sede il Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Nel 1735 l'Università di Napoli accolse la prima cattedra d'Astronomia in Italia e nel 1754 la prima cattedra di Economia del mondo. Nel 1777 vide trasferire la sua sede al Convento del Salvatore, edificio che già aveva ospitato il Collegio dei Gesuiti, poi venuto meno con l'espulsione dell'ordine religioso voluta da re Carlo III di Borbone. Durante il decennio francese, alle altre facoltà si aggiunse anche la prima cattedra italiana di Zoologia. Sul finire dell'800, condizioni di inadeguatezza del Convento del Salvatore spinsero a trasferire nuovamente l'Università che approdò nella nuova sede di Corso Umberto I, dove tuttora si trova.
Questo il programma diffuso per il prossimo 5 giugno:
Ore 9.00: apertura Open Day alla Federico II
Ore 14.00: intermezzo musicale della nuova Orchestra Scarlatti nel chiostro di san Marcellino e Festo
Dalle ore 15.00: premio per gli studenti meritevoli nell'aula Pessina seguita dalla cerimonia organizzata per Sorrentino nell'Aula Magna il quale sarà successivamente salutato sullo scalone della Minerva dal coro polifonico dell'Università
Dalle ore 20.00: festa-concerto in Piazza del Gesù con Beppe Servillo.
Fra gli eventi speciali di contorno, è previsto il 4 giugno un incontro degli universitari con il cantante Jovanotti sul tema della creatività, mentre il 5 giugno alle 16.30 il regista Paolo Sorrentino, reduce dai successi a Cannes del suo ultimo film "Youth", riceverà la laurea honoris causa in Filologia moderna nell'Aula Magna Storica, dove terrà una lezione sul sottile passaggio dallo scrivere al fare cinema, mentre alle 20 lo ritroveremo in Piazza del Gesù dove sarà protagonista di un incontro-intervista con studenti e docenti.
Nell'era di Internet non poteva mancare un'iniziativa sui social network ed ecco allora "Scatta gli auguri alla Federico II", con cui si invitano tutti a condividere un selfie ed un messaggio di auguri sulle pagine twitter, facebook e instagram dell'Ateneo contrassegnandolo con l'hashtag #buoncompleannofederico.
Lucio Garofalo (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Vignetta: Fonte Internet
09.09.2015 - Più vedo all'opera i nuovi presidi, più mi rendo conto che le persone si adattano alla perfezione al loro nuovo ruolo. Sembra che la riforma della figura dirigenziale sia stata varata su misura per loro. Dalle scelte dei collaboratori e dei membri degli "staff" si desume come i nuovi DS preferiscano circondarsi di elementi a loro congeniali, che non arrechino disturbo, degli automi zelanti ed efficienti, meglio ancora se teste poco pensanti, meri esecutori di direttive calate dall'alto. Del resto, ai nuovi presidi la legge chiede di agire come dirigenti d'azienda. Essi devono organizzare e dirigere le scuole come fossero "aziende".
Ormai la scuola è vista e descritta come una "azienduola". Altro che "laboratori di saperi" o "fucine di cultura". In base al modo in cui i nuovi presidi esplicano simili mansioni manageriali (anche se trovo assurdo tutto ciò) alla fine del ciclo triennale verranno valutati. Come, del resto, noi docenti verremo valutati in virtù delle prestazioni di supporto e collaborazione al DS. Non a caso, i presidi tengono a farlo presente e ribadirlo in occasione dei collegi docenti.
Dunque, mi chiedo: ma un insegnante che intende limitarsi ad espletare il proprio dovere in classe, vale a dire interagendo in modo brillante e proficuo con i propri allievi, facendoli diventare autonomi, menti critiche e via discorrendo, non è da considerarsi un professionista valido o "produttivo", per cui forse conviene che cambi mestiere?. Me lo domando ormai da tempo con una insistenza.
Sgombriamo il terreno da ogni eventuale equivoco. Lungi da me l'intenzione di giudicare le persone, bensì valuto il ruolo. Purtroppo, la funzione sociale di un individuo è alienante, nel senso che rischia di trasfigurarlo in un'altra persona. Lo si è visto con i nuovi presidi, che fino ad ieri erano insegnanti come noi, ma si sono presto calati nel nuovo ruolo, assai remunerativo, quanto alienante.
Ma l'aspetto che non riesco ad accettare è che si pretenda di valutare e premiare la "produttività" di un docente in base al novero degli incarichi aggiuntivi e delle prestazioni di supporto alla dirigenza che egli riuscirà ad eseguire. Non che sia contrario in termini pregiudiziali. In passato, ho svolto pure la funzione strumentale ed ho persino ricoperto l'incarico di collaboratore vicario, quando questa era una funzione elettiva e non retribuita. Dunque, in tempi non sospetti.
Sono favorevole ai progetti didattici-formativi di tipo extra-curricolare, a maggior ragione se effettivamente validi e stimolanti sul versante socioculturale. Ma sono fermamente contrario ai "progettifici scolastici", alla proliferazione aziendalista di tali attività aggiuntive, premiate e privilegiate a discapito delle finalità curricolari, che dovrebbero essere prioritarie, cioè anteposte al resto. Poi ci si lamenta che i ragazzi arrivano alle scuole medie e non sanno scrivere sotto dettatura, non sanno redigere un riassunto, non sanno rielaborare un paragrafo di storia, non conoscono a memoria le tabelline, ecc.
Alla luce della mia esperienza professionale, ho avuto modo di riscontrare come i libri scolastici siano in genere (non sempre) di un tedio mortale, in quanto aridi, se non addirittura vuoti, spesso banali, convenzionali o stereotipati, per cui non agevolano affatto l'opera dell'insegnante, ma al massimo servono quali noiosi eserciziari e testi di verifica.
Ne consegue che la passione per i libri e la cultura non si potrà mai accendere in seguito ad uno studio acritico, cioè meccanico e mnemonico, condotto sui testi adottati a scuola, che rischiano di sortire l'effetto esattamente contrario, ossia il disamore e la disaffezione verso lo studio, i libri e la scuola. La ripetitività e la prevedibilità sono le più acerrime ed antitetiche avversarie della passione e dell'immaginazione creativa. Le prime provocano la morte spirituale, la cessazione del "viaggio intellettuale" che un buon libro riesce a stimolare. Viaggio inteso e vissuto come incessante avventura dello spirito e dell'immaginazione. Le seconde suscitano quegli input utili e necessari all'opera della ricerca e della scoperta del sapere, da vivere come un piacere ludico, un divertimento. Voce che, non a caso, discende dall'etimo latino "di-vertere", che sta per variare, deviare, cambiare e diversificare. Vale a dire l'esatto contrario della ripetitività, della prevedibilità e della monotonia, che generano noia ed uccidono il desiderio della conoscenza, spegnendo la fiamma che spinge ad impossessarsi del sapere e della cultura.
È questo il fine primario della scuola: accompagnare i ragazzi nel viaggio "avventuroso" che li conduce alla vera mèta, ossia il piacere della scoperta e del sapere, non certo il voto scritto sulla pagella. Gli alunni (ed i loro genitori) dovrebbero comprendere che lo studio e l'istruzione scolastica servono alla loro maturazione culturale ed al loro avvenire, e non a conseguire buoni voti, come invece accade nella stragrande maggioranza dei casi e nella migliore delle ipotesi, ben sapendo che numerosi allievi non amano affatto lo studio. In tal senso, il compito precipuo dell'insegnante meritevole, è proprio quello di saper motivare ed incentivare gli allievi allo studio, non tanto fine a se stesso, bensì per imparare a godere il piacere di apprendere, per nutrire la passione verso la cultura, intesa e vissuta come una "avventura interminabile", una ricerca incessante ed una scoperta interiore, non certo per ottenere dei voti positivi e la promozione.
Il maestro meritevole, capace e brillante, dunque da premiare e valorizzare, è colui che sa "contagiare" i propri allievi attraverso il "virus" dell'amore per i libri, lo studio e la conoscenza, la vita ed il mondo.