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Schiava di Tufino: Scomparsa del cav. Eugenio Alibrandi

cordoglioGianni Amodeo – 03.05.2019 - Con la scomparsa del cavaliere Eugenio Alibrandi, “Don” Eugenio, se ne va un’altra operosa presenza e testimonianza di quella piccola e media imprenditoria che ha costituito per larga parte del ‘900 il polo conserviero dell’agro-alimentare nell’area del Baianese e dell’Alto Clanio e nell’area nolana sull’asse Tufino–Cicciano, soprattutto sul versante della lavorazione e solforazione delle ciliegie con importante export verso gli Stati Uniti d’America e i Paesi anglosassoni. Una rilevante realtà economica e produttiva ben integrata sul territorio ed articolata in circa venti, tra stabilimenti ed opifici a conduzione famigliare; stabilimenti ed opifici, di cui il lavoro delle donne era la forza propulsiva, toccando stabilmente la soglia di oltre due mila lavoratrici impegnate nei periodi stagionali di maggiore domanda dei mercati; forza propulsiva coordinata con la capacità sia di organizzazione che di “lettura” degli imprenditori sull’andamento del mercato estero. Un processo, in cui esercitava un ruolo notevole l’indotto degli addetti al trasporto su gomma per fare scalo nel porto di Napoli, per non dire dei Maestri - bottai.

baianeseDon” Eugenio, nasce a Messina, il 12 gennaio del 1930, da Giovanni e Sara Patanè. Nel ’50 da Riposto, in provincia di Catania, dove risiedeva, la famiglia si trasferisce ad Avella, nella frazione Purgatorio, dando impulso all’attività imprenditoriale per la lavorazione e il trattamento di solforazione delle ciliegie che si esportano nei caratteristici fusti di legno, che garantiscono l’ottima conservazione del prodotto. “Don” Eugenio e il fratello Antonio, scomparso qualche anno fa, assunsero ben presto le redini dell’azienda famigliare, a cui sul finire degli anni ’60 conferirono una nuova e meglio strutturata dimensione produttiva, realizzando lo stabilimento di via Carmignano, attuale via Carlo III, nelle vicinanze del Ponte di ferro della Circumvesuviana, la porta d’accesso dalla Nazionale delle Puglie ad Avella. Un investimento importante per realizzare una moderna ed efficiente struttura su progettazione del geometra Romeo Lieto che diresse l’esecuzione dei lavori. Nasceva lo stabilimento industriale dei fratelli Eugenio e Antonio Alibrandi che ha assicurato continuità di lavoro e produzione per il fiorente ciclo che, però, si è venuto esaurendo negli anni ’90, quando è arrivata la crisi di mercato irreversibile che ha colpito il settore, fino alla dolorosa dismissione dell’attività. Un colpo duro, che non privò “Don”Eugenio, né il fratello Antonio della stile di vita che era loro connaturato, riservando sostegno e prodigalità verso le lavoratrici e i lavoratori dell’azienda. “Don” Eugenio nutriva una forte sensibilità religiosa e di umana cristianità, segnata dalla frequentazione domenicale del Santuario della Madonna del Carpinello, a Visciano.

squadraAffabilità e gentilezza d’animo erano davvero i tratti distintivi di “Don” Eugenio, che era solito dividere il tempo libero, soprattutto nelle mattinate domenicali degli anni ’60 e ‘70, con gli amici, a Baiano, frequentando la sede dell’ufficio assicurativo gestito da “Don” Agostino Grassi in corso Garibaldi, prospiciente l’attuale sede del Baiano calcio, e, sempre in corso Garibaldi, il Salone di “Don” Pellegrino Litto, barbiere raffinato e almanacco parlante e prodigiosa memoria dell’intero panorama calcio dilettantistico della Campania. E quello di “Don” Pellegrino Litto è stato il Salone-Agorà strapaesano in cui tenevano banco, con qualche spruzzata di politica locale, il calcio di serie A, il Napoli, il Baiano, neanche a dirlo, fino al ciclo chiuso con Osvaldo Bruno, il romano di forte tempra e tecnica di gioco briosa che era vissuto fino all’adolescenza ad Alessandria d’Egitto, ineguagliato e ineguagliabile bomber dei “granata”, dotato di dribbling stretto e ubriacante, con tiro di collo piede al fulmicotone. Di certo, meritevole di “militare” in squadre professionistiche.

“Don” Eugenio aveva sposato nel ’58, Emilia, figlia di Tommasina, sorella di Silvino Foglia, capitano e roccioso centro-mediano metodista del Baiano del dopo-guerra.

untitledAlla moglie Emilia, alle figlie Rosaria, dottoressa commercialista con Studio professionale a Milano, Tommasina, architetto e docente negli Istituti statali, ai congiunti tutti giungano i sentimenti di cordoglio della redazione.

TRAFORO DEL PARTENIO: DALLA LOTTA PER L'ATTRIBUZIONE TERRITORIALE AL COLLEGAMENTO CON LA VALLE CAUDINA

Già negli anni settanta (1971), fu Domenico Biancardi, zio dell’attuale sindaco di Avella, a lanciare l’idea del traforo, rilanciata, negli anni '80 e precisamente nel 1981, da un bicolore PSI - PCI, con sindaco il socialista dottore Benito Sepe, eletto presidente della Provincia nel 1988.

Si rinnova anche un’antica tradizione legata al santuario della Madonna della Stella, eretto sui Monti Avella.

 

traforoEm. An. – 31.03.2019 - Brillante è l'idea del traforo del Partenio per il collegamento della Valle Caudina con la città capoluogo, mediante il comprensorio avellano - Domenico Biancardi nipoteBaianese; a lanciarla è stato il sindaco avellano, avv. Domenico Biancardi, nonché presidente della Comunità Montana Partenio- Baianese e Vallo di Lauro e neo presidente della Provincia.

Le idee, quindi, si rinnovano, considerando che, negli anni settanta (1971), fu lo zio, allora primo cittadino, medico di nome anche lui Domenico, a cui oggi, è dedicato Domenico Biancardi zioLil teatro di piazza Convento, a lanciare la proposta, rilanciata, negli anni '80 e precisamente 1981, da un bicolore PSI - PCI, con sindaco il socialista dottore Benito Sepe, tra l'altro, eletto presidente della Provincia nel 1988.

benito sepeCerto sono passati circa quarantanove anni e molte cose sono cambiate, per cui la realizzazione del progetto troverà grosse difficoltà, per essere attuato, per la presenza di nuovi enti e associazioni.

A prescindere da quello che succederà, ironia della sorte, si passerà dalla lotta per l'attribuzione territoriale al collegamento ed ecco perché.

santuario Madonna della StellaUn’antica tradizione si rinnova, all’alba della Domenica di Pasqua, nel Santuario della Madonna della Stella: lo sparo in alto dei sacri archibugi.

Un rito che avviene a Rotondi ma che coinvolge, direttamente, Avella e gli avellani, per un fattaccio accaduto nel 1300, quando si era in piena lotta iconoclastica.

Narra la leggenda che sui Monti avellani, boscaioli rotondesi videro l’immagine della Vergine, su menzionata, con una stella in capo e per questo motivo innalzarono un tabernacolo ai confini dei due paesi.

La vecchia immagine imagesTYNAMGH4Ne scaturì una disputa, fra le parti, per l’attribuzione territoriale dell’apparizione e per il possesso della statua, per cui, una notte, alcuni avellani tentarono di rubare la scultura per portarla nel proprio territorio.

Se ne accorse l’eremita che aveva in consegna il Santuario e subito diede l’allarme, facendo risuonare per la vallata i rintocchi della campana. Allora i cittadini di Rotondi si armarono di archibugi, tridenti e bastoni ed inseguirono e misero in fuga i profanatori, i quali, per scappare, lasciarono la statua sul fondo di un burrone, che restò deturpata per la frantumazione degli arti.

Rotondi Madonna della chiesa della Stella news21385Certamente fu un grande affronto dei confinanti ed una vera e propria profanazione, perché, secondo essi, non essendoci più la Madonna a proteggerli, sicuramente, sarebbero andati incontro a brutti periodi, caratterizzati da pestilenze, malattie ed altre sciagure, per la qual ragione, con sacrifici, abbellirono il Santuario e diedero vita ad una immagine scultorea nuova e più bella e non contenti si fucilierimadonnadellastellarivolsero al Papa Benedetto XIII, per ottenere il permesso di collocare la statua deturpata nella Chiesa della SS. Annunziata; e così, ogni anno, tra fede e tradizione, dopo una nottata di veglia, passata all’addiaccio, sul piazzale del Santuario si snoda la processione, accompagnata dagli spari degli archibugi.

Ancora un fatto di forte fede che vede protagonisti, però, sempre, in negativo, gli avellani, perché si dice, pure, che, approfittando della sosta forzata, in quanto durante una processione venne a piovere, rubarono la statua di S. Sebastiano agli speronesi ed, inoltre, alla vigilia di Natale, nella sagrestia della Chiesa di S. foto8spari p 1Pietro, un cittadino del quartiere di Sperone, uccise un Vescovo ed è per questo motivo che Avella abbia perso la sede di Vescovado, anche se le ragioni ed i motivi storici furono ben altri.

Comunque, il primo cittadino avellano già, nella mattinata del 18 febbraio, si è recato presso la Regione Campania, per un incontro con il presidente della Commissione Trasporti: motivazione dare vita ad un protocollo d'intesa per l'attuazione del progetto del traforo.

IL CULTO ARBOREO NEL COMPRENSORIO AVELLANO-BAIANESE

Il rito nella storia lungo la Nazionale delle Puglie. I riti arborei e le ierofanie legati all’albero.

 

 

Il maioNicola Montanile - 19 febbraio 2019 - Si concluderà, nel comprensorio avellano baianese, la festa del Maio, il 20 febbraio, nel piccolo e attivo centro basso irpino di Sperone, per il patrono Sant'Elia, la cui “prima” è iniziata il 30 novembre, a Sirignano per Sant'Andrea, continuata, a Baiano il 25 dicembre, in onore del santo patrono, il protomartire Santo Stefano,

La kermesse si è svolta, poi, nel mese di gennaio, e precisamente il 10 a Mugnano del Cardinale per Santa Filomena, per poi passare a Quadrelle il 17 per Sant'Antuono e arrivando ad Avella il 20, questa volta con il protettore San Sebastiano.

Da sottolineare che soltanto per due centri: Mugnano del Cardinale e   Quadrelle, la celebrazione non è per i santi protettori, in quanto, per il primo, caro a Santa Filomena, è la Madonna delle Grazie, mentre per il secondo, San Giovanni Battista.

Carro di Fontanarosa 3985 600x470 w e782639d5a801e866ea3d5a878c81f21Comunque il culto, iniziato in Alta Irpinia, con connotazioni diverse - e si parla del Carro di Fontanarosa, in onore della patrona Assunzione della Beata Maria Vergine Santa Maria della Misericordia; del Carro o Obelisco di Paglia, alto 25 metri, di Mirabella Eclano, per Maria SS. Addolorata e del Giglio di Flumeri, il cosiddetto Giglio di Spighe di S. Rocco del 15 agosto - si snoda su tutta la Nazionale delle Puglie, prendendo a Nola, il nome dei Gigli, per terminare a Barra, nel mare, poiché, secondo alcune delle leggende, San Paolino offrì la propria vita agli Arabi, in cambio di quelle di una vedova e del suo figlioletto.

Obelisco di Mirabella maxresdefaultIndubbiamente, il tutto lo s'inquadra nel culto arboreo e le ierofanie, che sono le manifestazioni del sacro attraverso il profano; e, prendendo in esame le vegetali, esse vengono classificate in questo modo: un tipo individuato di albero (il noce), un frutto (il limone), il fiore in senso lato e l'albero in senso lato.

Giglio di Grano di Flumeri 800x445Nel campo magico tutti ricordano la leggenda delle streghe nell'area del beneventano che si riunivano, intorno ad un albero sacro, un noce; un albero che sta tra il religioso e il magico, il sacro e il profano.

Maio Sirignano"In questa dimensione - si legge nel libro "Entro i relitti dell'ambiguo, a cura del prof. Franco Salerno" - si colloca infatti il famoso rito della <Cinghiatura dei noci>.  Il 24 giugno si celebra la festività di san Giovanni Battista, patrono di Roccarainola; (NDA anche di Quadrelle) nell'ambito di questa festività si effettua tutt'ora (anche se con minore frequenza di una volta) la Maio Baiano<cinghiatura dei noci>. Nella notte del 23 tutti i tronchi dei noci vengono cinti, legati (questo tema del 'legamento' ritornerà nel culto popolare di un altro santo, Sant'Antonio Abate) da rametti di salice o di pioppo, per proteggerli da   caduta prematura delle noci. La genesi di questo rito viene riferita alla decapitazione del Battista avvenuta per un capriccio di Solomè, su istigazione della madre Erodiade".

Il testo presenta una sottotitolo "Misteri e Furori nelle Feste e nei Culti popolari del <mondo magico> campano dal 1500 ad oggi"; si tratta l'argomento nel capitolo terzo Maio Mugnano IMG 6522"L'Universo delle ierofanie nel Nolano, nel Vallo di Lauro e nel Baianese" ed è stato impresso nel mese di maggio 1984 presso le Arti Grafiche Palumbo & Esposito Cava dei Tirreni (Salerno) e scaturisce da un lavoro di una serie di ricerche, fatte da un gruppo di studenti della IA C del Liceo Scientifico "E. Medi" di Cicciano.

Maio QuadrelleL'interessante lavoro sulle nostre radici ci informa, altresì, "Un'altra interpretazione, invece, collega la <scarmatura> delle noci (cioè la caduta precoci delle noci) ad un essere mostruoso, tipo un grosso serpente o un drago (ritorna la presenza del serpente, che abbiamo già evidenziato nel quarto paragrafo del secondo capitolo): esso appare solo alla vigilia di san Giovanni Battista. Secondo gli anziani, nel mostro si incarnerebbe per una maledizione lo spirito di colei che fece decapitare il Santo; perciò ai giovani e alle fanciulle veniva raccomandato di non avventurarsi per i campi durante la vigilia di san Giovanni".

Maio Avella 122Ma i giovani discenti, forse, oggi, docenti o professionisti, narrano anche di "Un'altra leggenda fra religioso e magico, sempre in riferimento al noce, è quella di san Barbato e del <noce incantato> con la quale ritorniamo nell'area del Beneventano. Si racconta infatti che san Barbato abbatté a colpi di scure il <noce incantato> e lo seppellì in una fossa. Ma dalle radici balzò fuori un demonio gigantesco (ritorna sotto forma cattolica il tema dell'<essere mostruoso> presente nella <cinghiatura dei noci> tanto copertina Entro i relitti dellambiguo l300spaventoso a vedersi che tutti scapparono, tranne san Barbato. Il demonio aveva avuto il tempo di far spuntare dal terreno un nuovo noce alto e verde come quello che san Barbato aveva abbattuto, intorno al quale continuavano a riunirsi diavoli, streghe e <arcifanare>, cioè le streghe possedute da diavoli. In tutta questa serie di credenze Ianare intorno al Noce di Beneventocollegate al noce un elemento senz'altro è in comune: la dialettica vita/Morte. Infatti: - la decapitazione del Battista è un evento a - temporale (di Morte) che serve a proteggere contro una <morte> precoce delle noci; - il risorgere continuo del <noce incantato> introduce il tema dell'albero come simbolo della vita...".

Alla fine, i giovanotti chiudono con M. Eliade, op.cit. p.275, che dice "L'albero rappresenta - in modo sia rituale sia concreto sia mitico e cosmologico e anche puramente simbolico - il Cosmo vivente, che si rigenera senza interruzione".

san giovanni battistala e la cinghiatura. jpgUn prosit, quindi, agli allora giovani studenti nelle persone di Letizia Cafarelli e Adele Lombardi, che trattarono proprio la "cinghiatura", nonché Ida Bifulco, Alessandra Miani, Nunzia Pierno, Paolino Castaldo, Enrico Fedele, Aniello Laudanno, Giovanni Russo, Luigia D'Angelo, Giuseppe Buonaiuto, Pierluigi Romano e ovviamente al coordinatore, magnifico prof. Franco Salerno.

 

Foto - 1. Maio; 2. Carro di Fontanarosa; 3. Obelisco di paglia di Mirabella Eclano; 4. Giglio di grano di Flumeri; 5. Maio di Sirignano; 6. Maio di Baiano; 7. Maio di Mugnano dl Cardinale; 8. Maio di Quadrelle; 9. Maio di Avella; 10. Maio di Sperone; 11. copertina "libro "Entro i relitti dell'ambiguo"; 12.Janare intorno al Noce di Benevento; 13. S. Giovanni Battista e la cinghiatura del noce.

NOTARELLE STORICHE SU CICCIANO - 1

Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti ….trovo un testo di Umberto Sammarco sullo stemma e un documento dell’Archivio di Stato di Napoli sul Catasto della Terra, Seu Castello di Cicciano tratto dall’Onciario del 1746.

cicciano2Nicola Montanile – marzo 2019 - Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti, balza agli occhi un interessante testo di 24 pagine, con copertina grigia dal titolo "PER LO STEMMA DI CICCIANO", il cui autore è un certo Umberto Sammarco. - MICHELE CARUSO - CASALNUOVO Di NAPOLI - 1934 - XII.

Il testo che sull'antepagina presenta le stesse indicazioni, nel retro di essa, non è numerata, ma si capisce che è pagina 2 - anche perché si evince che tutti i retro non sono numerati - in basso si legge anche "Tip. NAPPA - Via Giovanni Palladino, 51, (Università Vecchia) - Napoli", Dalla pagina tre, in cui si nota lo stemma, si inizia col parlare della storia del paese e delle varie supposizioni tra cui "L'attuale stemma del Comune di Cicciano rappresenta nel centro di uno scudo ovale e senza fregio, una mammella su cui si posa, come in atto di carezzarla, una mano che si protende dal lato sinistro della corona; ma la parte inferiore della figura è costituita da una doppia sbarra o, come alcuni interpretano, da un doppio ponte, sostenuto da un pilastro. Intorno corre la scritta: Universitas Castri Cicciani", anche se, secondo l'autore, dovrebbe essere "Castri Cicciani Universitas" e a pagina 15 sono messi in risalto i due stemma, ovvero l'attuale e l'originale.

catasto 1746Ma tralasciando le disquisizioni, riguardanti lo stemma ed il nome del paese, nel testo vi è una pagina, che tratta di "DOCUMENTI", di uno dei quali si riporta il contenuto, integralmente:

Il DOCUMENTO 1 così recita: "ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI - ATTI PRELIMINARI N: 931 - Vol. 3 - Istanze e documenti Volumetti N. 2 - Apprezzo - Squarciafogli dell'apprezzo - Libro di Tassa".

L'attenzione si posa più sul DOCUMENTO 2, ovvero: "ARCHIVIO DI STATO - NAPOLI --CICCIANO - ONCIARIO DELL'ANNO 1746 - N. 935 - Catasto della Terra, Seu Castello di Cicciano - D. O. M."

Ma ecco il contenuto: "La terra, seu Castello di Cicciano, che nella nostra Campagna Felice trovasi situata tra il piano, e il piede del Monte del Castello di Rocca Raynola, lungi da circa un miglio e mezzo dal Venerando Santuario e Terra di Cimitile, e dai circa due dall'antichissima Nola, che per la salubrità dell'Aere sotto piacevolissima Clima, per l'umanità dei giardini, e Fertilità dei Campi, lunga, e sana Vita agli abitatori conserva, più Forestieri, ha indotti a possedervi beni, e non pochi Coloni a sudare nel suo Territorio: Non invidiosa agli Edifici, dà l'abitazione a 1840 Anime, di animi, se non piena, mediocremente ornati di doti Morali. Termina il suo Confine colle pertinenze di Faibano, Campasano, Resigliano, Rocca Raynola, Cimitile, Nola, ed altri. E viene posseduta nella Giurisdizione secolare dell'Illustre Barone Fabrizio Testa-ferrata di fuori Regno, e nella Ecclesiastica dalla Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano il Maltese, e per essa dall'Ill.mo Frà Don Giuseppe Maria Cicinelli commendatore. Al presente retta e governata da Luigi Vitale e Domenico Taliento Eletti che da sano consiglio drizzati, quanto ossequiosi Venatori, tanto esattissimi esecutori degli ordini Reali emanati dal Re N. S. (Dio G. di) per la formazione del presente Catasto, avendo me sott. Gio Tomaso d'Amato assunto per Cancell. e coll'assistenza ed intervento delli Mei Dr. Fis. Michele Vitale, Onofrio del Campo Carmine, e Nicola di Luca Giuseppe d'Avanzio e Carlo Capoluongo cittadini per deputati in pubblico Parlamento Eletti han dato fine ad esso per la maggior Gloria del Sommo Motore, pronta obbedienza del nro Regnante, e suoi Ministri, ed utile del Comun Pubblico oggi 27 Agosto 1746

D. Fr. sco Michele Vitale deputato f.f

Onofrio del Campo dp.to.

Carmine de Luca deputato

Nicola de Luca deputato

*Segno di Croce di Giuseppe d'Avanzio dep.to S. N.

*Segno di Croce di Carlo Capoluongo dep. S. N.

Domenico Taliento Eletto

Aloisi Vitale Eletto

Not.r Gio: Tomaso d'Amato Calcell. e f.f.".

Alla scoperta del Castello dei Conti di Acerra

Marianna Ambrosino in HetorLa Campania da riscoprire del 14 febbraio 2018.

Castelo di AcerraIl complesso monumentale del Castello dei conti di Acerra sorge ai margini del centro storico, nell’omonima piazza. Più precisamente, esso si trova sull’estremità nord del quadrilatero dell’antico impianto urbanistico di origine romana, appena fuori dalle mura.

Il nucleo centrale, dalla particolare pianta semicircolare, infatti, sorge sui resti di un teatro romano, come testimoniamo strutture murarie dell’epoca in opus reticulatum e opus listatum, e alcuni reperti (come cocci e parti di colonne) rinvenuti all’interno nel corso di alcuni lavori di consolidamento delle fondazioni eseguiti negli anni ’80. La costruzione di un edificio difensivo sui resti del teatro romano avvenne, molto probabilmente, ad opera dei Longobardi come testimonia un documento dell’anno 826 d.C. “…In quest’anno Acerra appartenne di bel nuovo ai Longobardi, i quali vi avevano edificato un Castello”.

Il Castello fu distrutto poco dopo dagli stessi longobardi, fino a farne perdere qualsiasi traccia per diversi secoli. Le prime notizie, infatti, arrivano solo nel XII secolo, quando Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, spedisce dal castello di Acerra un decreto all’arcivescovo Cesario di Salerno.

Nel XV secolo viene ristrutturato e, poco dopo, durante il conflitto tra la contea di Acerra e il Regno di Napoli, il castello viene danneggiato. Un documento del 1481 ci descrive il Castello che risultava essere già allora molto simile a come appare oggi, probabilmente restaurato dal Conte Origlia poco prima del 1412 e successivamente all’assalto di Alfonso D’aragona.

Bisogna aspettare, poi, il XVIII secolo per un ulteriore abbellimento della struttura. Nello specifico, fu in occasione del matrimonio di Maria Giuseppa de Cardenas, ultima contessa di Acerra, ed il generale Francesco Pignatelli che si procedette alla ristrutturazione del pavimento (decorato con gli stemmi delle famiglie). Nello stesso periodo venne realizzato il ponte fisso (che sostituì quello mobile) poggiato su due archi in murature, le sale ad est e ad ovest, e il relativo ingresso coperto prima dell’androne.

Nel 1806, in seguito all’abolizione della feudalità, il castello divenne proprietà privata dei Cardenas, diventando così abitazione e mantenendo questo stato fino al 1920, quando il Castello venne acquistato dal Comune che lo utilizzò come sede amministrativa fino ai primi anni ’90.

Alla struttura, parzialmente circondata dall’antico fossato, vi si accede tramite un ponte fisso a due piloni, realizzato alla fine del ‘700; subito dopo vi è la porta di ingresso, l’unico varco nella murazione che circonda l’edificio.

L’ingresso, coperto da volte a botte (che presentano ancora tracce di affresco), permette l’accesso ad un primo spazio aperto: sul lato destro c’è una scala che porta al camminamento sulle mura; a sinistra una sala con due pilastri centrali, coperta da volte a vela.

A destra dell’androne domina un’imponente torre semicircolare che si configura come il mastio del complesso: in alto si possono notare le feritoie dalle quali si calavano le sentinelle in caso di attacco.
Da qui si accede alla scala che porta ai piani superiori: al secondo piano, in particolare, si trova il salone utilizzato come Sala Consiliare, in cui è esposto uno stemma che era precedentemente affisso sul portale d’ingresso.

Dall’androne si accede anche al cortile interno, delimitato a nord da un muro a forma semicircolare. Tale particolare trova spiegazione dal fatto che il Castello fu costruito sui resti di un antico teatro romano del I secolo, di cui è ancora visibile parte della scena nei sotterranei dell’ala est.
L’affascinante scoperta, svoltasi sotto l’egida della dottoressa Giampaola nel 1982, ha portato alla luce numerosi reperti ed elementi che decoravano la scena.

Tuttavia gli scavi non hanno riportato in luce la cavea e l’orchestra che dovrebbero svilupparsi, con buona probabilità, sotto il cortile e il giardino. Di recente, i soci dell’Archeoclub si sono prodigati nella ripulitura da materiali cartacei ed altro della zona archeologica, rendendo quindi possibile la visita agli scavi.

Oggi esso ospita importanti istituzioni culturali quali la Biblioteca Comunale, la Civica Scuola di Musica ed il Museo Civico articolato in tre sezioni: Archeologica, del Folklore e della Civiltà Contadina, della Maschera di Pulcinella.
Secondo la tradizione, riportata da un testo del ‘500, e un famoso dipinto attribuito a Ludovico Carracci, la città ha dato i natali alla maschera di Pulcinella, motivo per il quale all’interno del castello è stato inaugurato nel 1993 il monumento a Pulcinella e il museo a lui dedicato.