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Pagine di Storia Avellana 2: Cronaca di un'amara e triste vicenda del 29 Aprile 1917

Dopo l'incendio e i danni, arresti ed interrogatori. Ricerca di Nicola Montanile. Seconda Parte.

prima guerra mondiale domenicaPrima di passare agli interrogatori delle persone arrestate, presunte colpevoli dell'assalto, della devastazione e dell'incendio alla sede Municipale di Avella, corre l'obbligo di inquadrare la situazione politica, sociale e culturale sia nazionale che avellana. L'Italia, infatti, è da poco, nel 1915, entrata nel conflitto chiamato in un primo momento "guerra europea", poi, per la partecipazione di Nazioni quali l'Inghilterra, il Giappone e gli Stati Uniti, si chiamerà la "Grande Guerra" o Prima Guerra Mondiale.

In Avella, sindaco è Amerigo Pescione, insediatosi il 2 ottobre 1912, e  dal 1871 è stato preceduto dai primi cittadini, quasi tutti avellani: Giuseppe Salvi (1871), Vincenzo Maria Barba (1873), Nicola Guerriero (1877), Stefano Romano (1893), Tommaso Guerriero (1897), Arcangelo Guerriero (1900), il giornalista del "Giorno" che si occuperà solo della cronaca di Nola, ovvero il Marchese Giuseppe Maietti, che, tra l'altro, sarà anche Direttore del "Corriere della Campania e dell'Irpinia", nonché promotore e istruttore di un "Ufficio Notizie", collocato nel Comando Presidio Militare di Nola per un alto senso di patriottismo, Amerigo Pescione img 0001 2favorendo i familiari dei Combattenti al Fronte per pratiche e corrispondenze; ed, infine, il catanzarese su menzionato, Amerigo Pescione, il cui padre era di Avella.

Tralasciando che i suddetti hanno tra loro legami di parentela diretta ed che, nel indiretta, come i due notai, padre Nicola e figlio Arcangelo Guerriero, si sottolinea che nel periodo in cui appare Stefano Romano, in effetti il vero sindaco è Giacomo Gragnani fu Andrea, il quale non si presenterà in nessuna seduta consiliare e si dimetterà il 24/11/1899, per cui risulterà un primo cittadino cosiddetto ombra.

Il periodo sindacale del Pescione, poi, è costellato da parecchi periodi negativi, se si fa eccezione soltanto all'anno in cui fece redigere, in piazza Convento, l'Edificio Scolastico al progettista, ing. Felice Ippolito. E lo si evince dal fatto che, per ben due volte, verrà sostituito, prima dal Commissario Attilio Sessa e di poi da Antonio Brissa, dopo una breve reggenza del quale ci saranno i Commissari Alfredo De Giorgi, Alessandro De Nisco, Carmine De Pascale, (NDA per approfondite informazione consultare "Spaccato di Storia Avellana", Vol. 1° - anno 1993). 

Avella Piazza Municipio Prima Immagine Comune e a destra Palazzo NOE Copia CopiaMa veniamo alla cronaca del fattaccio, che, caso alquanto curioso e strano, avviene di domenica, pur sapendo che il Municipio è chiuso e che il sindaco non si trova nella sua abitazione avellana, in Corso Vittorio Emanuele, angolo con Via S. Giovanni, ed, inoltre, vennero presi di mira sia il Molino di Felice Albano che quello di Nicola Vecchione; insolito risulta anche l'orario, alle ore 18.00, per cui è d'uopo ascoltare, per cercare di sapere la verità.

Dopo il verbale di ispezione di località, redatto il giorno dopo, in data 30/4/1917, per verificare i danni, vengono chiamati a deporre la loro testimonianza sull'accaduto alcune persone e si interrogano i presunti colpevoli.

La prima ad essere interrogata è la Sorriento, detta "'A scucchiula", figlia del fu Cesare e di Colucci Angelica, nata il 9 luglio 1890, che morì il 28 luglio 1982, all'età di 92 anni, in Avella.

Domenica Sorriento Zì Mèneca e il figlio 2Domenica Sorriento fu Cesare di anni 26 - fol 6; 2.5.1917

" - Uscii per acquistare il pane, - il pane mancava da due giorni, - per i miei figliuoli, ma il negozio di Felice Albano era chiuso ed avendo trovato una grande quantità di gente per la via che schiamazzava chiedendo da mangiare, mi rivolsi al Maresciallo pregandolo di far aprire il negozio. Mi rispose che ciò era impossibile ed avendo invano insistito, me ne tornai a casa, senza neppure attraversare la piazza e quindi non so dire quello che ivi sia successo. Ho gridato è vero anche io, ma solo per chiedere pane, e non è vero che abbia istigato la folla di salire sul municipio per appiccare il fuoco. Non è neppure vero che dalle finestre del Municipio abbia gettato sulla strada suppellettili e atti di ufficio appartenenti al Comune, e non risponde a verità che io abbia usato violenza e resistenza ai Carabinieri e li abbia trattenuti con altri per lasciare la folla libera di trascendere ad atti di distruzione. Non ho conosciuto nessuno di coloro che scagliavano pietre e che presero ad incendiare le suppellettili Municipali. Per la deficienza del grano e più ancora per mancanza di autorità a cui rivolgersi, trovandosi sempre assente il Sindaco, da più tempo vi era un malcontento in paese, ma mai si era detto che un giorno o l'altro che il Municipio sarebbe stato distrutto. La dimostrazione, però, ritengo sia avvenuta improvvisamente. Mi riserbo di indicare i testimoni e di indicare un difensore". 

L'interrogatorio riprende con Filomena Palmieri/o, alias " 'A Pall' ", figlia di Pellegrino e di Tulino Antonia, nata il 1 aprile 1894 e deceduta il 9 dicembre 1975, quando aveva 81 anni.

Filomena Palmieri 2Palmieri/o Filomena di Pellegrino di anni 23 - fol. 8;  2.5.1917

Avendo saputo della dimostrazione corsi in piazza per curiosare ed anche io mi misi a gridare che desideravamo il pane. Non contribuii con le mie grida ad eccitare la folla per farla trascendere ad atti di distruzione e non è vero che usai resistenza ai Carabinieri. Soltanto per evitare che il Maresciallo fosse colpito dai sassi, lo presi fra le braccia per farlo scansare. Non ho conosciuto nessuno dei dimostranti e non so né il movente della dimostrazione, né il proposito dei dimostranti. Durante le grida la guardia municipale Napolitano era quegli che incitava di più e suggeriva di salire sul Municipio e distruggere ogni cosa, dicendo che eravamo donne e nessuno ci avrebbe potuto far niente. Mi riserbo di indicare testimoni e di scegliere un difensore".

Ai lati della dichiarazione vi è una annotazione, in alcuni tratti illegibile, di cui si riesce a comprendere solo "Il Carabiniere Frungillo prese per la gola ........... Guerriero Teresa ..... il panettiere Felice Albano chiuse il negozio del pane.........".

Vennero poi interrogate le Parti Lese con obbligoad iniziare dalle sorelle Ferrara.

Avella Piazza Municipio Prima Immagine Comune e a destra Palazzo NOE Copia 2 CopiaFerrara Maria ed Orsola fu Aniello di anni 30 e 27 - fol.  21;  1-5-1917

“Dalle finestre di casa nostra, che è di fronte al palazzo municipale dalla parte della via, assistemmo in buona parte alla dimostrazione, che cominciata in modo tranquillo, degenerò con la folla sempre crescente negli atti di vandalismo commessi sulla casa comunale. In qual modo siano entrati sul municipio non possiamo dirlo e soltanto osservammo bene ciò che avveniva nelle stanze difronte alla casa nostra nel gabinetto del Sindaco, nella sala delle tornate consiliari e in quella dov'era l'archivio di deposito. Erano tutte donne che dalle finestre gittavano sulla strada sedie, ed altri mobili, tavole, poltrone, divani, carte e libri = Ed altre donne ed anche uomini sulla strada appiccavano il fuoco a detti oggetti. Fra le donne che erano sulle finestre a gittare mobili riconoscemmo Domenica Sorriento, Maria Masi, Filomena Montanile, Maria Carmina Vittoria, Caterina Caruso (questa forse non ancora arrestata) e molte altre che vedendole potremmo identificare. Nella strada vedemmo Sorriento M. Antonia, Biffetti Pasquale, che scassava i mobili e li gettava sulle fiamme, Carmina Noviello, e molte altre che conosciamo di vista: vi era pure la figlia di Biagio Morelli, vedova. Dalle finestre gittammo acqua per spegnere il fuoco e provocammo così l'indignazione contro di noi di tutta quella gente, che con pietre si rivolse contro i nostri balconi, frantumando due vetri. Autori di tale danneggiamento da noi patito fu, con altri, Barba Domenico di Domenico, contro del quale e anche verso gli altri ci riserviamo di sporgere querela anche per le atroci ingiurie rivolte al nostro indirizzo. Delle sedie di Vienna vennero asportate lontane; ma non sappiamo precisare da chi. La manifestazione fu un fatto improvviso, perché in precedenza non se n'era avuto alcun sentore, ed i dimostranti riteniamo si siano spinti ad assalire il Municipio durante l'agitazione e istigazione di persone che si trovavano nella folla e che gridavano: Diamo fuoco al Municipio! Una delle principali istigatrici era la figlia di Angelica Sorriento. D=gittava pietre certo fasolino Antonio = Sulla via alimentava il fuoco anche la figlia di Borrelli Sabato (Francesca Borrelli maritata a D'Avella Giacomo".  

Palazzo Pescione 1Amerigo Pescione fu Raffaele Sindaco - fol. 24;  1.5.1917

“In qualità di capo dell'amministrazione sporgo querela contro gli autori del danneggiamento al Municipio, commesso dai dimostranti, allorché io per ragioni di salute, mi trattenevo a Napoli. La dimostrazione fu un fatto improvviso, almeno per quanto mi è stato riferito, perché nelle ore antimeridiane di ieri l'altro, nel paese regnava la massima quiete, ed in precedenza non vi era stata alcuna minaccia seria che avesse potuto far ritenere quello che si svolse. Regnava è vero un malcontento da parte della popolazione, che abituata a panificare privatamente, mal tollerava che il grano fornito dal Consorzio Granario si dovesse distribuire solamente al Mulino. Penso che l'agitazione fosse stata, se non in tutto, almeno in parte premeditata, tanto più che da parte dei dimostranti, come ho saputo, si fece il possibile di evitare che le Autorità lontane fossero avvertite di ciò che accadeva ed avesse potuto in tempo utile mandare rinforzi di militi. Non mancavano inoltre invettive contro gli Amministratori e più questa circostanza mi induce a credere che i disordini fossero preordinati ad opera di avversari dell'Amministrazione, avendo anche trovati infranti i vetri di parecchi balconi della mia abitazione che è nel Corso Vitt. Em.; come privato, mi rimetto alla Giustizia, tanto più che al momento non mi risulta che io abbia dato luogo a detto danneggiamento". 

Felice Albano 20200217 114729 1 1Albano Felice fu Pasquale di anni 52 -  fol. 20; 1-5-1917

“Non mi trovavo sul luogo quando avvennero i disordini. Per quanto mi riferiscono le persone di mia famiglia, la folla dopo della devastazione del palazzo municipale si accalcò presso il pastificio di mia proprietà credendo che dentro vi fosse nascosto del grano. Il Tenente dei Carabinieri accompagnò nel pastificio e in casa mia, per tutte le camere alcune donne che capitanavano la dimostrazione, le quali potessero così convincersi che di grano non vi era alcuna traccia. Dopo incominciarono a tumultuare. La mia famiglia spaventata si chiuse dentro ed i dimostranti con pietre infransero circa quaranta vetri delle finestre e dei balconi, fracassarono e bruciarono le scalette che in numero di 25 erano sulla strada ed egualmente fracassarono e bruciarono un parte del telaio della porte del magazzino, arrecandomi un danno complessivo di circa lire 300. Né mia moglie, né i bambini, spaventati come erano, e chiusi in casa potessero conoscere gli autori del danneggiamento, contro dei quali per altro non intendo sporgere alcuna querela".   

Corso Vittorio Emanuele e Mulino Albano in fondo 1D'Avanzo Eduardo fu Martino di anni 57 - fol. 48;  3-5-1917

“Siccome il panettiere Felice Albano è mio inquilino nella rivendita dello spaccio del pane, la popolazione supponesse che si trovasse in casa mia del grano nascosto e volevano invaderla. Cominciarono infatti a scagliare pietre contro i vetri dei balconi e allora si persuasero della inesistenza del grano quando il Tenente dei RR. CC: accompagnò due delle dimostranti che rovistarono per tutte le stanze, fin nel giardino. Io non ero in Avella e mi sono doluto di quanto è successo e di quanto mi è capitato sia come cittadino che come assessore. Tanto più poi che sono stati sul Municipio distrutti le effigie dei miei partenti, il cardinale D'Avanzo, mio zio, e il prof D'Avanzo, mio padre, persone illustri e benefattori del paese. Pel danneggiamento subito mi querelo restando inteso delle disposizioni di legge contro quelli che ne risulteranno autori e mi riservo di sporgere querela per gli altri fatti di cui ho fatto menzione innanzi. In Avella non è mai mancato né la pasta, né il pane e la farina e la fame, secondo me è stato un pretesto per la dimostrazione mossa dal generale mal contento per lo stato di guerra e favorita dagli oppositori del partito imperante, che andava in cerca di un'occasione per turbare l'ordine pubblico". 

Comune vecchio con lapidi. Anni 20 CopiaDa sottolineare che, a conflitto mondiale terminato, il nostro paese immolò alla Patria ben 41 Fanti - Contadini: diciannove sul campo di battaglia, undici negli ospedali civili e di campo, per malattie contratte in guerra per ferite mortali o in prigionia, undici dispersi di cui non si ebbero più notizie.

E non vanno dimenticati quelli che morirono nel letto di casa dopo lunga convalescenza, né, tantomeno, non si possono tralasciare i mutilati, gli invalidi e i feriti

Pagine di Storia Avellana 1: Cronaca di un'amara e triste vicenda del 29 Aprile 1917

Assaltano, devastano ed incendiano il Comune. Ricerca di Nicola Montanile. Prima Parte.

Stazione della Circumvesuviana Avella SperoneDomenica 29 Aprile del 1917 - nel mio testo “Non soltanto sulla pietra”, a pagina 33, nell’appendice titolata “Un'amara e triste storia”, per un errore tipografico, si riporta il 17 –, alle ore 18.00, al grido "Vogliamo il grano", "Vogliamo il calmiere", "Abbasso il sindaco", ci fu una rivolta, che ebbe come mira la sede municipale. Furono rotte le porte, le finestre, i vetri ed oggetti vari; furono incendiati i Registri dello Stato Civile dei Nati, dei Matrimoni e dei Morti, oltre a documenti di certificazione varia e di cassa.

Tutto ebbe inizio, quando, donne di età compresa tra i diciotto e i cinquant'anni, a cui si aggiunsero degli uomini, partite dai rispettivi quartieri, si diressero alla Stazione della Circumvesuviana, per aspettare l'arrivo del treno da Napoli, su cui viaggiava, in quanto in ferie, ma dimorante ad Avella, in Corso Vittorio Emanuele, il sindaco Amerigo Pescione, nato a Catanzaro il 28 dicembre 1868 da Raffaele e Lavinia Pertosa e morto a Napoli il 6 luglio 1918.

Avella Piazza Municipio inizi 900Le donne, deluse, perché il primo cittadino non arrivò, era stato probabilmente avvisato che “correvano cattive acque”, si diressero al Comune in Piazza Municipio, dove, a poco a poco il numero delle persone aumentò sino ad arrivare a circa settecento, anche perché alcune erano in piazza per ritirare la posta proveniente dal Fronte (Grande Guerra), essendo l'Ufficio Postale e il Circolo Sociale ubicati nei locali municipali.

A cercare di fermare la folla inferocita fu l'avv. Giuseppe Biancardi, nato in Via Purgatorio, il 6 marzo 1888, da Andrea e Maria Pignatelli, e deceduto, il 14 febbraio 1936, in via Carmignani, (in seguito, ricoprirà anche la carica di Podestà), che si trovava nel su menzionato ritrovo sociale. Secondo la sua testimonianza, erano circa quaranta donne presenti.

Giuseppe Biancardi img 0002 2Il Biancardi, quando vide che incominciarono a lanciargli pietre e ogni sorte di materiale, ritenne opportuno ritirarsi, catapultandosi nel giardino del Palazzo Maiella, oggi Fazio, e di poi, passando in quello della famiglia Guerriero/Bevilacqua, si trovò in Viale San Giovanni, a quei tempi conosciuta come Via San Giovanni. 

Nel verbale di ispezione, fatto il giorno dopo, in data 30, alle ore 18.00, dall'avv. Tecce Camillo, Pretore del Mandamento di Baiano, assistito dal Segretario comunale, sig. Alfredo Borselli, venivano evidenziati gravissimi danni alla sede municipale, e il locale maggiormente colpito, ovviamente, era l'Ufficio dello Stato Civile

Piazza Municipio Comune vecchio con lapidi. Anni 20 CopiaScattò subitamente il mandato di arresto con l'accusa di "Istigazione a delinquere, di cui l'art. 246 del Cod. Penale, per aver spinto all'inizio e durante la dimostrazione al danneggiamento profferendo, ad alta voce, frasi che consigliavano a bruciare, saccheggiare e distruggere, ritenendo ciò l'unico mezzo per ottenere il grano".

Vennero arrestate: 1° Masi Maria di Giacomo; 2° D'avanzo Maria Grazia di Giuseppe; 3° D'Avanzo Giuseppina di Giuseppe; 4° Nappi Giovannina di Francesco; 5° Canonico Girolama di Martino; 6° Bizzarro Angelina di Nicola; 7° Palmieri Filomena di Pellegrino; 8° Vetrano Anna di Antonio; 9° Montanile Filomena di Arcangelo; 10° Sorriento M. Antonia fu Saverio; 11° Gaglione Francesca di Salvatore; 12° Vittoria Carmela di Michele; 13° Pecchia Lucia di Aniello; 14° Napolitano Rosa di Aniello; 15° Pedalino Grazia di Antonio; 16° Lombardi Marianna fu Francesco; 17° Noviello Carmela di Giovanni; 18° Sivestri Giovanna fu Antonio; 19° Nappi Maria di Aniello; 20° Caruso Antonetta di Elia; 21° Caruso Carmina fu Domenico; 22° D'Avanzo Rosa di Giuseppe; 23° Napolitano Ma Carmina di Domenico; 24° Napolitano Michela di Gennaro; 25° Rocco Gaetana di Francesco; 26° Noviello Teresa fu Antonio; 27° Noviello Clementina fu Antonio; 28° Palazzo BorrelliBorrelli Francesca di Sabato; 29° Caruso Carmela di Elia; e a continuare gli uomini: 30° Belloisi Domenico fu Giovanni; 31° Biffetti Pasquale; 32° Napolitano Gennaro fu Salvatore; 33° Bizzarro Sebastiano fu Domenico; 34° Sapio Vincenzo fu Natale; 35° D'Avella Francesco di Francesco; 36° Napolitano Giuseppe di Vincenzo; 37° Maiella Michele fu Michele; 38° Gaglione Francesco fu Elia; e, infine, altre due donne: 39° Mazzara Giuseppa di Francesco; 40° Sorriento Domenica fu Cesare. 

All'accusa di istigazione fece seguito, anche, solo per nove di esse, quella di "Violenza e resistenza all'Autorità, di cui l'art° 187 C. P., i sottonomati per avere offerto resistenza, circondando agenti di forza pubblica, mentre altri dimostranti compivano danneggiamenti".

Inoltre il verbale metteva in risalto che Montanile Filomena di Arcangelo gettava dalle finestre del Corso Vittorio Emanuele e Mulino Albano in fondo 1Municipio, sulla piazza, registri e suppellettili, mentre Fusco Angelina di Andrea, con una piccola zappa, tentava di scassinare la porta del magazzino di Albano Felice, proprietario del Mulino.

Per le altre donne ci furono ancora altri capi di imputazione; venivano chiamati a testimoniare coloro che avevano assistito ai fatti.

Infine, e non alla fine, le parti lese furono D'Avanzo Eduardo fu Martino, nipote del Cardinale Bartolomeo sia perché assessore, sia poiché il palazzo dove gli Albano avevano il Mulino, inizialmente, era di loro proprietà, e di conseguenza anche Felice Albano di Pasquale; mentre 1 Piazza Municipio Comune e a destra Palazzo NOE 5 Copiale parti lese con obbligo furono il sindaco Amerigo Pescione, unitamente alle sorelle Maria ed Orsola Ferrara fu Aniello.

In effetti le germane vennero offese poiché erano intervenute per far desistere due donne a bruciare i registri, fattaccio che avveniva sotto i loro occhi, in quanto l'Ufficio dello Stato Civile, si affacciava sul tratto di Corso Vittorio Emanuele dove era la loro abitazione, ossia il Palazzo De Falco Noè, il cui nome divenne uno "stortanomm", e la citata Maria era sua moglie.

QUANDO LA "SPAGNOLA" COLPI' ANCHE AVELLA

Corsi e ricorsi storici di pandemie che hanno decimato gli uomini, che non hanno imparato ancora nulla, o quasi, da questi avvenimenti.

 

Influenza Spagnola maxresdefaultNicola Montanile - 20.04.2020 - E', indubbiamente, un anno, non all'insegna di "Festa, Farina e Forca", ma di "Non Festa, Coranavirus, Mascherine", con la consapevolezza che si deve ancora restare a casa ed il senso, ci si augura, di responsabilità ed il prometterci di essere più caritatevoli e a pensare che le pandemie ci sono sempre state e lo si è appreso da emeriti scrittori, quale Boccaccio nel suo “Decamerone”, il Manzoni nei “Promessi Sposi” e tanti altri.

Epidemie che hanno fatto più danni delle guerre, come la “Spagnola” che uccise, più soldati e persone che la Prima Guerra Mondiale.

s l400 CopiaAnche il Baianese-Alto Clanio ne fu coinvolto e avellani, un poco più stagionati, raccontano che, quando i morti venivano caricati su di un carretto per essere sepolti nel cimitero, che era stato costruito nel 1841 e che era alle spalle del Castello, accadeva che, facendo la ripida salita di via Farrio, i cadaveri, i mezzi vivi o i morti cadevano dal carretto e subito gli addetti li ricaricavano come se fossero sacchetti di spazzatura.

La peste colpì anche Sperone e gli abitanti di questo attivo centro basso irpino, che vennero miracolati grazie all’intervento di Sant’Elia, lo elessero a patrono; così fecero pure i cittadini di Baiano con Santo Stefano per il vaiolo e quelli di Avella per S. Sebastiano, secondo alcuni, per il colera, altri per la stessa peste.

S.ELIA Profeta Protettore di SperoneS. Stefano Immaginetta imagesFJ6514ZCSan Sebastiano 3C’era bisogna del coronavirus per comprendere che la nostra vita, come affermava, Emilio Cacchi, “… è un filo di seta sospeso in un gioco di rasoi”, per cui alle persone su menzionate è d’uopo ricordare che la vita non ha una seconda edizione che ti permetterebbe di correggere le bozze.

Allora quest’anno è stato triste constatare l’aborto delle nostre radici, fatte di cose semplici, quali il portare da parte delle le figlie il canisto  ('O canisto) alle mamme, delle nuore alle suocere; celebrare la settimana Santa, la rappresentazione della Passione di Cristo, il Lunedì in Albis, il sepolcro  (‘O sabburco), la processione delle Palme (degli Ulivi); fare i casatielli, con l’uovo, che è simbolo di vita, e tante altre “radici” che sarebbe lungo da menzionare.

Peste di Milano 113208095 cf358289 693e 43b1 becb ea076bf77fe5La vita è breve, ma non ci accorgiamo che facciamo di tutto per renderla tale, non impariamo le lezioni, forse perché distratti, menefreghisti, superficiali, furbi, egoisti, sciacalli, assetati di potere, e gli esempi più tangibili sono le vicende dei su menzionati morbi, tra cui la Peste e la Spagnola.

La peste, scoppiata a Milano, tra il 1629 e 1633, finì per colpire anche diverse zone dell’Italia Meridionale, come sopra accennato.

In effetti, accadde che i potenti del potere temporale e, ancor più grave, di quello spirituale, all’inizio del propagarsi del pericoloso morbo, non gli prestarono un minimo di attenzione ed importanza; anzi affrontarono il problema con molta superficialità.

PesteTale superficialità si manifestò con l’escludere che la peste fosse giunta nel nostro paese, attraverso i Lanzichenecchi, soldati di ventura germanici, che, tra l’altro, commisero ogni sorte di sciacallaggio; col non dare ascolto a stimati medici come Ludovico Settala; col ritenerla una semplice febbre maligna o pestilente e, che, comunque, la guerra, in corso, era più importante; con la grande festa che il Governatore Spinola, non curandosi del decreto emesso, diede per la nascita di figlio del Re Filippo IV, e, non ultima, l’imprudenza della Chiesa a concedere di fare una processione, che, ancor più, permise al morbo di espandersi.

peste Milano imagesIKIGKEXLCosì, alla fine di marzo del 1630, la peste scoppia in tutta la sua virulenza e subito si ebbero malattie, morti, con accidenti strani, dovuti a spasimi, palpitazioni, letargo, delirio, con segni di lividi e di bubboni; e allora gli organi preposti furono costretti ad intervenire e i primi a dare il loro valido contributo, nel lazzaretto, furono i “Cappuccini”.

Intervenire, anche se in ritardo, fu un fatto abbastanza positivo, anche se al morbo si era associato la pericolosa superstizione, che già era presente nel Seicento, e l’indignazione verso gli untori che andavano in giro ad ungere alcune case con sostanze in grado di diffondere il morbo.

Passano secoli ed ecco arrivare la “Spagnola" e, anche in questo caso, crediamo che ci farà “un baffo”, ma ovviamente così non è.

Sebbene il morbo non fosse nato nella penisola iberica, prese questo appellativo in quanto a parlarne, per primi, furono proprio i mezzi di informazione spagnoli, perché, a differenza degli altri Paesi, non erano soggetti al regime, il quale negò la propagazione della malattia.

Spagnola 1 OBJ108691705 1Lo scoppio del morbo-Spagnola venne favorito dalle pessime condizioni umane, nonché igieniche, in cui dovettero combattere i soldati sui vari fronti, all’interno delle trincee, allo spostamento e anche agli incontri che, a volte, avvenivano nei momenti di tregua e di feste, per scambiarsi doni, auguri, cibi e anche varie vettovaglie.

La pandemia ebbe un gradissimo e inaspettato tasso di mortalità tra le persone sane di età compresa tra i quindici e trentacinque anni.

Quando l’America, insieme al Giappone e l’impero britannico, decisero di partecipare al conflitto, tanto che si rinominò la Grande Guerra o Prima Guerra Mondiale, si scoprì che il virus era stato diffuso dai soldati americani, i quali erano sbarcati, nel 1917, in Europa.

prima guerra mondiale soldatiIl letale virus H1 N1, che si manifestava mediante tosse e sternuti, trovò facile diffusione tra i soldati, poiché il loro sistema immunologico era debole a causa della malnutrizione e, soprattutto, per lo stress di stare, continuamente, sul chi va là, tra sterco, urina, feriti, morti e continui spostamenti di truppe e spesso viaggi, dove incontravano altre persone, tra cui marinai e semplici civili.

Questa, in effetti, fu la prima strage, che l’influenza causò, grazie al contributo della Prima Guerra Mondiale, ma la seconda fu ancora più virulente, e siamo nel 1918, dove, però, si deve mettere in risalto, che i giovani, in salute, si riprendevano molto bene.

Morti Prima Guerra Mondiale 2026Ma successe che la pandemia si ripresentò, in modo più mortale, in quanto nelle trincee, per selezione naturale, i soldati che avevano contratto una forma leggera rimasero dov’erano, mentre i malati gravi venivano inviati su treni affollati verso ospedali da campo altrettanto affollati, diffondendo così il virus.

La seconda ondata iniziò così e l’influenza si diffuse, rapidamente, in tutto il mondo ed, inizialmente, si chiamò “Bronchite purulente”; i medici degli ospedali inviarono allarmati rapporti ai loro superiori, ma con gli alti comandi, impegnati nelle grandi offensive del 1916 e del 1917, che costarono centinaia di migliaia di morti, nessuno prestò loro molta attenzione.

influenza spagnola 696x348Intanto la disperazione portò ad ipotizzare varie teorie sulla guarigione, non ultima che la malattia fosse neutralizzata dall’alcool, per cui si passò, facilmente, dal male all’alcolismo.

In definitiva, come amaramente si evince, scambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia, anzi peggio ancora “La maggior parte egli uomini spende la prima metà della sua vita a rendere infelice l’altra”, per cui non rimane che un caloroso invito a “RESTARE IN CASA”, e lo hanno detto anche coloro che si sono immolati per questo morbo, e soprattutto non lo si consideri solo uno slogan o per far vedere come si passa il tempo, ma come lo stanno passando quelli che sono in prima linea e rischiano più di tutti. Per comprendere la gravità della situazione, datevi alla lettura di testi di Storia Patria, così si potrà acquistare il senso del saper vivere ed il rispetto della vita altrui.

Enrico Forzati, Medaglia d’oro al valore militare, simbolo delle virtu’ civili e del ponte ideale che accomuna Napoli e Nola, identificando il coraggio e la cultura del Sud

In occasione della convention sulla Giornata della Memoria, tenutasi giovedì 23 gennaio, nel Palazzo comunale di Baiano, si ritiene opportuno ri-pubblicare il testo dell’8 maggio del 2017, che racconta la figura di Enrico Forzati, medaglia d’oro al valore militare, tra le vittime dell’eccidio per rappresaglia compiuto dalle truppe naziste nella Caserma “Principe Amedeo di Savoia” a Nola, l‘ 11 settembre del 1943.

1 enrico forzati1 383x381Gianni Amodeo - 28.02.2020 - Una piccola comunità, quella che si è ritrovata nell’androne che s’apre verso il cortile del Palazzo contrassegnato dal numero civico 1, in piazza Santa Maria degli Angeli, nella città partenopea; una piccola comunità, con le rappresentanze delle civiche amministrazioni di Napoli e Nola, i sindaci Luigi De Magistris e Geremia Biancardi, il Rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, il docente emerito di Filosofia morale, Aldo Masullo, magistrati e docenti universitari, un drappello di giovani e semplici cittadini, tutti convenuti per la commemorazione di Enrico Forzati, trucidato nell’eccidio degli ufficiali compiuto a Nola, come atto di rappresaglia dalle truppe naziste l’ 11 settembre del 1943, tre giorni dopo l’annuncio della Dichiarazione img 20170508 wa0009ufficiale dell’armistizio, sottoscritto a Cassibile, in Sicilia dove le truppe anglo-americane erano già sbarcate da alcuni mesi. Era la prima delle stragi e rappresaglie anti-italiane, che si susseguirono dal Sud al Nord fino al 25 aprile del ’45, la giornata che segnò l’apice della Resistenza con il sigillo della Liberazione dall’occupazione nazi-fascista.

E’ certamente singolare nella sua unicità, la storia di Enrico Forzati, ma soprattutto di ammirevole esemplarità sotto tutti i possibili profili etici, civili ed umani, per quanto di non comune e diffusa conoscenza. E rivisitarla nei tratti essenziali, giova al ricordo pubblico, essendo specchio di un tempo e di una società, su cui il carico della dimenticanza ne accentua la lontananza nell’immaginario come nel sentire e nel pensare generale. E’ la storia di un giovane e ben stimato uomo di legge e di avvocato con sicure competenze professionali, ch’é arruolato nell’Esercito italiano per la coscrizione di leva obbligatoria, come ufficiale, ma non è militare di carriera. Un giovane che viveva con i suoi WhatsApp Image 2019 12 06 at 21 28 182ideali, interessi culturali e aspirazioni civili, come lo sono tutti i giovani dabbene. Era in servizio nella caserma “Principe Amedeo di Savoia”, realizzata nel600 dall’amministrazione borbonica, con funzione logistica e strategica di tutela e salvaguardia di Napoli, capitale del Regno, insieme con i capisaldi costituiti dai presidi militari di Nocera e Aversa. Un presidio, quello di piazza d’Armi, che fungeva sostanzialmente da deposito di armi tutt’altro che modelli di efficienza, con truppe acquartierate in malo modo, con scarsi mezzi e penuria di viveri e vestiario, mentre nell’aria si avvertiva sempre più netta la percezione della sconfitta militare dell’Italia sui fronti di guerra. E fu, questo, il malinconico e cupo scenario, che fece da sfondo alla la tragedia che si consumò proprio nella Caserma, con l’arrivo dei reparti della “Goering” in ritirata per attestarsi su posizioni difensive nel Lazio, incalzate com’erano e senza tregua dalle truppe anglo-americane.

220px Targa Enrico ForzatiLa rappresaglia delle truppe tedesche, disorientate e sorprese dalla Dichiarazione d’armistizio considerato vero e proprio tradimento, fu attuata con fredda determinazione e rapidità di manovra. Utilizzando i mezzi pesanti di cui era dotato, lo schieramento dei reparti tedeschi, pose sotto controllo il presidio militare e le truppe che vi sono acquartierate vennero disarmate in un baleno, mentre per gli ufficiali si procedette alla triste conta della decimazione dei condannati alla fucilazione. La sorte escluse dalla decimazione Enrico Forzati, che, però, di sua scelta e volontà avanzò 3 lapide eccidio1dalla schiera degli ufficiali, dichiarando di aver sentito pronunciare le sue generalità. Un gesto estremo di sacrificio, con cui salvò la vita al destinatario della conta di decimazione. Un gesto di nobiltà d’animo e di altruismo, da affidare alla memoria storica e alle giovani generazioni, con la lapide memoriale apposta nel cortile del Palazzo di piazza Santa Maria degli Angeli, dove la famiglia Forzati vive da quattro generazioni. Una scelta voluta dall’amministrazione comunale di Napoli e, in particolare, dal sindaco metropolitano Luigi de Magistris.

 

DAL PATRIOTTISMO DELL’UMANITA’ ALLA COMMUNITAS CIVILE, 

DALLA RIMOZIONE ALLA DOVEROSA DIGNITA’ DELLA MEMORIA                                 

Varie e articolate le chiavi di lettura con cui si connotava la commemorazione, per interpretare la storia di Enrico Forzati, alla cui memoria é dedicato l’Istituto comprensivo di Sant’Antonio Abate. Di spiccato interesse, erano i Premio Forzati ad Aldo Masullo img 20170508 wa0007flash back di racconto e i temi di riflessione focalizzati da Aldo Masullo, ventenne e testimone oculare degli eventi di quegli anni, abitando la sua famiglia nelle vicinanze della Caserma di piazza d’Armi. Per il filosofo, la vicenda di Enrico Forzati costituisce una forte e pregnante testimonianza di quello che ha definito “Patriottismo dell’umanità”, inteso come tributo reso all’affermazione del primato dei valori della comunanza, con cui si rinsaldano e animano i popoli tutti, senza distinzioni etniche e razziali, politiche, religiose ed economiche; primato, i cui valori vanno esercitati e diffusi contro tutte le forme di oppressione e le iniquità dei regimi totalitari. Una prospettiva, per la quale il sacrificio di sé, fatto da Enrico Forzati non costituisce un istantaneo moto d’impulso emotivo e di reazione in sé alla violenza della rappresaglia che si veniva realizzando con cinica brutalità, bensì una scelta di volontà e mente, per affermare e ribadire il senso della vita e dell’umanità al di là degli odi e della cecità della guerra che innesca infinite tragedie di morte e distruzione. Una scelta di consapevolezza, superiore ad ogni comune immaginazione, che resta, ed è, densa di valore civico e morale, il cui significato travalica i tempi.

Forzati Francesco images8QCU2DULSulle scie disegnate da Masullo si innestavano le riflessioni di Francesco Forzati, avvocato e docente universitario, nipote di Enrico, per sottolineare come cambiò il senso della vita della sua famiglia, a fronte del gesto del nonno. Un cambiamento drammatico, del tutto simile ed eguale a quello vissuto sulla propria pelle dai tanti milioni di famiglie sconvolte dagli effetti drammatici del secondo conflitto mondiale. E il riscatto da tutte le tragedie belliche e soprattutto del superamento delle loro cause scatenanti – evidenziava - ieri come oggi risiede nello spirito della communitas, della coesione sociale che si nutre delle virtù civili per il diritto alla vita e alla dignità del vivere umano; spiritosottolineava - aleggiante proprio tra la piccola comunità riunita per ricordare Enrico Forzati, accomunando Napoli e Nola, per esprimere i valori della civiltà e della cultura del Sud. E, a far da prologo a Francesco Forzati, era stato il padre, l’avvocato Maurizio, per rappresentare l’importanza civile della decisione dell’amministrazione comunale partenopea nell’onorare la memoria paterna, dando lettura del testo letto da Giovanni Porzio a Castelcapuano, in occasione del conferimento ad Enrico Forzati della Medaglia d’oro al valore militare, attestandone l’esemplarità di vita.

5 Gabriele Arenare Gaetano Manfredi InformareonlineSe il racconto di Masullo era reso fortemente intenso e vivido con i tasselli inconfondibili della personale “vita vissuta”, sullo schermo dei ricordi tramandati si polarizzavano, invece, gli spunti di riflessione di Gaetano Manfredi, Rettore dell’Ateneo federiciano, e di Geremia Biancardi, sindaco della città bruniana, cinquantenni in gran carriera per professionalità e meriti, e non solo che vivono nella stessa città, ma hanno anche frequentato lo stesso Liceo classico, lo storico “Giosué Carducci”. Uno schermo di ricordi soprattutto famigliari, in particolare per il Rettore Manfredi, legati a tutto il Geremia Biancardi il sindaco di Nola nel direttivo associazione beni Unescomondo rappresentato dal presidio militare di piazza d’Armi nella storia della città. E dell’eccidio del ’43, il “primo cittadino”   marcava la rimozione, quasi una specie di “damnatio memoriae” patita in modo incomprensibile fino al 1996, quando la civica amministrazione, guidata dal sindaco Franco Ambrosio, espressione dell’allora Alleanza nazionale, ne recuperò in pieno il valore al patrimonio storico e ideale della città, istituendo la cerimonia evocativa che da 21 anni si celebra l’11 settembre; un recupero, a cui diede impulso la lettera pubblicata dal Corriere della Sera, scritta da Alfonso Liguoro, magistrato ed avvocato, figlio di uno degli ufficiali trucidato nell’eccidio nolano, trovando sostegno e ancoraggio nell’associazione “Amici del Marciapiede”, attiva in città e sul territorio con importanti iniziative di volontariato civico e culturale. Un recupero, a cui si è ora allineata Napoli, nel segno della storia di Enrico Forzati.

LA TOPONOMASTICA TESTIMONE DI STORIA

Sul punto, la riflessione del sindaco metropolitano, Luigi de Magistris, era di calzante valenza sociale, Lapide eccidio img 20170508 wa0008nell’evidenziare la funzione della toponomastica, quale sintesi parlante e libro aperto della memoria e delle virtù civili di una comunità e di coloro che l’hanno onorata. E la toponomastica- spiegava- va scritta con meticolosa attenzione e, se è necessario, va anche ri-scritta, perché sia realmente rappresentativa dell’autenticità della vita comune delle città. La lapide in onore di Enrico Forzati s’inscrive in questo percorso, così come è stata inscritta la piazza dedicata di recente ai Martiri di Pietrarsa, i quattro operai che il 5 agosto del 1863 che furono trucidati dai bersaglieri dell’Esercito regio dell’appena costituito Regno d’Italia: erano colpevoli di rivendicare le garanzie per la conservazione del ciclo produttivo dell’opificio, che era sottoposto a graduali e drastici ridimensionamenti disposti dal governo nazionale. E per oltre un secolo e mezzo sui Martiri di Pietrarsa è stata calata la rigida cappa della “damnatio memoriae” istituzionale, appena rimossa dall’amministrazione di palazzo San Giacomo. E poi De Magistris si soffermava sulla ri-scrittura doverosa della toponomastica, citando la 085121288 ed61c70d 7921 42cd 817a c93932419b3dcancellazione della targa stradale dedicata a Gaetano Azzariti, a Borgo Orefici. Azzariti aveva presieduto il famigerato Tribunale della razza, istituito nel 1938 dal regime mussoliniano con l’orrenda e terrificante legislazione anti-ebraica sulle tracce di quella del 1933 nella Germania nazionalsocialista; Tribunale che, con le sue articolazioni e i supporti della polizia giudiziaria appositamente ed esclusivamente dedicata, sancì la deportazione e la morte di migliaia di famiglie ebree, spesso di modesta condizione e delle quali si ricomposero gli alberi genealogici a ritroso di due e addirittura di tre secoli, per comprovarne lo status ebraico e l’”obbligo” di persecuzione che dovevano subire per disposizione di legge. E, pur con il curriculum di massima espressione del sistema giudiziario delle persecuzioni anti-ebraiche, Azzariti nello Stato repubblicano e democratico, beneficiando dell’amnistia del ’47, divenne persino giudice supremo della Corte costituzionale, fino all’intitolazione in suo onore della strada, che nel 2014 è stata dedicata, invece, a Luciana Pacifici, la bambina innocente vittima delle persecuzioni anti-ebraiche. Un gesto - sottolineava il sindaco Luigi de Magistris il cui significato è penetrante per i contenuti etici e morali.

Spigolature e ricorsi storici: Dalla “Spagnola” censurata nella tragedia della Grande guerra al Covid-19

La lunga traiettoria che accomuna le facce estreme di un secolo in cui l’uomo si è concesso di tutto …. 

Spagnola e CoronavirusGianni Amodeo - 11 \ 04 \ 20Cento milioni furono le vittime della pandemia chiamata “Spagnola” che con i picchi raggiunti tra il ’18 e il ‘20 del secolo scorso esaurì la sua forza letale, dispiegata con capillare virulenza da un capo all’altro del mondo. Un bilanciotremendoeterribile, ma l’appellativo identificativo affibbiato alla devastante epidemia non aveva alcuna diretta e immediata correlazione con la Spagna, dove, tuttavia, si polarizzò e ne fu diagnosticata per la prima volta la drammatica portata per le proporzioni della diffusione che aveva assunto, nel propagarsi rapidamente.

La catastrofe dimenticataIl morbo, in realtà, si era già manifestato - secondo le ricostruzioni storiche di alta affidabilità e documentate - nel Kansas alla luce dei primi significativi sintomi nel marzo del 1917, quando nel reparto medico dell’esercito degli States fu ricoverato un cuoco militare che accusava febbre alta, polmonite acuta ed altri consimili sofferenze. Correvano i giorni dei preparativi  per la partenza ad aprile del corpo di spedizione militare, con cui gli Stati Uniti d’America, revocando la politica isolazionista a lungo praticata, sischieravano sul fronte europeo della Grande guerra a sostegno delle coalizione delle potenze dell’Intesa, in contrasto con la coalizione incardinata sulle potenze degli Imperi centrali del Vecchio continente; un intervento di sostanziale e precipuo supporto alla Gran Bretagna, sottoposta agli influenza spagnola 1918 sanatorio con lettiattacchi costanti del grande  potenziale di fuoco della Marina militare tedesca, con l’obiettivo di renderla avulsa dalla strategia politica e bellica della coalizione dell’Intesa e, al contempo, minandone gli interessi commerciali sulle rotte dei mari. Di certo, l’infezione del cuoco interessò altri soldati, senza che la spedizione allestita fosse bloccata. Della pericolosa e insidiosa contagiosità del morbo, non fu avvertita la forza espansiva e la mortale gravità. Gli States guardavano nella lunga prospettiva nel disegnare il loro ruolo geo-politico di potenza mondiale, con le correlate funzioni che eserciteranno per larga parte del XX secolo; e non è un caso se nei teatri di guerra del decisivo18 combatterono oltre novecentomila, tra soldati e ufficiali americani, nel primo corpo di spedizione superavano di poco le 120 mila unità. Ma, quello della politica statunitense in questo periodo, è argomento che non appartiene alle poche e scarne spigolature della pur vasta materia sotto la lente d’ingrandimento, sulle quali, forse, è utile soffermarsi. 

                  Il virus in viaggio con l’Army european force 

Spagnola 3 iowa flu mediumCosì, secondo i piani stabiliti, il contingente dell’Army european force attraversò l’Atlantico e approdò in Spagna, per riversarsi secondo le strategie approntate dai comandi dell’Intesa sui fronti di battaglia aperti soprattutto in Francia. Era un corpo di spedizione addestrato ed equipaggiato al meglio dell’efficienza operativa con importanti armamenti, composto da circa 130 mila, tra soldati ed ufficiali, tra i quali gli infettati, che costituirono i focolai di diffusione del morbo a macchia d’olio sui teatri di guerra, mentre le operazioni militari si susseguivano con i ritmi Le grandi battaglie della prima guerra mondiale 800x400 800x400incalzanti di distruzioni e devastazioni di ogni genere, ma soprattutto con i loro pesanti e tragici carichi di morte. Alla fine del conflitto, ma le stime sono variabili, furono oltre trenta milioni le vittime immolate tra le popolazioni civili e gli schieramenti belligeranti sui territori del cuore d’Europa e nell’area balcanica. Un numero enorme, la cui entità mai prima la storia militare e bellica dell’umanità aveva registrato; ed includeva anche le vittime che la terrificante influenza della “Spagnola” disseminò nel solo Vecchio continente  

Cartucce Mortaio IngleseE’ curioso, si fa per dire, rilevare che sullaSpagnola” - mentre veniva compiendo la sua missione di morte, affiancandosi a quella già per se stessa atrocemente considerevole della guerra in corso che toccò l’acme della distruttività nel ’18 - gravò anche il peso della censura dei governi dei Paesi belligeranti, dell’una e dell’altra coalizione.  Rendere pubblica la presenza dell’epidemia … sarebbe stato un segnale di palese debolezza verso il … nemico. E dire che erano tutti esposti allo stesso livellante contagio ….

Fu soltanto la Spagna, dove non si fece mistero della natura mortale del morbo esploso, a non far parte del coro della strampalata, bizzarra e stupida censura, come strampalate, bizzarre e prima guerra mondiale carneficinastupide sono tutte le censure che negano l’evidenza dei fatti e le verità incorporate. Se lo poteva permettere, era il Paese, il cui governo s’era dichiarato neutrale rispetto al conflitto, scoppiato nel ’14 e che sarebbe stata l’ “Inutile strage”, così come aveva preconizzato Benedetto XVI, ammonendo, senza ricevere alcun ascolto, i Capi di governo e Stati ad evitare la guerra.

                        Gli equivoci Il morbo del sodato napoletano” 

Il sangue dei terroniIl colmo del paradosso, tuttavia, si raggiunse proprio in Spagna, attribuendo all’epidemia - passata alla storia come la “Spagnola” - l’etichetta de “Il morbo del soldato napoletano”. E la ragione dell’attribuzione fu dovuta ad uno strano gioco di combinazioni, associando il titolo dell’allegra commedia canora “Il soldato napoletano”, che veniva rappresentata con largo successo popolare nel maggio del ’18 a Madrid, con l’impropria e azzardata diagnosi di un luminare della medicina, Louis Ibarra,  per il quale Le vittime della Prima Guerra Mondiale gli effetti del morbo senza alcun dubbio erano dovuti all’ ”accumulo di impurità nel sangue per l’incontinenza sessuale” e agli “eccessi di libidine” del “soldato napoletano”…..della commedia. E così per gli spagnoli …l’epidemia divenne “Il morbo del soldato napoletano”. 

Al di là dei profili nominalistici, è certo che quando i cannoni tacquero e nell’autunno del18 il conflitto fu dichiarato concluso, l’epidemia - veicolata in larga misura dai combattenti reduci nelle proprie Patrie dai fronti di guerra - proseguì nella sua intensa missione di morte per tutti il ’19, con addentellati temporali nel ’ 20 qua e là in Europa e nel mondo.  Una pandemia che, trascinando negli abissi del suo dirompente vorticare cento milioni di vittime, di cui s’è detto nell’ incipit del testo, aveva contagiato oltre mezzo miliardo di uomini e donne. E nel prospetto dei dati e cifre numeriche non va ignorato che la “Spagnolaha avuto vita lunga e plurisecolare convivenza con l’uomo, prima di realizzare l’infernale ecatombe umana del triennio18\20 e poi Corbellini Gilberto 68591lasciare libero il campo all’umanità. Una dissolvenza rapida e veloce, su cui è interessante annotare le affermazioni del prof. Gilberto Corbellini, docente universitario, tra i più importanti studiosi della Storia della medicina, accreditato nella comunità scientifica internazionale da una larga produzione di saggi scientifici e articoli giornalistici. “Come sia terminata la Spagnolaafferma - non lo sappiamo. Sappiamo che il suo virus influenzale c’è ancora. Sappiamo che può essersi sviluppata una forma di immunità, o che il ceppo si era indebolito. Questi sono dati di Scienzaconclude - ma perché sia avvenuto dopo due ondate epidemiche successive, non lo sappiamo”. 

covid morti san martinoMa sono anche interessanti le analogie tra le disposizioni e normative impartite nei nostri giorni dalle competenti istituzioni pubbliche, per contenere e contrastare il Covid-19, e le disposizioni dettate, per arginare la Spagnola che imperversò in Italia a guerra conclusa. Furono dettate dallo Stato e le Prefetture erano preposte alla loro osservanza, con specifiche ordinanze.

Le raccomandazioni per il coronavirusEccole. Non starnutire e non tossire senza essersi coperta la bocca con un fazzoletto, non sputare a terra; non baciare, non dare la mano; non frequentare caffè, ristoranti e osterie affollati; salire in carrozza meno che si può; tenere aperte le finestre con qualunque tempo e in ogni luogo. Vivere più che si può all’aria libera; non fare visite né riceverne. Evitare soprattutto di recarsi negli Ospedali e luoghi ove sono stati dei malati; non viaggiare; respirare possibilmente attraverso il naso ed evitare di volgere la bocca a chi vi parla; disinfettarsi le mani prima di mangiare, fare mattina e sera sciacqui alla bocca e gargarismi con acqua e tintura di iodio. Pulirsi regolarmente i denti; non sollevare polvere nelle case. Lavare il pavimento con disinfettanti.

Operatori sanitari e sacerdoti vittime del Covid 19E’ un prospetto di consigli, da cui manca solo quello del distanziamento sociale definito nelle correnti disposizioni, per il resto non c’è alcuna variazione sostanziale da segnalare, se non il buon tono discorsivo e i maggiori e più esplicativi dettagli di contenuti che si leggono nelle ben scritte ordinanze di un secolo fa.