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MADONNA DEGLI ANGELI: CICCIANESI E CAMPASANESI GAREGGIANO PER L'APPARIZIONE

Da "Cenni storici su Cicciano e sul Santuario della Madonna degli Angeli". Nota di Nicola Montanile al tempo del coronavirus.

 

Cicciano Santuario Madonna degli AngeliDa " Cenni storici su Cicciano e sul Santuario della Madonna degli Angeli. Corretti ed ampliati sul manoscritto che si conserva nello stesso santuario dal prof. Clemente Russo”, Nola - Stab. Tip. D.co Basilicata & Figli - 1940 - XVIII - Nola, libretto stampato a cura del Custode Giovanni Trancredi, si rileva: "Lo scoprimento del miracoloso quadro della Vergine degli Angeli avvenne per opera divina. Il fondo confinante col detto Santuario era circondato da una folta siepe di spine e di betulle, come ora è circondato da un muro di cinta. Il colono del fondo, che era un cittadino di Camposano (questa è la ragione per cui i Campasanesi gareggiano coi Ciccianesi nell'onorare sia nell'ottava di Pasqua, che nel corso dell'anno questa Celeste Regina), un bel giorno, arando la terra con due giovenchi novelli, questi, giunti presso la siepe, dove si trovava sotterrato il quadro, sostarono, e sebbene sferzati a sangue, s'inginocchiarono e non vollero rialzarsi. Il buon uomo, timorato di Dio, capì che qualche cosa di miracoloso doveva trovarsi nel folto della siepe. Lasciò i suoi proni alla divina adorazione, e corse a darne notizia ai suoi concittadini ed a quelli di Cicciano. La notizia si sparse rapidamente e tutto il popolo accorse per osservare la posizione dei giovenchi, e così venire alla decisione di abbattere il cespuglio e fare degli scavi. Infatti, molte persone si misero all'opera recitando il divino rosario. Iddio premiò le loro fatiche. Ad un metro al di sotto del cespuglio, si presentò un muro con una nicchia, ed in questa l'immagine di Maria Santissima, seduta sulle nuvole, in alto di allattare il divino Bambino Gesù, posato sulle ginocchia, con tre testoline di serafini a destra e a sinistra del suo capo, che la contemplano e la salutano loro Regina. Come si osserva, il miracoloso quadro è un antica pittura dell'affresco. L'epoca precisa della costruzione del Tempio s'ignora, come pure, non furono registrate le prime grazie che sebbene strepitose, la Regina degli Angeli largì in questa devota contrada".

Maria SS. degli AngeliIl testo interessantissimo contiene altri bellissimi cenni sulla prodigiosa immagine, nonché una poesia "Ave, Regina Angelorum" e "Guarigioni ottenute per l'intercessione della Madonna degli Angeli", da cittadini, e tra questi se ne riporta una: "Nel colera del 1894, ed in quello del 1911, il tempio della Vergine venne adibito per lazzaretto, i colerosi ivi trasportati si stabilirono quasi tutti per l'intercessione della Vergine. Nel 1910 il terziario Francescano fra Tarcisio dell'Ordine Osservanti, ed ex studente chierico cappuccino, al secolo Giovanni Tangredi, che per malattia fu costretto a deporre l'abito, si ritirò al Tempio di questa Celeste Signora per servirla e menare una vita eremitica. Dopo tre anni si ammalò di polmonite, si raccomandò di cuore a Maria, e guarì. Come pure attaccato nel 1919 dalla spagnuola fu di nuovo liberato dalla vergine dal pestilenziale morbo; grato alla sua cara benefattrice coi suoi risparmi e copertina cuori a mariacoll'elemosina dei cittadini, comprò un diadema d'argento ed una antica campana di più di un quintale, essendo la più grossa di una trentina di chili, e la più piccola era rotta".

Questi, in breve, due dei tanti miracoli della Vergine degli Angeli, altri si possono trovare anche nel testo di Storia Patria "Cuore a Maria" - aprile 1954, che si consiglia di leggere soprattutto per non aver paura del morbo attuale e avere una profonda fede.   

Nel ventennale della scomparsa di Camillo Marino: Quei ragazzi di Avellino che volevano cambiare il mondo

Evento organizzato da ANPI e Associazione Irpinia Ritrovata, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Campania e Quaderni di Cinema Sud. Foto: Fonte Internet. 

Camillo Marino 1 8ee9767f8c9ad58e46fd2dbf3120b775 XLL.P. – 30.01.2012 - Presso il Circolo della Stampa di Avellino, il 27 novembre 2019, il regista Giambattista Assanti ha presentato la sua ultima operaIl giovane Pertini”, film insignito della nomination al Premio David di Donatello; il partigiano Rodolfo De Rosa ha rievocato una pagina della Resistenza in città nel 1943; Giovanni Capobianco, presidente ANPI Avellino, ha parlato di Il nostro vecchio Presidente, esempio per i giovani

Camillo Marino 2 imagesNel secondo appuntamento, sempre al Circolo della Stampa di Avellino, il 29 novembre 2019, Paolo Speranza ha parlato de Il viaggio di Camillo Marino dal Laceno d’Oro al Grande Cinema con brani de La Donnaccia, film con soggetto di Camillo Marino, e di C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, ispirato a Camillo. Claudio Rossano, poi, ha argomentato su “Camillo Marino, Michele Vietri e Giacomo d’Onofrio: Il Cinema, il Sud, l’Arte, l’Amicizia”. Hanno moderato Mimmo Limongiello, Comitato Provinciale ANPI, e Gerardo Troncone, presidente Associazione Irpinia Ritrovata.

Poesie di Camillo Marino untitledNel corso dell’evento sono state proposte Me ne vaco da Amalfi e Aggio scetata ‘a luna l’‘ata sera, canzoni di Camillo Marino nell’interpretazione di Michele Vietri, con Massimo Vietri alla chitarra e Ivan Barbone al violino, e sono state proiettate immagini fotografiche di Mario Spagnuolo sui luoghi legati alla memoria di Camillo Marino

 

cd4f96c55e95e78e94868b367a0ea268CAMILLO MARINO (Salerno, 5 maggio1925Avellino, 30 settembre1999)  è stato un critico cinematografico, sceneggiatore e giornalista italiano. 

Cinema - Camillo Marino è stato il fondatore, insieme a Giacomo D'Onofrio, del Laceno d'Oro, Festival del Cinema Neorealista.

Dopo la licenza liceale classica, è allievo del matematico napoletano Renato Caccioppoli alla Facoltà di Fisica di Napoli che lascerà, ad un solo esame dalla laurea, per dedicarsi completamente al cinema e alla politica.

Fonda Cinemasud, rivista neorealista di avanguardia e di cinema politico, che in quarant'anni avrà collaboratori eccellenti ed una diffusione mondiale. Dalla rivista nascerà il Festival del Cinema Neorealista che con Pier Paolo Pasolini, Marino e D'Onofrio partirà nel settembre del 1959.

Amico di Luis Buñuel, Ken Loach, Carlo Lizzani, Gillo Pontecorvo, Luigi Zampa, Giuliano Montaldo, Lina Wertmüller, Ettore Scola, Tinto Brass, dei fratelli Taviani. Camillo Marino era molto conosciuto nell'Europa dell'Est, dove collaborò a riviste e dove fu membro di giurie di importanti premi cinematografici.

La sua passione di cinefilo è stata immortalata da Ettore Scola in C'eravamo tanto amati film in cui il personaggio di Nicola Palumbo (professore di liceo campano, cinefilo ed ex partigiano), interpretato da Stefano Satta Flores, è dichiaratamente ispirato a Camillo Marino.

Si ricordano alcune sue brevi apparizioni nei film Due soldi di felicità (1954) di Roberto Amoroso, Capriccio (1987) dell'amico Tinto Brass e in La donnaccia (1964), di cui fu autore del soggetto insieme al regista Silvio Siano e a Pasquale Stiso. Sempre nel 1964 scriverà anche il soggetto di un altro film diretto da Siano, "La vedovella" interpretato da Margaret Lee, Peppino De Filippo e Aroldo Tieri.

Il 1988 sarà l'anno dell'ultima edizione del Laceno d'Oro. Camillo decise di dar fine alla sua creatura pur di non rischiare di consegnarlo nelle mani della politica locale.

A due anni dalla scomparsa di Marino, nel 2001, è stato istituito un Premio in suo onore e dal 2003 la manifestazione ha assunto il nome di “Premio Camillo Marino – Laceno d'Oro”.

Politica - Giovanissimo partecipa alla Resistenza.Viene arrestato insieme ad altri giovani irpini tra cui Federico Biondi e Antonio Maccanico.

Si iscrive al PCI, da cui sarà espulso, e successivamente nel PSI, all'interno del quale militerà nella corrente di sinistra

Filmografia

Attore: 1954: Due soldi di felicità di Roberto Amoroso; 1964: La donnaccia di Silvio Siano; 1987: Capriccio di Tinto Brass.

Soggettista: La vedovella, regia di Silvio Siano (1964); La donnaccia, regia di Silvio Siano (1964).

(tratto da Da Wikipedia, l'enciclopedia libera)

Natale: da antica festa pagana del Sole Invitto a festa cristiana

Scritto da Carolina Milite il 24.12.2019 su Ulisse on line.

Natale 696x909Il Natale è la festa più sentita in tutto il mondo. Negli anni ha assunto anche un significato laico, legato allo scambio di regali, alla famiglia e a figure del folclore come Babbo Natale. Senza dimenticare la tradizione del presepe, di origine medioevale, e l’addobbo dell’albero, che si è diffusa successivamente a partire dal Nord Europa. La data del 25 è, in realtà, puramente simbolica: non si conosce la data esatta della nascita di Gesù, i Vangeli non ne fanno menzione. Con tutta probabilità venne fissata nel 440 d.C. al 25 dicembre per sostituire la festa del Natalis Solis Invicti (“Sole invitto”) con la celebrazione della nascita di Cristo. Secondo tale ipotesi, il Natale sarebbe dunque il più eclatante caso di cristianizzazione della preesistente festa pagana.

Eliogabalo imperatoreAndiamo, dunque, a dare uno sguardo alle origini precristiane del Natale. Invitto era un appellativo religioso usato per alcune diverse divinità nel tardo Impero romano: Helios, El-Gabal, Mitra oltre che per il dio Marte. Il Sol Invictus, inoltre, compare come divinità associata al culto di Mitra. Il culto acquisì importanza a Roma per la prima volta con l’imperatore Eliogabalo che fece costruire un tempio dedicato alla nuova divinità sul Aureliano imperatore Musei Capitolini MC493Palatino. In seguito, nel 274, Aureliano ufficializzò il culto solare, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifices solis invicti). L’adozione del culto del Sol Invictus fu voluta da Aureliano quale elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell’impero. Anche molte divinità greco-romane, come Giove e Apollo, erano identificate con il sole. Inoltre, come riferisce Tertulliano, molti credevano che anche i cristiani adorassero il sole. Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus verso la fine del 274, natalis solis invictil 25 dicembre, e una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno di nascita del Sole Invitto”, facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero e indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del Dies Natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava sulla festa romana più antica, i Saturnali.

San Gregorio di NissaLa prima testimonianza della celebrazione del Natale cristiano successiva risale al 380 grazie ai sermoni di san Gregorio di Nissa. La festa del Natale di Cristo, infatti, non è riportato nei più antichi calendari delle festività cristiane e anche in seguito veniva celebrato in date estremamente differenti tra loro. Anche l’imperatore Costantino imperatoreCostantino sarebbe stato un cultore del Dio Sole, in qualità di Pontifex Maximus dei romani. Dopo aver abbracciato la fede cristiana, nel 330 l’imperatore ufficializzò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù, che con un decreto fu fatta coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus. Il “Natale Invitto” divenne il “Natale” Cristiano. Verso la metà del IV secolo papa Papa Giulio I Giulio I ufficializzò la data del Natale da parte della Chiesa cattolica: « In questo giorno, 25 dicembre, anche la natività di Cristo fu definitivamente fissata in Roma. »

La religione del Sol Invictus restò in auge fino al celebre editto di Tessalonica di Teodosio I del 27 febbraio 380, in cui l’imperatore stabiliva che l’unica religione di stato era il Cristianesimo di Nicea, bandendo di fatto ogni altro culto. Il 3 novembre 383 il Dies Solis, che era chiamato anche Dies Dominicus, giorno del Signore, in accordo con l’uso cristiano attestato da quasi tre secoli, fu dichiarato giorno di riposo obbligatorio per le liti giuridiche, per gli affari e per la riscossione dei debiti, comandando che fosse considerato sacrilego chi non ottemperava all’editto.

Cristo Re Dies DominicusiL’elemento della luce e le sue fonti, la lucerna, il fuoco, le stelle, la luna e primo fra tutti il sole si riferiscono innanzitutto alla loro realtà fisica. In seguito all’esperienza umana questi termini si caricano di ulteriori significati e diventano metafora o simbolo assumendo significati più ampi e complessi. La luce si contrappone all’oscurità, il giorno alla notte per questo motivo la luce diventa simbolo di verità, di conoscenza, di consapevolezza che si contrappone all’oscurità dell’ignoranza e della menzogna. Anche il giudaismo assume il simbolo universale della luce o del sole e successivamente il cristianesimo lo lega alla figura di Cristo come colui che porta la conoscenza e la verità al mondo.

IL MAIO DI BAIANO: UNA COSTUMANZA ARCAICA DI FEBBRE RIGENERATRICE

Appunti di Nicola Montanile ai margini di una festa. Foto di Carmine Montella.

Entro i relitti dellambiguo l6004 Gennaio 2020 - Le festa popolari derivano da credenze e usanze antichissime. Il loro significato va infatti ricercato in lontanissime cerimonie, nelle quali erano riflesse concezioni magiche e religiose connesse al lavoro agricolo ed al continuo rinnovarsi della natura. Tale significato, con il tempo, sia per l’influsso della cultura in evoluzione, sia per l’azione regolatrice e moralizzatrice esercitata dal Cristianesimo, ha subito un totale cambiamento. Ciò nonostante le tradizionali celebrazioni legate al perpetuo mutare delle stagioni, sono sopravvissute senza perdere del tutto caratteristiche che ne avevano causato il sorgere e il tramandarsi. In queste numerose e caratteristiche feste a sfondo agricolo e religioso, l’albero ha avuto ed ha tuttora un ruolo importantissimo, avendo dato origine a sagre in tutta l’Europa. Dalle caratteristiche generali delle “ierofanie vegetali” abbiamo già parlato in un precedente articolo”. Così introducono il loro lavoro gli studenti della I C del Liceo Scientifico “E Medi” di Cicciano, Giuseppe Bonaiuto e Pierluigi Romano, nel testo, coordinato dal prof. Franco Salerno, anno scolastico 1982-1983, “Entro i Relitti dell’Ambiguo”, edito per la Tipografia FerraraQuindi la festa del Maio, da poco conclusasi, felicemente e con successo, assume, senz’altro, una importanza notevolissima e presenta vari livelli.

maio 1“PRIMO LIVELLO: Caratteristiche generali delle feste del “maggio”, che sono diffuse in tutta Europa, Due le interpretazioniLa prima è quella di Paolo Toschi, presentata nel suo libro “Le origini del teatro italiano”. Egli, riguardo ai cosiddetti “maggi”, scrive: Crediamo di non andare molto lontano dal vero opinando che fin dalla remota antichità, le varie popolazioni che abitarono l’Italia festeggiassero il ritorno della primavera e l’inizio di un ciclo annuale o stagionale in una data che ha per centro il primo maggio: i riti che si compivano dovevano svolgersi secondo un principio generale comune, ma con la varietà di espressioni che la diversa formazione etnica e religiosa comportava. Per quanto riguarda il Lazio, ci troviamo di fronte ai problemi delle conoscenze circa la dea Maja, il “mensis majus”, la festa della “Majuma” e i “Floralia”. Una delle più antiche divinità laziali era Maja o Majesta. Essa significava il rigerminare della vegetazione della terra in maggio. Si trattava di feste estremamente licenziose. Già nell’ultimo secolo della repubblica vi prendevano parte delle danzatrici-meretrici.

La seconda è quella che Mircea Eliade propone mettendo a fuoco tre elementi caratterizzanti di queste “feste di magggio”: La prosperità rigeneratrice, il carattere collettivo e l’aspetto orgiastico. In Europa esiste ancora l’uso di portare un albero della foresta e collocarlo in mezzo al villaggio in primavera, all’inizio dell’estate o per San Giovanni, oppure tutti vanno nel bosco a tagliare rami verdi e li appendono nelle case, per assicurare la prosperità del capofamiglia. Questo si chiama ‘albero di Maggio’ o ‘May-pole’. In tutti i luoghi dove si ritrova questo cerimoniale, il Maggio dà occasione a divertimenti collettivi che finiscono con un ballo intorno all’albero. E’ una festa della primavera che, come tutte le manifestazioni del genere, ha qualche cosa dell’Orgia.

SECONDO LIVELLO: Articolazione della “festa d’ò majo” a Baiano

maio 2Diretta e chiara testimonianza di quanto hanno scritto da Eliade e Toschi, è la festa da noi scelta come campo di analisi. Cominciamo con il dare qualche notazione descrittiva sul luogo del rito. La città di Baiano si estende ai limiti della provincia di Avellino, in una fertile valle, attorniata dai Monti Avella, Summonte, Cornaioli e di Arciano. La popolazione di Baiano gravita, per quanto riguarda le attività economiche, su Napoli e su Pomigliano d’Arco, sede dello stabilimento Alfa Sud. La caratteristica del folklore è rappresentata dalla festa religiosa popolare del “Majo Natale”, dedicato al santo protettore Stefano Protomartire, a cui è stata innalzata, tra l’altro, l’omonima chiesa. Utilizziamo, come materiale – sulle fasi e le modalità con cui si svolge attualmente la festa – il testo di Vittorio Vecchione “La festa d’ò majo a Baiano” (1979) - sulla scorta delle indicazioni di questo testo, dividiamo lo svolgimento della festa in quattro fasi1) La prima fase della festa consiste nello sradicamento dell’albero, nel suo trasporto e nella sistemazione di esso al centro della piazza. Più precisamente la cerimonia si svolge in questo modo. La sera del 25 dicembre, dopo la rituale Messa natalizia, una squadra di forti e valenti “mannesi” (segatori di legname) si reca con cani e con un consistente numero di giovani, armati di carabine, al bosco di Arciano. Quivi essi segano il più alto dei castagni della selva comunale e lo caricano su un camion che giunge in paese al tramonto. A questa gioiosa festa partecipa tutta la popolazione baianese, accorrendo in massa con entusiasmo e facendo spesso a gara per partecipare alla spedizione presso il bosco di Arciano. Per i giovani è, evidentemente, motivo di orgoglio e atto di coraggio e di audacia il far parte della squadra dei “mannesi”. 2) La seconda fase è costituita dalla “processione” del castagno attraverso le vie del paese, quando, cioè, la popolazione scarica la sua intensa sete di rumore e di allegria, lanciando in aria petardi e colpi di carabina. 3) La terza fase è costituita dal rito, durante il quale l’albero viene issato con funi e posto in una grande buca nel centro della piazza, proprio di fronte alla chiesa del santo4) La quarta fase consiste nella conclusione della festa, durante la quale viene appiccato un fuoco, su di una gigantesca pira, fatto di rami, carte e oggetti vari.

maio 3TERZO LIVELLO: Analisi dei temi ed elementi della struttura della “festa d’ò majo”. Gli elementi strutturali della manifestazione sono i seguenti: a) La socializzazione. Si deduce che tutta la popolazione di Baiano accorre per vedere il “majo” consacrato al prodigioso santo Stefano, suo patrono. Il “socializzare”, cioè il porre il rito sotto l’ottica del “collettivo”, è, senza dubbio, un fatto alquanto positivo, poiché, in questo caso, lo stare insieme ha il giusto scopo di far vivere un profondo momento di fede e, contemporaneamente, attimi di vero “accomunamento” con l’altro. Già uno dei primi studiosi del “majo” di Baiano, Antonio D’Amato, rilevava questa caratteristica della ”socializzazione”, quando scriveva chericchi, poveri, signori e plebei, tutti vengono a portare la loro offerta di legna”. b) L’agonismo. In dialettica con il tema della “socializzazione” figura l’agonismo, che è stato ben analizzato da Paolo Toschi, il quale afferma “Anche il semplice fatto di scegliere e trasportare il ‘majo’ dal bosco in città rinserra spesso un motivo agonistico, in quanto esso costituisce un atto di coraggio e di audacia compiuto per imporsi all’ammirazione delle ragazze, e offre l’occasione, ai maggiaioli, di superare, nella scelta e nella bellezza dell’albero, la schiera dei giovani che avevano piantato il ‘majo’ l’anno precedente. c) L’entusiasmo (3). Queste due caratteristiche generano a loro volta un atteggiamento ”religioso”: l’entusiasmo che etimologicamente significa appunto “ispirazione divina” di tipo bacchico-dionisioco (4), che finisce per essere un “andare oltre” la “norma”. Antonio D’Amato, infatti, scriveva che durante questa festa “l’entusiasmo del popolo non ha limiti”.

Il sincretismo pagano – cristiano

Maio 4Proprio questo “entusiasmo” è l’elemento che spinge verso un’aria “pagana”, perché la festa è caratterizzata da baldoria incontenibile e scene addirittura quasi orgiastiche. Del resto è significativo che una canzone d’accompagnamento dell “processione” del “majo” reciti nel seguente modo mescolando “furore orgiastico” e fede cristiana. “Sto Natale è festa nostra/che te sceta pur ‘e Sante/mett’a pressa ‘a tutti quante/d’int’ ‘vvene pe’ cantà(5). In verità in altre località del Sud proprio per questi motivi la festa del “majo” è stata avversata dalla chiesa, mentre a Baiano il Parroco benedice addirittura il “majoì” e il giorno dopo guida la processione di Santo Stefano. Comunque resta fermo che la festa, avendo dei tipici rituali così grossolani, ma anche tanto affascinanti, riporta senz’altro la mente indietro nei millenni a costumanze antichissime o meglio precristiane, i cui riti, libagioni e gesti si riflettono quasi direttamente in quella che è oggi la “festa d’ò majo”. 

d) La genesi. E’ possibile, a questo punto, ricostruire la genesi del “majo” di Baiano. Secondo G. Mang è un “avanzo d’una usanza dei Germani antichi”, che passarono per queste regioni. Secondo Filippo di Castel Lentini, la festa affonda le sue radici nella cultura (6) italiana dal momento che nella zona dell’Appennino pistoiese si celebrano feste nominate “Cantamaggio”, assai simili a quelle di Baiano. Di una tesi simile si fa portatore Raffaele Corso che scrive “il majo irpino rientra in quella grande famiglia dei riti magico-sacro che i primitivi abitatori dell’Appennino solevano celebrare ora nel solstizio di inverno, ora nel solstizio d’estate, vuoi come incantesimi del sole, come opina Westermarck”. In ogni caso, come si vede, al dì là delle differenziazioni tra queste tre tesi, almeno un elemento in comune possiamo riscontrare: la tesi della presenza, all’interno della stratificazione strutturale della “festa d’ò majo” di un sincretismo (7) fra “cultura cristiana e cultura non cristiana” (sia che si tratti di “cultura pagana” o “cultura folklorico-popolare” o “cultura magico-sacrale”). 

Maio 5e) Il fuoco. In questa festa molta importanza ha il “fucarone”, altro tipico simbolo delle antiche feste italiane e dell’Europa in senso lato. Presso Baiano, comunque, il fuoco ha sicuramente uno scopo magico, poiché serve soprattutto per allontanare le epidemie (8) dalle famiglie e dal bestiame. Inoltre, elemento insieme distruttore e benefico, il “fucarone” è oggetto a un tempo di timore e di venerazione; l’accenderlo diventa una cerimonia sacra e si ha grande cura di custodirne la purità. Il “rito del fuoco” ha, quindi, in sostanza, un motivo sacrificale, nel senso che è finalizzato a ringraziare il Santo Protettore per i buoni raccolti delle campagne e, di conseguenza, per la floridezza dell’economia. In questa ottica si inserisce il simbolismo del centro(9), di cui si è già fatto cenno riguardo al simbolismo del “monte”, luogo deputato del “sacrificio archetipale” (10): infatti, come si è detto, è dal monte che l’albero viene sradicato ed è al “centro” della piazza che esso viene issato. Sull’originalità del “rito del fuoco” nel “majo” di Baiano all’interno delle feste del “maggio” si leggono queste note di Raffaele CorsoParrebbe, a prima vista, che nulla abbia di singolare questa costumanza, vestigio di <fuochi sacri> tra passati nella relgione cristiana con quella pagana: ma non è così, ove si consideri che gli elementi onde essa risulta e si svolga, il falò e il ‘majo’, si presentano, in tanti altri casi come due fatti distinti, mentre a Baiano sono associati e insieme combinati. Questa duplice categorie di cerimonie dovettero formare un tempo remoto, un solo rito, il quale, a poco a poco, per quel processo di disintegrazione che è nell’ordine delle cose, si sarebbe scomposto e frammentato, riducendosi ora alla sola rappresentazione del <focaraccio> rituale, ora a quella del ‘maggio’. La supposizione non è infondata, ove si tenga presente che in vari paesi e paeselli dell’Abruzzo, una regione non tanto discosta dall’Irpinia, il falò natalizio si prepara con la fiaccola di pino, di faggio, di ginepro, di tasso barbasso, con cui i popolani accompagnano le proprie donne alla messa notturna. Ma il majo non c’è. D’altra parte, laddove questo si consuma, il focaraccio non l’accompagna“.

Da queste note conclusive deduciamoaffermano gli studenti Giuseppe Buonaiuto e Pierluigi Romano della Prima C dell’Istituto Liceo Scientifico “E. Medi” di Cicciano, anno solastico 1982 – 1983 che il sistema culturale del ‘majo’ di Baiano si presenta da un lato come l’effetto di un lungo processo di sedimentazione, il quale affonda le sue radici nelle venerazione di divinità del fuoco e del focolare (Estia in Grecia e Vesta a Roma), dall’altro come uno di quei ‘relitti dell’ambiguo’, che è sopravvissuto, con la sua ‘organicità’ e ‘compattezza’, nel ‘processo di disintegrazione’ che è nell’ordine delle cose”.

Note dell’autore: 1) Ierofania: Indica qualche cosa che manifesta il sacro. 2) Orgia: Termine derivato dal greco “òrghia”, che significa “culto misterioso” o “misteri”; in genere veniva riferito ai culti di Demetra e di Bacco.

Note, a cura degli studenti della Ia C Liceo Scientifico E. Medi di Cicciano: 3) Dal greco “enthusiasmò” significa condizione derivante dalla presenza della divinità nell’animo, invasamento. Nella dimensione antropologica, indica una scarica frenetica di pulsioni inividuali e collettive. E’ in rapporto con l’orgia e la trance4) L’espressione deriva da Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, dio del vino, della gioia, dell’ebbrezza e del benessere fisico. Scacciato da Licurgo, re degli Edoni, e da Penteo, re di Tebe, girò per la Grecia con una schiera di “baccanti”, poi passò in Asia, giungendo fino in India e dappertutto introdusse il culto. Scese anche nell’Ade per condurre nell’Olimpo la madre Semele, morta nel darlo alla luce: evidenti sono i nessi Luce/Tenebre e Vita/Morte, che sono alla base di tanta parte della religione e della magia. A causa anche delle influenze asiatiche il suo culto assunse carattere orgiastico: chiassose e disordinate erano le feste in suo onore caratterizzate infatti da abbondanti libagioni di vino e dalla violazione delle norme erotiche5) Questo Natale è una festa nostra//che sveglia anche i Santi/provoca una febbre a tutti quanti/nelle vene di cantare. (6) E. B. Taylor, che fu il primo ad usare tale termine nell’accezione antropologia, la definì in “La cultura primitiva, 1871 ”quel complesso insieme, quella totalità che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità ed abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. La c. ha un aspetto inequivocabilmente storico; ”L’eredità sociale è il concetto-chiave dell’antropologia culturale”. Come “concezione del mondo e della vita” può essere “ufficiale” ed “alta” (delle classi o ceti dominanti) oppure “subalterna” (delle classi subalterne). 7) Deriva dal greco “syncretismò”, che indica in Plutarco (Moralia, 490) l’unione dei cretesi di fronte ad un comune nemico; è poi passato a significare una fusione di dottrine religiose e di livelli culturali diversi8) Significativo fu il ricorso alla processione di S. Stefano, santo del “majo” per ottenere protezione durante la funesta epidemia di “vaiolo nero”, che colpì la zona di Baiano nel 1903. 9) Omphalòs. Termine greco (in sancrito “nabhih” e in latino ”umbilicus”), che significa letteralmente “Ombelico”, ma anche “centro, punto centrale”. Ha un ruolo sacro: infatti nella tragedia greca è l’oracolo di Delfo ad essere chiamato “omphalòs ghès” = “ombelico”, centro della terra (Eschilo: Eumenidi, v. 40; Sofocle: Edipo re, v. 898; Euripide, Medea, v. 668). Il ruolo sacro di esso è stato studiato da M. Eliade in T.s.r.: In tutte le tradizioni l’ombelico è una pietra consacrata da una presenza sovraumana, è il luogo sacro per eccellenza, l’ombelico, che con il suo simbolismo garantisce una nuova nascita e una coscienza reintegrata. 10) In filosofia, termine usato nella tarda antichità ellenica, per indicare l’idea platonica, ossia il modello originario (in greco “archètipon”) delle forme, di cui le cose sensibili sono semplici copie. In psicoanalisi questo concetto è presente nelle teorie di C. G. Jung, per il quale “nell’inconscio sono presenti non soltanto le latenze rappresentazioni appartenenti originariamente alla coscienza del singolo individuo, ma anche le altre, che hanno un carattere universalmente umano e si attuano, oltre che nei sogni, nelle visioni e nei deliri dei singoli individui, anche nel simbolismo dei materiali mitologici e dei sistemi religiosi” (E.. G. f., p. 471). Nella storia delle religioni la categoria “archetipo” è stata adottata da M. Eliade in T.s.r.. L’aggettivo di “archetipo” è “archetipale”.

NOTERELLE STORICHE SU CICCIANO

Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti … documenti sullo stemma e sull’Onciario del 1746.

 

Lo stemma di Cicciano nel tempo da Il Gazzettino dic. 2011 pag. 9 CopiaNicola Montanile – dicembre 2019 - Rovistando tra scartoffie e fogli ingialliti, balza agli occhi un interessante testo di 24 pagine, con copertina grigia dal titolo "PER LO STEMMA DI CICCIANO", il cui autore è un certo Umberto Sammarco - MICHELE CARUSO – Casalnuovo di Napoli - 1934 - XII.

Il testo, che sull'antepagina presenta la stesse indicazioni, nel retro di essa non numerata, ma si capisce che è pagina 2 - anche perché si evince che tutti i retro, non sono numerati - evidenzia in basso anche "Tip. NAPPA - Via Giovanni Palladino, 51, (Università Vecchia) - Napoli".

Dalla pagina tre, in cui si nota lo stemma, l’autore inizia col parlare della storia del paese e delle varie supposizioni tra cui che "L'attuale stemma del Comune di Cicciano rappresenta nel centro di uno scudo ovale e senza fregio, una mammella su cui si posa, come in atto di carezzarla, una mano che si protende dal lato sinistro della corona; ma la parte inferiore della figura è costituita da una doppia sbarra o, come alcuni interpretano, da un doppio ponte, sostenuto da un pilastro. Intorno corre la scritta: Universitas Castri Cicciani", anche se, secondo l'autore, dovrebbe essere "Castri Cicciani Universitas" e a pagina 15 sono messi in risalto i due stemmi, ovvero l'attuale e l'originale.

Ma tralasciando le disquisizioni, riguardanti lo stemma ed il nome del paese, nel testo, vi è una pagina che tratta dei "DOCUMENTI", di cui di uno si riporta il contenuto integralmente.

DOCUMENTO I - "ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI --- ATTI PRELIMINARI N: 931 - Vol. 3 - Istanze e documenti Volumetti N. 2 - Apprezzo - Squarciafogli dell'apprezzo - Libro di Tassa".

L'attenzione, però, si posa più sul DOCUMENTO II, ovvero "ARCHIVIO DI STATO - NAPOLI -- CICCIANO - ONCIARIO DELL'ANNO 1746 - N. 935 - Catasto della Terra, Seu Castello di Cicciano - D. O. M."

Eccone il contenuto:"La terra, seu Castello di Cicciano, che nella nostra Campagna Felice trovasi situata tra il piano, e il piede del Monte  del Castello di Rocca Raynola, lungi da circa un miglio e mezzo dal Venerando Santuario e Terra di Cimitile, e dai circa due dall'antichissima Nola, che per la salubrità dell'Aere sotto piacevolissima Clima, per l'umanità dei giardini, e Fertilità dei Campi, lunga, e sana Vita agli abitatori conserva, più Forestieri, ha indotti a possedervi beni, e non pochi Coloni a sudare nel suo Territorio: Non invidiosa agli Edifici, dà l'abitazione a 1840 Anime, di animi, se non piena, mediocremente ornati di doti Morali. Termina il suo Confine colle pertinenze di Faibano, Campasano, Resigliano, Rocca Raynola, Cimitile, Nola, ed altri. E viene posseduta nella Giurisdizione secolare dell'Illustre Barone Fabrizio Testa-ferrata di fuori Regno, e nella Ecclesiastica dalla Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano il Maltese, e per essa dall'Ill.mo Frà Don Giuseppe Maria Cicinelli commendatore. Al presente retta e governata da Luigi Vitale e Domenico Taliento Eletti che da sano consiglio drizzati, quanto ossequiosi Venatori, tanto esattissimi esecutori degli ordini Reali emanati dal Re N. S. (Dio G. di) per la formazione del presente Catasto, avendo me sott. Gio Tomaso d'Amato assunto per Cancell.e coll'assistenza ed intervento delli Mei Dr. Fis. Michele Vitale, Onofrio del Campo Carmine, e Nicola di Luca Giuseppe d'Avanzio e Carlo Capoluongo cittadini per deputati in pubblico Parlamento Eletti han dato fine ad esso per la maggior Gloria del Sommo Motore, pronta obbedienza del nro Regnante, e suoi Ministri, ed utile del Comun Pubblico oggi 27 Agosto 1746

D. Francesco Michele Vitale deputato f.f

Onofrio del Campo dp.to.

Carmine de Luca deputato

Nicola de Luca deputato 

*Segno di Croce di Giuseppe d'Avanzio dep.to S. N.

*Segno di Croce di Carlo Capoluongo dep. S. N.

Domenico Taliento Eletto

Aloisi Vitale Eletto

Not.r Gio: Tomaso d'Amato Cancell.e f.f.".