Un ricordo di Luigi Mucerino da ilc@zziblog del 6.11.2018
Ricordare è un’esigenza naturale, è una sorta di ponte con cui al di là del presente agganciamo il passato, dilata lo sguardo e rivela insieme il limite di rimanere circoscritti solo al presente. Per questo Iddio non ricorda, perché tutto gli è sempre presente in modo suo proprio ossia immenso.
A buon motivo abbiamo chiamato “serata del ricordo” quella del 18 settembre u.s. che tantissime persone della FUCI di una volta fino al passato prossimo hanno vissuto insieme, raccogliendosi nella Chiesa del Gesù a Nola, come già altre volte.
Il ricordo si è inserito nella Liturgia Eucaristica, in cui il semplice ricordo si trasforma, in virtù delle Spirito mediante il ministero della Chiesa, in Presenza effettiva ed efficace che sovrasta il tempo. Abbiamo ricordato noi stessi che nel duemila diciotto ci rivediamo così differenti dal tempo universitario e rimaniamo stupiti fino a non riconoscerci più, quasi incerti se si tratta proprio di noi stessi.
Abbiamo ricordato tanti amici della comunità giovanile Fucina che mancano all’appello, perché transitati alla riva del cielo, tanti che sembrano superarci per l’altezza del cielo, e per la consistenza del numero.
Soprattutto abbiamo ricordato, a cinquant’anni dalla morte, il sacerdote don Filippo Menna, che diede il via alla FUCI a Nola, con ispirazione di cultura e di fede.
Dotato di efficacia comunicativa con i giovani del tempo, Egli diffuse valori e affetti, amicizia e spiritualità; dettava Cristo non dai libri ma dalla sua esperienza fatta di dottrina e umanità, armonizzando fede e storia, tradizione e attualità. Proveniva dalle aule severe dell’Università Cattolica e dell’Università Gregoriana, fece presto nel territorio della diocesi ad entrare nella scuola cattolica e in quella statale, coraggioso nella testimonianza cristiana e sensibile all’anelito di verità integrale, talora sommersa, che caratterizza l’animo giovanile.
Furono i contenuti della filosofia e della teologia a fondersi nella sua ricerca e a fecondare la coscienza di singoli e gruppi, con una relazione pedagogica interattiva intessuta di quotidianità illuminata dalla fede. Il suo ricordo permane vivissimo e grato.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo che segue d i Andrea Bellofatto. Medico ben stimato per le qualità professionali e ben voluto per la caratura della sensibilità sociale, Andrea Bellofatto, è in servizio nel Distretto sanitario territoriale di via Nazionale delle Puglie che afferisce all’Asl Avellino per i Comuni sia dell’Unione del Baianese e dell’Alto Clanio che del Vallo di Lauro. E nei riverberi multicolori del caleidoscopio della memoria personale di ragazzo, studente del Liceo “Carducci” di Nola, prima, e di giovane universitario della Federico II e professionista, poi, rivisita momenti di vita vissuti nei treni della Circumvesuviana sulla tratta della Napoli-Nola-Baiano. Un pezzo di vita ritrovato e uno spaccato di realtà civile e umana che si lega ad un’infrastruttura ch’è stata, ed è, fattore di civiltà e di cultura delle relazioni sociali ed economiche dei territori. Una storia che vive da oltre 130 anni. E che Andrea amante delle buone letture ripercorre con acutezza e forte spirito d’osservazione.
La Storia della Ferrovia Circumvesuviana raccontata da Gianni Amodeo, a me del tutto ignota, è interessante; ancor più quella della società belga che realizzò la tratta ferroviaria e la storia in divenire raccordata agli eventi di quell'epoca. E uno studio della Storia d'Italia congegnato alla stessa maniera con cui Gianni Amodeo ha tracciato la Storia della Circumvesuviana, sarebbe più proficuo e più formativo, consentendoci di leggere gli eventi a noi più prossimi e conoscere più a fondo la realtà in cui viviamo.
Leggendo il pezzo giornalistico di taglio rigorosamente cronachistico, ho provato una emozione quasi simile a quella che ci prende quando sfogliamo un album di famiglia, ritrovando immagini di avi sconosciuti o solamente nominati nei racconti dei nonni o dei genitori, scoprendone azioni gloriose, pregi da emulare o difetti caricaturali. Alla stessa maniera la sensazione che questa Ferrovia, in qualche modo, mi appartiene, ci appartiene. Sarà pure perché mio padre era un ferroviere delle Ferrovie dello Stato e, ancora oggi, tutto quanto è Ferrovia mi emoziona.
L’onesto popolo della Circum: operai, studenti, artigiani, lavoratrici
Il rom Lisandro, personaggio degno della vigorosa penna di Marquez
Il primo ricordo affioratomi è stato proprio quello delle attese sul muretto della stazione di Baiano del treno che riportava a casa mio padre, di ritorno dal lavoro, da Napoli: la trepidazione per l'attesa montava in gioia all'apparire, dall'ultima curva della strada ferrata di quel treno dalla "livrea bicolore in bianco\avorio e rosso\granata " che, con lo stridio dei freni accostava i respingenti posti alla fine dei binari ,terminando la corsa con un respiro fischiante, quasi di sollievo, per la fatica sopportata durante il percorso. Dal treno emergeva un popolo variegato: gli operai - con quelle borse in finta pelle segnate dal tempo e dall'uso- provenienti dai vari stabilimenti industriali o da piccoli opifici napoletani; gli studenti delle scuole superiori di Nola, Marigliano e persino Napoli ( non erano pochi quelli che frequentavano i rinomati Istituti tecnici industriali di Pomigliano d’Arco o quelli di corso Malta, nel quartiere di Poggioreale, a Napoli, come il “Fermi”, il “Leonardo da Vinci”, l’”Alessandro Volta”; i nostri artigiani che solevano rifornirsi di materiale da lavorare nei mercati nolani o napoletani; le donne appesantite dalle borse della spesa piene di stoffe, pizzi e merletti comprati al mercato del Carmine; dal treno scendevano anche i rom che si spostavano dal campo di Nola per vendere i loro manufatti in ferro forgiato o per elemosinare; tra questi ultimi ,ricordo in particolare "Lisandro" , dai baffi folti e fluenti che portava in spalla una caratteristica gerla conica agganciata ad un attrezzo simile ad una falce; un 'icona da "Cent’anni di solitudine" di Gabo Marquez, tra maggiori autori della letteratura mondiale contemporanea.
A ben ricordare, quello era il popolo dei lavoratori e delle persone oneste che sopportavano la fatica del trasferimento tramite il treno dai nostri Paesini alla Città di Napoli e dintorni, oltre a quella del lavoro che svolgevano; la gente semplice che era da contrapporre a quelli dediti - come afferma Amodeo - a speculazioni, ladrocini “legalizzati” malaffare, e cose simili.
Quasi come indotto economico, si sviluppò intorno alla stazione di Baiano un efficiente “ sistema di trasporto locale", fatto di carrozze con cavalli e-successivamente - da Apecar che fungevano da mezzi di trasferimento dalla stazione alle cittadine di Mugnano (anche i commercianti di Mugnano usavano spesso il treno per motivi di lavoro), Sirignano, Quadrelle: ricordo a malapena i soprannomi di quei tassisti ante-litteram (Pal e' fierr, Baccalà) che, applicando tariffe minime ,completavano il sistema di trasporto locale della gente in movimento , rispettando puntualmente le coincidenze con gli orari di partenza e di arrivo dei treni.
La laboriosa “manovra” nella stazione di via Marconi
A differenza dei moderni convogli, quelli antichi erano provvisti di motrice e di carrozze: nella stazione di Baiano si svolgeva, al termine di ogni corsa la "manovra" che consentiva di invertire la posizione della motrice, rimettendola alla testa del treno in partenza; ricordo il piacere e la curiosità che avevo da ragazzo a guardare quello spettacolo: il manovratore, con le mani guarnite di guantoni sganciava la motrice, vi si appendeva ,guidava il macchinista oltre lo scambio dei binari, scendeva dal predellino, movimentava il deviatoio tramite una pesante leva manuale, rimontava sul predellino con il treno in movimento, riposizionandolo in partenza: di tutta questa scena ,il brivido mi correva sulla pelle, quando il manovratore saltava su e giù dal treno in movimento correndo il serio rischio di cadere sotto la motrice. I manovratori della stazione di Baiano, all'epoca erano Felice Mercogliano e Gigino Onofrietti. Indimenticabile, poi, il capostazione Arcangelo Napolitano, super-tifoso del Napoli, la cui storia è gemellata con quella del super- Baiano povero e bello, protagonista del calcio dilettantistico della Campania nel tempo che è stato.
Da studente sono stato un viaggiatore assiduo della “Vesuviana”: ricordo ancora le carrozze con i sediolini di legno in seconda classe - popolare - e quelli imbottiti in pelle di prima classe - dei benestant i- (una distinzione successivamente abolita quale effetto corollario della "lotta di classe”?): dovrei essere uno scrittore, per narrare la "vita" che si muoveva in quelle carrozze in movimento ed avere il coraggio di pubblicare le mie emozioni adolescenziali; i sediolini da due occupanti, disposti uno di fronte all'altro favorivano gli incontri, il dialogo a quattro, gli approcci con le ragazze e, nei convogli mattutini, accanite partite di tressette a quattro tra operai.
Tra noi studenti, spesso vi erano degli " scambi culturali" intensi (leggi: si copiavano le versioni di Latino e Greco che non avevamo completato e/o capito piuttosto che gli esercizi di Matematica e di Geometria); si parlava di calcio, politica e di ragazze; talora si faceva anche a botte con gli amici. La “Vesuviana” ci permetteva anche rare e fugaci sortite alla pizzeria di "Bartuluccio" a Cicciano, allora celebrato chef del "Purpo int'o pignatiello" di “pizze alla napoletana” di gran gusto.
La scioperomania e il trasporto pubblico penalizzato
La “Vesuviana” degradata e i sindacati allo sbando
Con il passare degli anni ho assistito a quel degrado descritto da Gianni Amodeo cui contribuì non poco la sindacalizzazione selvaggia e strumentale, del personale dell'Ente oltreché la gestione malaccorta dei dirigenti. Gli scioperi (che all'epoca non tenevano conto delle "fasce garantite") a causa delle modalità con cui venivano proclamati, finivano per essere delle provocazioni esasperanti nei confronti degli utenti. Le vecchie carrozze, in caso di affollamenti, erano occupate all'inverosimile; a volte si viaggiava persino sui predellini. Nella fase di ammodernamento, quando furono introdotti i treni nuovi, ricordo che, anche se per breve periodo, si ridusse il tempo di percorrenza per Napoli.
Poi, ci fu il terremoto: furono messe in opera modifiche strutturali alle stazioni, a volte inutili (forse qualcuno ci lucrava?), molte inspiegabilmente demolite. Si ridussero le corse. Fu ridotto il personale addetto ai controlli. A volte, a causa dell'insofferenza dovuta ai disservizi, alle persone che pure viaggiavano in treno, diagnosticavo una malattia del tutto sconosciuta nei Trattati di medicina: si tratta della … VESUVIANITE.
Poi una ripresa con la doppia linea di binari da Brusciano. Della doppia linea tra Nola e Baiano si parlò a lungo e, mentre si parlava,sorgevano case a ridosso dei binari: troppo spazio tolto alla possibile innovazione. Ho recentemente sentito parlare di possibile abolizione della tratta tra Nola e Baiano: credo e spero sia una falsa notizia.
Il treno dovrà essere visto in una prospettiva ampia di riduzione dell'uso dell'auto, di possibilità di contatto con la Metropoli partenopea, di intersecazioni con il sistema di trasporto regionale:ciò richiederà un impegno anche e soprattutto degli amministratori locali che siano capaci di guardare oltre i perimetri dei rispettivi minimi orticelli. Non sarebbe disdicevole che sentissimo tutti che la Circum è nostra quale patrimonio storico-sociale e culturale. (Andrea Bellofatto - Baiano - 25\08\18)
La necessità di un continuo confronto
La Pro Loco di Atripalda ed il settimanale il Sabato hanno avviato un ciclo di incontri con diverse tematiche all’ordine del giorno: interessante e meritevole di attenzione. Il patrimonio archeologico della città sul fiume Sabato, con l’area archeologica della Civita, della antica città di Abellinum, è stato oggetto di una discussione, in continuità con un dibattito che da diversi anni, vede protagonisti attori istituzionali, associazioni e rappresentanti della società civile. Il momento storico, con i cambiamenti a livello governativo, ma anche a livello provinciale, e più esattamente comprensoriale, con il cambio politico alla guida della città di Avellino, forse, rendono ancor più attuale e proficuo tale confronto.
Abellinum : dalle parole ai fatti
Al dibattito pubblico, o per meglio dire al convegno, visto che purtroppo non è stato possibile allargare il confronto al numeroso pubblico intervenuto, hanno portato il loro contributo il consigliere comunale Salvatore Antonacci, delegato dal sindaco; Giuseppe Spagnuolo; la dott.ssa Maria Fariello, funzionaria in quiescenza della Sovrintendenza, massima esperta del parco archeologico Abellinum; il senatore del Movimento Cinque Stelle, Ugo Grassi, direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”; il presidente della Pro Loco di Atripalda, Lello Labate, l’associazione che si occupa attualmente della promozione turistica e culturale del sito archeologico e l’imprenditore Pasquale Pennella, portatore degli interessi dei proprietari dei terreni vincolati della Civita. Dalle parole ai fatti è stato l’incipit del convegno. Si coglie l’opportunità per offrire, seppure modestamente, un contributo.
L’area archeologica di Abellinum: testimonianze e valori
L’Area archeologica della Antica Abellinum, si estende sul pianoro della Civita per una superficie di circa 25 ettari. Le campagne di scavo sistematico, iniziate negli anni settanta del secolo scorso, hanno reso possibile la fruizione di una parte significativa della cinta muraria in opus reticulatum di età tardo repubblicana dell’ epoca romana; una grande Domus Signorile di circa 2500 mq, di tipo ellenistico-pompeiana, databile al I sec. a.c.; tracce del foro e delle terme con resti del Calidarium (l’ambiente caldo). Oltre che monumenti funerari, tombe, mausolei, necropoli e la basilica paleocristiana di capo La Torre del IV sec. d.c., rinvenute in varie zone dell’attuale centro antico ed oltre nel centro urbano. Sotto terra resta l’intera città antica, il cui impianto urbano, pianificato secondo il sistema dei cardini e dei decumani, è stato chiaramente ipotizzato.
Il significato di un Parco Archeologico Urbano
La prima amara osservazione è legata alla dimensione temporale, che investe la non piena valorizzazione ed utilizzazione dell’importante area archeologica, pari alla metà dei 50 ettari scavati a Pompei. Un Parco Archeologico Urbano è l’ipotesi programmatica e progettuale che ha visto impegnati, con metodo concertativo, Sovrintendenza e Comune di Atripalda. Gli obiettivi dell’auspicato Parco Archeologico Urbano sono molteplici: dal salvaguardare, valorizzare e promuovere i beni culturali, anche minori e meno conosciuti, presenti in città e nel territorio, alla incentivazione ed incremento delle presenze turistiche; al migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei beni culturali e della città in generale, fino all’ innalzamento del livello, in termini qualitativi e quantitativi, dei servizi turistici e di accoglienza.
Il Parco Archeologico Urbano è organizzato secondo un programma di interventi, materiali ed immateriali, infrastrutturali e di servizi, che, seppur funzionalmente indipendenti, sono legati tra di loro e rappresentano, in molti casi, l’uno il completamento dell’altro. Dal proseguimento degli scavi archeologici e del conseguente restauro, alla realizzazione di percorsi archeologici urbani definiti con segnaletica, indicazioni puntuali sui beni visitabili, miglioramento dell’accessibilità e della fruibilità di alcuni siti o elementi, ad esempio in proprietà private, o nascosti da superfetazioni, etc., fino alla proposizione di Realtà Virtuali Aumentate, fruibili da applicazioni su dispositivi smart, da totem urbani multimediali e così via.
I costi di tale progetto oscillano tra diverse cifre dichiarate dai riferimenti istituzionali: dai 20 milioni di euro, come evidenziato dal consigliere delegato Antonacci, ai circa 8 milioni di euro, citati dalla dott.ssa Fariello. Il progetto è stato inserito nella programmazione strategica dell’Area Vasta di Avellino, nell’ambito del Tavolo del Turismo, legato al programma integrato “Terra di fede, sapori ed emozioni: da Montevergine alle vie del vino”. Con la previsione del completamento del Parco Archeologico per 3 milioni e mezzo di euro e la realizzazione di un Centro polivalente per la divulgazione e promozione e valorizzazione del Parco archeologico per ulteriori 3 milioni di euro.
Volontariato e fruizione
Ad oggi, l’Area Archeologica vive sull’impegno dei volontari della Pro Loco, che tra diverse difficoltà e inadeguatezza dei luoghi di accoglienza (l’ingresso dell’area archeologica è caratterizzato da indecorosi container risalenti al dopo terremoto dell’Irpinia , 1980), ricevono e guidano anche 2000 visitatori all’anno. Numeri non secondari in considerazione che l’Area archeologica è di fatto fuori da ogni circuito turistico archeologico della Campania.
Una visione programmatica: alle origini del Parco Urbano Archeologico
Dopo oltre dieci anni, si è quantomeno concretizzata una ipotesi progettuale, che era stata prevista nella stagione amministrativa del Sindaco Rega. Nella metà degli anni duemila, in conseguenza della applicazione della Legge Regionale 26 del 2002, - la prima organica norma regionale di natura urbanistica che ha dettato i principi, i metodi e le linee guida per creare condizioni virtuose al fine di riqualificare i centri storici, dopo gli anni della ricostruzione post-sismica - contribuimmo con il nostro lavoro, a far dotare Atripalda del Programma di Valorizzazione del Centro Storico e della Catalogazione dei Beni Architettonici Storici e Culturali, oltre che del Piano del Colore, ancora vigente.
Quella stagione di pianificazione particolareggiata si interruppe nella fase di elaborazione del Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica Edilizia ed Ambientale, dove nella stesura preliminare agli atti del Comune, tra le strategie ed obiettivi perseguibili venivano indicati i nodi e le relazioni urbane con l’area archeologica, la necessità di creare e valorizzare un Percorso Archeologico Urbano, con la connessione prioritaria al Parco ed al Palazzo Caracciolo.
La centralità di una pianificazione integrata: tra urbanistica e programmazione territoriale
Tale ipotesi progettuale, oltre che dei finanziamenti, sembra ancora manchevole di un chiaro inquadramento nell’ambito di una pianificazione e programmazione urbanistica e coordinamento territoriale. In realtà la dimensione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, individua tra gli elementi cardine del Sistema di Città Abellinum, composto da dieci centri: Avellino, Atripalda, Mercogliano, Monteforte, Manocalzati, Prata, Pratola Serra, Capriglia Irpina, Grottolella e Montefredane, proprio il Sistema dei Beni Culturali, dove l’Area Archeologica di Abellinum, costituisce vero baricentro da cui innescare politiche di valorizzazione. Fa parte integrante della direttrice strategica del turismo culturale dell’intera provincia di Avellino, oltre che trovarsi al centro del Circuito enogastronomico della strada del Vino Fiano.
Dunque il primo passo concreto è quello di innescare un processo tangibile di pianificazione urbanistica, dove in una logica strutturale allargata all’intero Sistema di Città, l’area archeologica di Abellinum sia invariante strutturale di ogni scelta operativa. Ad esempio, creando condizioni anche di valorizzazione “perequativa” di quelle aree del pianoro di proprietà privata; riconoscendone un peso in termini di surrogati diritti edificatori da poter trasferire in altri ambiti territoriali, in cambio non necessariamente della cessione al pubblico di aree cosiddette compensative, ma anche della realizzazione da parte di chi usufruirà di tali diritti edificatori, di opere necessarie alla fruizione degli scavi o al finanziamento stesso di ulteriori campagne di scavo. Il punto essenziale è quello di costruire norme e meccanismi regolamentari, che non necessariamente si rivolgano solo all’interno del territorio atripaldese, i cui eventuali comparti di trasformazione edilizia dovrebbero concentrarsi sul già costruito, considerato l’impossibilità di consumare ulteriore suolo. In questa ottica, sembra acquisire valore il tema della programmazione di Area Vasta. Dunque non un elenco, più o meno coordinato, di interventi da farsi finanziare, ma un vero e proprio piano strutturale di un sistema di città, dove distribuire i pesi insediativi, sia in termini residenziali che produttivi, che terziari, perseguendo la logica di una sistema di città come rete distribuita, favorendo collaboratività, competitività ed assenza di gerarchia tra i vari nodi urbani.
L’azione necessaria del Comune di Atripalda
In questa ottica la città di Atripalda, a fronte di un investimento decisamente più modesto, rispetto alla realizzazione seppur per parti, del Parco Archeologico Urbano, potrebbe definire e rendere operativo un Programma Integrato di Riqualificazione Edilizia ed Ambientale, inteso come uno strumento urbanistico programmatico ed attuativo, di rilevante valenza urbanistica ed edilizia, contenente norme di carattere tecnico, finanziario e gestionale. Detto strumento innovativo, previsto dalla già citata Legge Regionale 26/2002, consente di valorizzare e pianificare risorse economiche pubbliche e private, finalizzate al recupero ed al riassetto urbano di ambienti degradati o comunque non valorizzati e scarsamente utilizzati. La sfida di Atripalda è quello di mettere al centro della pianificazione proprio l’area archeologica di Abellinum, spostando l’accento dai singoli progetti di tutela alla territorialità delle azioni e alla programmazione unitaria della manutenzione del luogo urbano od ambientale, che si caratterizza e costituisce attraverso l'identità locale. Affrontando così il problema della pianificazione e della programmazione per progetti, come avviene da decenni in altri paesi europei, a garanzia della qualità, della fattibilità e della partecipazione agli interventi di innovazione e trasformazione della città e del territorio.
Per una cooperazione di comunità
Infine, terza ed ultima proposta possibile, pare evidente che l’Area Archeologica di Abellinum possa ben considerarsi un bene comune inteso come bene, materiale ed immateriale, che i cittadini e l'amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità e dei suoi membri, all'esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all'interesse delle generazioni future, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell'articolo 118 comma 4 della Costituzione, per garantirne e migliorarne la fruizione individuale e collettiva. Ecco, in perfetta continuità, con quanto già in essere tra Sovrintendenza e Pro Loco, potrebbe sperimentarsi la scrittura di un vero e proprio Patto di Collaborazione, che vada oltre le semplici visite guidate, per analizzare, studiare ed individuare l'ambito degli interventi di cura, rigenerazione o gestione condivisa del bene, innescando processi di formazione da parte della Sovrintendenza verso giovani studiosi, archeologici, conservatori, operatori del turismo ed immaginando anche un processo di “autocostruzione”, ad esempio dei manufatti dedicati all’accoglienza ed ai servizi; attivando laboratori di progettazione, coinvolgendo imprenditori ed artigiani, che materializzerebbero architettura “a bassa definizione”, rendendo tangibile un processo di valorizzazione economica rigenerativa e solidale, a basso costo, sostenibile, in cambio di un contributo volontario alla costruzione di un concreto avvio di un’epoca di cittadinanza attiva.
Riflessione di Pasquale Iorio in La Voce del Volturno. Caserta 26 Agosto 2018.
La scadente Guida Feltrinelli ha ottenuto il risultato di far scattare la molla dell’orgoglio e dell’amore dei casertani verso la propria terra, le sue bellezze e ricchezze. Ma questo non basta, bisogna essere onesti e ritornare a riflettere sui ritardi e sui problemi che condizionano la nostra vita sociale e civile.
Non dobbiamo mai dimenticare che tra i motivi principali per cui siamo finiti all’ultimo posto della classifica delle province italiane, ci sono proprio le condizioni inadeguate e primordiali, per certi versi di degrado, in cui continuano a versare i servizi legati proprio all’istruzione, alla cultura e alla fruibilità turistica.
Chiediamoci quali strumenti allo stato sono offerti ai viaggiatori che scelgono la nostra provincia:: non esistono decenti servizi di accoglienza e di orientamento per chi volesse andare oltre la Reggia. Non parliamo solo dei trasporti, ma anche di guide tradizionali in formato cartaceo (ad esclusione della guida Verde del TCI, che ora è introvabile). Non parliamo di servizi più moderni, quelli on line su Internet e i vari social, dove non si trova niente (tranne che sul sito di CasertaTurismo).
Qualche tempo fa Confindustria organizzò un interessante incontro nella Reggia per presentare il portale di Visit Rovereto – uno dei tanti modelli e buone pratiche che si potrebbe realizzare anche da noi. Da oltre un anno è stato proposto il modello Caserta Welcome, che allo stato è partito con il punto di accoglienza nei pressi della Reggia. Sarebbe utile ed urgente accelerare anche il portale dedicato, magari in collaborazione e con il contributo dei principali enti ed istituzioni locali (a partire dalla Provincia alla Camera di Commercio). E qui scontiamo il punto di maggiore criticità del nostro sistema: la difficoltà a dialogare e fare rete tra le istituzioni.
E’ giunto il momento di alzare il tiro con un a capacità innovativa di fare proposte e progetti tesi a valorizzare i nostri beni comuni e culturali; a fare crescere la capacità attrattiva di un patrimonio storico ed artistico diffuso in tutto il territorio, per certi versi ineguagliabile.
Dalla cultura e dal turismo si può ripartire per creare una economia virtuosa e competitiva, grazie anche alle competenze e risorse di tanti giovani talenti e del mondo dell’università (che già hanno cominciato ad investire in start up innovative e creative).
Per dare un contributo come rete delle Piazze del Sapere continueremo a portare avanti in tutto l’arco dell’anno iniziative per diffondere la conoscenza e la socialità, non solo con la presentazione di libri ma anche di progetti come quelli legati a “Letture di gusto”. A tal fine la presenza di luoghi prestigiosi, come la stessa libreria Feltrinelli e l’Enoteca Provinciale, ci aiuta a realizzare tanti incontri e momenti di confronto, grazie all’apporto delle competenze offerte dalle associazioni del terzo settore e del volontariato.
Alla Provincia e ad alcuni Comuni proporremo di organizzare alcuni incontri di carattere progettuale, volti a fare crescere la cultura della rete e dell’integrazione: in primo luogo riprenderemo il tema dei musei territoriali (una vera e propria miniera diffusa sul territorio) da tenere a Capua nel Museo Campano.
Il sistema museale di Terra di Lavoro può diventare un ricco attrattore grazie anche alla valorizzazione di itinerari artistici e storici (a partire da quello dell’Appia Antica). Come pure si può puntare alle città longobarde o normanne; per non parlare dei siti reali borbonici (già riconosciuti patrimonio Unesco). A questo patrimonio si integrano i luoghi della bellezza e della natura (dai parchi del matese alle oasi ambientali della costa, come quella oramai famosa dei Variconi alla foce del Volturno).Oasi dei Variconi (Castel Volturno)_ Aggiornato 2018 – tutto quello che c’è da sapere – TripAdvisor
Su queste opportunità bisogna sviluppare progetti di valorizzazione da proporre alla Regione e al Mibact, ma anche ad altre istituzioni come la Fondazione con il Sud. A tal fine occorre attivare un tavolo di confronto e di partenariato, che può essere proposto dai due enti intermedi (Provincia e Camera di Commercio), con il coinvolgimento dei comuni interessati (a partire dal Capoluogo), del mondo delle imprese e del terzo settore.
Non basta indignarsi, oggi ci vuole intelligenza e capacità di proposte, di creatività e di innovazione, da parte di tutti gli attori sociali ed istituzionali.
Negli anni ’70 è stata la casa - teatro del drammaturgo Leo De Berardinis. Accorato appello di Anita Capasso. https://youtu.be/daNfwQUzIRM
da Marigliano.net del 19 luglio 2018 - SOS per masseria Sentino. Salviamo la casa - teatro di Leo De Berardinis, il drammaturgo che proprio in questo luogo rivoluzionò il modo di fare teatro, facendo scuola con il famoso Teatro di Marigliano. Le nostre telecamere tornano sul lagno San Sossio-San Vito.
Siamo di nuovo in via Vasca, luogo di ecomafie, storia e cultura. Luogo stretto tra inferno e paradiso, in linea con le contraddizioni che investono questo territorio. Passeggiando tra il verde frastagliato dai rifiuti a vista ed interrati, arriviamo a masseria Sentino, nota anche come masseria Barone. Inutile dirvi che è in condizioni a dir poco fatiscenti e di degrado.
Cos' è masseria Sentino? Una masseria come tutte le altre, che testimonia il passato rurale di cui nessuno se ne frega? Certo che no. Masseria Sentino è qualcosa di più. E' il luogo dove è stato rivoluzionato il modo di fare teatro con il famoso teatro di Marigliano, portato alla ribalta dal grande Leo De Berardinis, le cui spoglie riposano nel cimitero di Marigliano. Con lui c'era anche la compagna Perla Peragallo.
Erano gli anni '70, gli anni della contestazione che incise anche nel modo di fare teatro e Leo lo rivoluzionò ottenendo consensi nel mondo accademico nazionale. Si provava qui a masseria Sentino e poi si scendeva nelle strade di Marigliano. Era qui che nascevano i copioni.
Ora la masseria è il regno del degrado più totale. Ciò che però ci colpisce questa volta e che fa tanto male è il cartello con cui viene messa in vendita.
Cosa ne sarà della masseria? L'ennesimo abbattimento e ricostruzione con l'attenuante della vacatio normativa? Possibile che il Comune non l'acquisisca al patrimonio comunale? Se è vero che qui deve nascere il parco urbano, allora la masseria Sentino non può non diventare bene di pubblica fruizione. Altrimenti che fine farà? Sarà l' ennesimo bene buttato giù per lottizzazioni? Non possiamo consentirlo, oggi la cultura non può non vincere sull'ignoranza e il business.
Salvate la storia, salvate la memoria di Leo De Berardinis che ha reso celebre la città, tanto da associarla alla rivoluzione teatrale nazionale, che da qui ha contagiato tutta la nazione. Leo De Berardinis a Bologna ottenne una laurea ad honorem, a Marigliano invece rischia di perdersi la sua memoria. Non possiamo permettere l'ennesimo oblio della storia.