EVENTO DI GRANDE RICHIAMO NELLA CHIESA DEL GESU’ DI NOLA: IL PRESEPE, TRA ARTE E POESIA
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16 Dic 2015
- Scritto da Redazione
Presentato il bel racconto in versi di Fortuna Dubbioso – docente del “Masullo-Theti” ed attivamente impegnata nelle iniziative di valore sociale nella Diocesi di San Felice e San Paolino- - con cui viene evocata la Natività di Gesù. Un significativo corredo di immagini, che si deve ad Alfonso Coppola, connota l’agile testo. In concomitanza inaugurata la magnifica Mostra di presepi artigianali realizzati da Cesare Dubbioso. Gli interventi delle docenti Susy Barone, Elena Silvestrini, Ilaria Pizza.
Rosa D’Ambra – 08.12,2015 - Calda atmosfera di raccoglimento e interesse nella seicentesca e monumentale Chiesa del Gesù per la presentazione del libro “La Poesia del presepe” di Fortuna Dubbioso e in contemporanea per l’inaugurazione della pregiata e scintillante Mostra di presepi artigianali realizzati da Cesare Dubbioso.
All’evento hanno partecipato la prof.ssa Susy Barone, che ha introdotto i contenuti della raccolta cogliendo la simbologia e il significato del presepe nello scorrere del tempo; la prof.ssa Elena Silvestrini, che ha dato lettura di alcune poesie, e la dott.ssa Ilaria Pizza, che ha effettuato una descrizione puntuale e suggestiva dei vari scenari rappresentati nelle creazioni presepiali.
La struttura dell’opera poetica, accompagnata da immagini di presepi curate da Alfonso Coppola, trova il suo filo conduttore in una cronologia temporale che segue l’evoluzione introspettiva dell’uomo e dei suoi valori. Nella prefazione del testo viene esaltato il valore della poesia, quindi della creazione e del suo carattere evocativo di sentimenti e riflessioni. La lettura critica della raccolta, a cura della prof.ssa Susy Barone, ha posto l’accento sulla magia del Natale, capace di richiamare l’uomo alla fede, di ricondurlo a quei valori di purezza custoditi dalla tradizione: la famiglia, lo spirito di unione e di comunità che trova il suo perfetto riscontro nelle opere presepiali. La riscoperta di questi valori può avvenire soltanto attraverso un percorso interiore da parte di ogni uomo, volto a far riemergere il bambino che è in noi. Non a caso la scrittrice trova la sua ispirazione nella rimembranza di un evento che ha segnato la sua infanzia: il 1° dicembre di ogni anno, data in cui era solita dedicarsi alla costruzione del presepe insieme al nonno. Un ricordo forte, carico di emozioni e sentimenti, ma anche di un senso di nostalgia, dato il vuoto di certi valori nel presente.
L’analisi della prof.ssa Barone ha messo in evidenza uno dei temi principali della raccolta: la cecità dell’uomo di oggi, risucchiato dal consumismo natalizio, da quel meccanismo sfrenato ed alienante di produzione che fa dimenticare cosa spesso c’è al di sotto di tale produzione: bambini sfruttati, lavoratori mal pagati …. Dimenticanza che a sua volta è il segno dell’ “assenza d’ amore” e dell’aridità di sentimenti di cui ci parla la scrittrice.
La lettura dei testi effettuata dalla prof.ssa Silvestrini ha creato quell’atmosfera di calore che ha coinvolto gli spettatori-ascoltatori facendo sì che tutti si sentissero parte dello scenario di miracolo rappresentato dai presepi in mostra. In particolare due liriche hanno avvolto i presenti in un clima di estatica sospensione: “Ninna Nanna”, tutta rivolta alla contemplazione del Dio Bambino;“I miei auguri”, evocante l’atmosfera di attesa del Messia che destava stupore tra i pastori e che ancora oggi è foriera di “gioia” e “buon senso”. E’ proprio in questi ultimi versi che emerge la visione fiduciosa ed ottimistica che la scrittrice ha dell’avvenire.
La messa in luce di valori semplici e genuini nelle liriche ha trovato riscontro nella descrizione effettuata dalla dott.ssa Pizza del presepe “Tempus fugit”, realizzato nel 2014. Il titolo dell’opera sta ad indicare lo scorrere veloce del tempo paragonabile alla corsa incessante che caratterizza l’uomo contemporaneo. Corsa che però non conduce a nulla poiché la vita scorre ed ha senso solo in una “dimensione comunitaria” che trova la sua rappresentazione nei sentieri, nelle viuzze e nelle botteghe che caratterizzano il presepe. Nelle opere vi è una rivalutazione di mestieri semplici, ma dimenticati, come il fornaio che nel silenzio della notte lavora l’impasto del pane o il pescatore che, informato della Buona Novella, si affretta a tirare le reti. Ma i presepi rappresentano anche scene di vita quotidiana, come ad esempio l’opera “L’antica locanda”, un luogo di incontro dove viaggiatori, sfiniti dalle fatiche quotidiane scambiano qualche parola e dove si respira la presenza di Dio, connotata dallo stesso calore ed affetto che si respirano nella fede rappresentata nella scena superiore del presepe, ovvero la natività.
Tutte le liriche sono connotate da un linguaggio semplice, chiaro e trasparente, poiché lo scopo è quello di rivalutare i valori sani, attraverso una conciliazione tra l’immediatezza plastica del presepe e la capacità evocativa della parola.
Fra tanti Turchi c’è pure quello nolano
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08 Dic 2015
- Scritto da Antonio Fusco
Servizio e foto di Antonio Fusco
Le popolazioni italiche, soprattutto quelle rivierasche di tutto il Centro – Meridione, tra le loro paure ancestrali conservano ancora, con inconscio terrore, il ricordo dei Turchi, che, dopo la conquista di Costantinopoli (1453), presero a scorrazzare nei nostri mari con le loro agili navi segnate dalla mezzaluna islamica, devastando intere contrade e facendo strage delle inermi popolazioni cristiane, dopo aver dato sfogo alla loro ferocia con depredazioni, violenze ed incredibili torture, tutte rigorosamente turche. Basti ricordare, a riprova esemplare, l’eccidio nel 1480 degli abitanti di Otranto, perché si erano rifiutati di convertirsi all’Islam.[1]
Il tutto fortunatamente finì bene sia per gli assalitori, che con la loro guerra santa si assicurarono un erotico talamo nell’islamico paradiso delle delizie, sia per gli sventurati idruntini, che, a scorno dei Turchi, furono santificati come martiri e si guadagnarono anch’essi la celeste beatitudine. Tutto è bene quello che finisce bene.
Le nostre popolazioni, però, non hanno mai mandato giù il fatto di essere state per lungo tempo oggetto dell’efferatezza ottomana, e da allora hanno bollato i Turchi con il marchio della barbarie, abbinandoli a saccheggi, distruzioni e stermini, ed appena ne hanno l’occasione non mancano di prendersi una tardiva quanto incruenta rivincita. Quando capita di essere a contatto con persone incolte, prive di senso civico e dal comportamento rozzo, dalle Alpi a Pantelleria si è soliti esclamare con ironico disappunto: ”Mamma, li Turchi”. In molte manifestazioni folcloristiche italiane, di richiamo turistico, oltre all’allestimento di cortei che ricordano i Turchi (Potenza), si infierisce contro un simulacro plastico dal volto magro, olivastro e baffuto, con sopracciglia a cespuglio e barba mefistofelica, chiamato normalmente “Turco o Saracino”; sono le cosiddette “giostre” in costumi d’epoca, in cui un pupazzo o una testa dalle fattezze turche fa da bersaglio alle lance di veloci cavalieri ( Italia centro-meridionale).[2]
Nelle ricostruzioni storiche estive che simulano incursioni islamiche e battaglie navali tra Cristiani e Turco-Saraceni, i secondi, truccati in modo da avere aspetto ed atteggiamento feroci, vengono sempre respinti dopo lunga e strenua tenzone (Campania, Puglia).
Nella “Sagra dei Gigli” di Nola, per significare i Goti di Alarico che devastarono la città all’inizio del secolo V, è inserito un figurante in una barca che, essendo metafora di vandalismo, non poteva che chiamarsi “Turco” e, di conseguenza, indossa sfarzosi abiti serici, turbante o copricapo arabeggiante, camicione, figaretto, ampi pantaloni retti da una fusciacca, ricco mantello e l’immancabile scimitarra da feroce Saladino, il tutto arricchito con vistosa bigiotteria.
A Castelbuono di Sicilia nella pasticceria locale una torta è chiamata “Testa del Turco”.Non mancano siti e località che li ricordano. Tanto per citarne alcuni segnaliamo laGrotta del Turcoa Gaeta, laScala dei Turchi,una parete rocciosa che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte vicino a Porto Empedocle (Agrigento), laCala del Turco(Peschici), laBaia delTurco (Otranto) Le scorrerie turco-saracene sono anche ricordate nella canzone napoletanaMichelemmà, la quale nel testo riporta:li turche se nce vanno Michelemmà, Michelemmà, li turche se nce vanno Michelemmà, Michelemmà, a reposare, a reposare. [3]
L’esagerata e quasi cromosomica pignoleria dei Turchi nel condurre devastazioni e stermini ha portato al luogo comune di estendere questa loro precisione unnica ad altri comportamenti negativi, visti in misura iperbolica, alla turca appunto. Perciò, se uno si attacca ripetutamente alla sigaretta è accusato di “fumare come un turco”; quando una persona è affetta dal detestato vizio dell’empia imprecazione “bestemmia come un turco”; chi si lascia prendere da un eccesso d’ira “si fa prendere dai turchi”, mentre chi parla in modo incomprensibile ed oscuro “parla turco”. Se poi ci si trova ad assistere o a partecipare a situazioni ed a fatti inusitati, sia piacevoli sia irritanti ed indescrivibili, si dirà di aver visto o fatto “cose turche”. Nel caso vi capiti di “sudare come un turco” sappiate che l’espressione si riferisce ai “bagni turchi”, locali pubblici o privati con atmosfera caldo-umida, usati dagli Ottomani per fare salutari saune ed abluzioni igieniche, mentre si conversa e si socializza stando seduti, manco a farlo apposta, con le gambe incrociate “alla turca”.
La terminologia collegata ai Turchi, oltre alle locuzioni citate, riguarda altri campi culturali. Tra i colori troviamo una tonalità di azzurro che prende il nome di “turchino”, a sua volta derivato dalla “turchese”, una preziosa pietra dura importata nei secoli passati dai paesi del vicino Oriente. Sono chiamati anche turchi particolari vasi per luoghi di decenza, installati a livello del pavimento, che richiedono una posizione accovacciata per essere utilizzati; la loro funzionalità li rende maggiormente igienici e pertanto sono adoperati in servizi pubblici.
Ma la parola “turco”, nel suo valore attributivo, ha acquisito nel nostro linguaggio anche l’accezione di cosa esotica, poco conosciuta e di forma strana; e così abbiamo l’uva turca obaresana, che può diventare “sultanina”; ilferro di cavallo turco, perché ripiegato a mezzaluna;i piccioni ed i polli turchi, diversi per piumaggio da quelli più comuni. Il mais, allorché fu importato in Europa dall’America centro-meridionale, avrebbe dovuto chiamarsi logicamente grano americano, invece, poiché per la fantasia popolare le cose insolite, sconosciute e strane dovevano essere necessariamente originarie della Turchia, prese il nome digranturco.[4]
Per concludere, al lettore condizionato da questo excursus a sperimentare “cose turche”, suggeriamo di sdraiarsi su un’ottomana, il tipico divano turco chiamato anche “sultana”, e lasciarsi tentare e concupire da velate e sinuose odalische, come in un harem, mentre si degusta un caffé fatto alla turca[5]e si ascolta la “Marcia turca” di Mozart. Gli eunuchi sono facoltativi.
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Note:
[1]Una parte delle ossa dei Martiri di Otranto sono custodite nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli
[2]Arezzo, Paliano, Agropoli. A Faenza, in Emilia Romagna, nella festa delNiballo, che ricorda Annibale, il fantoccio, su cui si accaniscono cavalieri dotati di lunghe lance e che simula il generale cartaginese, è abbigliato come un turco.
[3]La canzone, del sec. XVII, erroneamente attribuita a Salvator Rosa, presenta un testo enigmatico.
[4]Nel dialetto dell’Agro Nolano il mais viene chiamato “graurinio”, corruzione di “grano d’India” ( Indie occidentali – America). La stessa formazione etimologica si riscontra inficurinia, il fico d’India importato dall’America Centrale.
[5]E’ fatto miscelando caffè ed acqua bollente direttamente nella cuccuma e poi filtrato; risulta più denso perché trattiene la polvere del caffé macinato finissimo. Un tempo dalle nostre parti tale tipo di infuso era detto “alla monachina”, probabilmente perché era in uso nei conventi.
BAIANO: ALL’”INCONTRO” NICOLA MONTANILE PER “NON SOLTANTO SULLA PIETRA”
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25 Nov 2015
- Scritto da N.R.
Presentato il libro-guida delle lapidi epigrafiche dedicate ai fanti-contadini di Avella caduti sui fronti di battaglia nei due conflitti mondiali. Una rivisitazione che fa rivivere sentimenti e idealità del passato la cui memoria va onorata, per comprenderne il senso rispetto al presente e al futuro.
N.R. – 20.11.2015 - Sono stati i primi conflitti della storia dell’umanità - quelli del ’14 \ 18 e del ’39 \ 45- a dimensione mondiale, con il contrappunto violento e drammatico dei massacri di massa con cento milioni di vittime umane; conflitti con periodizzazioni relativamente distinte nel breve arco di un ventennio, ma correlati per struttura e configurazione complessiva nell’interdipendenze di cause e genesi socio-politiche, non solo sul piano delle contrapposizioni sui mercati dei sistemi economici e produttivi, ma anche e soprattutto sul versante delle ideologie in antitesi, che hanno alimentato il mix dei furenti antagonismi tra gli Stati e le nazioni del Vecchio continente, percorso dai virus della violenza e dalla volontà di dominio. Erano gli antagonismi del forsennato Eurocentrismo, che dopo il ’45 sarà cancellato dal bi-polarismo disegnata a Yalta , facendo primeggiare la geo-politica degli Usa e dell’Urss.
E se per un conflitto, lo scenario esclusivo fu costituito dalle terre dell’arco alpino, il lungo discrimine montuoso che separa l’Europa mediterranea e l’Europa del Centro-Nord, per l’altro le quinte dello scenario - oltre settanta anni fa- dal Vecchio continente si dischiusero verso l’Africa, diventata, fin dalla scoperta dell’America, “ Terra di conquista” e sottoposta al duro dominio coloniale e al saccheggio indiscriminato di risorse per opera delle potenze europee, soprattutto Francia e Inghilterra, restandone sfibrata, e verso l’Asia, sulla scia delle rotte dell’ Oceano Atlantico e segnatamente dell’ Oceano Pacifico. E quest’ultimo é assurto da alcuni decenni al ruolo del mare della globalizzazione della contemporaneità tecno-tronica, avendo le sue rotte soppiantato per caratura strategica ed imponenza dei traffici - del tutto o quasi- quelle dell’Atlantico.
Ma come furono vissute - e con quale risonanza- le vicende delle due guerre mondiali nella realtà di Avella, l’antica Abella , la città cresciuta ai piedi dell’omonimo arco sub-appenninico e attraversata dal Clanio? Un’interessante sequenza di risposte si ritrova in “ Non soltanto sulla pietra”, il libro-collage di Nicola Montanile, pubblicato- con ricco apparato fotografico- dalla casa editrice D’ Oriano di Pompei, grazie al patrocinio della Fondazione Avella Città d’Arte, presieduta dall’avv.to Antonio Larizza; libro-collage, presentato nel Circolo “L’ Incontro” nella conversazione con l’autore, che ha puntualizzato le finalità del suo impegno di “cultore di storia locale”, con l’obiettivo precipuo di consegnare alle giovani generazioni tasselli di memoria collettiva della comunità avellana, degni di essere custoditi ed onorati, come testimoni di continuità tra le generazioni.
Sono tasselli di testimonianza da non disperdere e da non relegare nell’oblio e che nella città del Clanio si identificano e coincidono - al di là della pubblica e ben significativa scenografia sui temi della Pace che si leggono nello svettante Monumento dedicato ai Caduti in guerra in piazza Convento - con oltre venti lapidi marmoree, affisse sulle facciate di palazzi per lo più del centro storico; lapidi, che raccontano le vite dei Caduti per la Patria. E sono le vite di fanti-contadini, giovani che credevano fortemente negli ideali di Patria.
Sulla tematica del libro, che contiene un’importante selezione di atti e documenti di carattere politico e amministrativo, specchio della vita cittadina e contraddistinti dall’enfasi retorica del cultura d’impronta nazionale e nazionalista prevalente nell’epoca, si è sviluppata un’agile e proficua conversazione, con le puntuali riflessioni sia dell’autore che del prof. Angelo Perna e dell’avv.to Antonio Masucci. Di rilievo, per l’interpretazione dei sentimenti del tempo e, in particolare, dei fanti-contadini, impegnati sui fronti di battaglia dei due conflitti, le lettere che inviavano ai familiari; lettere, vagliate dalla censura militare, con scrittura incerta e malferma, che, al netto dei richiami ai valori patriottici, evidenziano l’attaccamento alla terra natia, ad Avella, al forte desiderio di riprendere il lavoro abituale quanto prima e agli affetti familiari. Sentimenti autentici e di forte tempra per giovani, che in parte non sarebbero più ritornati sotto l’amato tetto di casa ….
A darne lettura, era la prof.ssa Maria Dello Russo-Stago, mentre la rappresentazione di veritiera testimonianza della tragedia che si consumò nella Grande guerra - largamente mitizzata, invece, dalla retorica bellicista e patriottarda di cento anni fa sulle scie del dannunzianesimo- era … affidata a brani della poesia di Giuseppe Ungaretti e del celebre Diario di Emilio Lussu , intitolato “ Un anno sull’Altipiano ”, letti dalla prof.ssa Diana Picciocchi e dal dr. Pellegrino Sorice.
Due percorsi, quelli dell’autore di “Vita d’un uomo” e “Porto sepolto” e di colui ch’è stato il tenace animatore delle istanze di riscatto civile della Sardegna, che non fanno alcun sconto all’ipocrisia; quell’ipocrisia, che ammantava - dai versanti della Triplice Intesa e da quelli della Triplice alleanza - la guerra delle trincee; dei feroci corpo-a-corpo; dei gas venefici che rendevano atroce la morte di quanti ne restavano impregnati e che, a loro volta, venivano finiti a colpi di bastoni ferrati; dei processi sommari con fucilazione immediata per i soldati ritenuti renitenti nell’uccidere il nemico o per il mancato saluto d’ordinanza al “superiore graduato di turno”; del largo consumo di liquori super-alcolici che veniva fatto fare dai soldati per caricarli e drogarli a … meglio negli assalti alla baionetta e all’arma bianca; di generali e ufficiali cinici e senza scrupoli, fino alla perfidia e … tarati dalla patologica malia del … comando.Un’infinità di brutture …. che sono rivelate dal cristallino ed ermetico linguaggio di uno dei pochi e più importanti poeti con caratura mondiale del nostro tempo, qual é Giuseppe Ungaretti, e dalla limpida vena narrativa di Lussu, tanto affine per schiettezza di tonalità a quella di Giovanni Verga, Grazia Deledda, Ada Negri e Federico De Roberto. Ha coordinato, la conversazione-presentazione di “ Non soltanto sulla pietra ”, il prof. Gianni Amodeo .
All’”Incontro” di Baiano il prof. Balletta focalizza sulla cooperazione e sulle banche quali volano dello sviluppo sociale e produttivo dei territori, mette in evidenza i fattori di crescita auto-propulsiva,legati all’economia civile e alle PMI
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03 Dic 2015
- Scritto da Gianni Amodeo
Il caso virtuoso della Banca popolare del Cassinate e i modelli della Banca Popolare di Milano e della Cassa di Risparmio di Lombardia, a cui si lega fin dall’800 la valorizzazione della piccola e media imprenditoria e la tutela del risparmio.
Gianni Amodeo – 24.11.2015 - La condizione di “ piccoli ed isolati”, incapsulati dai lacci e laccioli dell’asfittico localismo chiuso in se stesso, come monadi senza…finestre, costituisce per la realtà sociale dei territori il fattore di base che ne determina l’arretratezza e il ristagno civile, declinandosi con la fragilità economica e produttiva. Al contrario, la cultura della solidarietà attiva e dell’associazionismo, coniugata con l’attiva e responsabile coscienza del bene comune é l’elemento fondante dell’evoluzione civile e della crescita culturale per le comunità che vivono i territori, di cui formano la configurazione sociale. E’ la cultura, che travalica i particolarismi, interpellando direttamente i cittadini nell’affrancarsi dai deteriori egoismi. E’ un percorso impegnativo - per le realtà del Sud- ma del tutto praticabile, se c’è la giusta volontà di operare, rispetto alla quale, però, esercita un ruolo decisivo la politica concepita e praticata nella sua più ampia e autentica valenza di servizio pubblico, in tutt’uno con la buona amministrazione degli Enti locali, con cui si promuovano e favoriscano le attività e le iniziative di coesione, che diano sostegno alla vita produttiva, ponendo in valore le vocazioni e le potenzialità dei territori.
E’ la “lezione”, che dettano le vicende storiche, fin dal compimento dell’ Unità nazionale del 1861, ma anche riferite all’arco dei primi decenni del XIX secolo, a fornirne eloquente testimonianza, se si focalizza con la dovuta attenzione e senso adeguato di analisi il prospetto delle Banche popolari con matrice cooperativa, delle Casse di risparmio e di altre banche con tipologia territoriale, che, in ragione delle rispettive e distinte funzioni, hanno favorito e promosso la costituzione e il progressivo sviluppo delle piccole e medie imprese, segnatamente nel comparto manifatturiero in Lombardia nella seconda parte dell’ Ottocento, realizzando incisivi ed efficienti Net work compositi di credito cooperativo e di mediocredito regionale, che risultano pienamente congrui e rispondenti alle istanze dei dualismi, con cui si contrassegnano gli squilibri e le differenziazioni pure esistenti nei contesti territoriali del Nord.
Sono modelli di esemplarità nel delicato ed impegnativo del settore creditizio, in grado di “ fare sistema”, dando non soltanto efficace e puntuale sostegno allo sviluppo sociale ed economico dei territori, ma anche esercitando la piena tutela del risparmio e della sua funzione. E’ la cultura del “fare sistema ”, in virtù della quale le Banche popolari dei singoli territori, costituite come società di persone e di capitali a responsabilità limitata, contemplate dal Codice di commercio del 1882, si rapporteranno alla leadership tecnica e “politica” della Banca di risparmio di Milano, espressione di una società cooperativa, fondata nel 1865 da Luigi Luzzatti.
E proprio Luzzatti - tra gli estensori dello stesso Codice - fu assertore dell’introduzione del principio normativo della responsabilità limitata in capo alle Banche popolari, le cui esigenze di rifinanziamento e di equilibrio della liquidità venivano da loro perseguite grazie ad una specie di divisione del lavoro interna al gruppo. Ma il ruolo maggiore nel “fare sistema“ spetta alla Cassa di risparmio di Lombardia - la cui fondazione risale al 1823, con rilevanti finalità di solidarietà ed assistenza- per la dotazione di liquidità monetaria, fortemente correlata con la primaria tutela del risparmio, investendo in prevalenza nelle sicure economie agricole della Bassa pianura padana, mentre gli impieghi in ambito manifatturiero e commerciale erano praticati dalle banche popolari.
Sono stati – questi - i passaggi di riflessione storica, con cui il professore Francesco Balletta - docente emerito della Facoltà di Economia e Commercio della Federico II - ha introdotto nei locali del Circolo “L’Incontro” la brillante ed esaustiva conversazione-lezione sull’importanza del ruolo delle “ Banche locali nel Mezzogiorno d’Italia ”; ruolo, che sulla scia delle esperienze maturate proprio nel Nord viene assumendo anche nel Mezzogiorno una peculiare fisionomia e crescente appropriatezza di missione per i territori e le loro realtà sociali. Ed é la prospettiva, nella quale é ben collocata la Banca popolare di Torre del Greco – la cui fondazione di società cooperativa a responsabilità limitata risale al 1888 - che attualmente conta 67 filiali attive in Campania e nel Basso Lazio, e, dal 1955 - anno della fondazione - si è inserita autorevolmente la Banca popolare del Cassinate, nel cuore della provincia di Frosinone. Una realtà - quella della BpC che gli esperti e gli analisti economici considerano un caso virtuoso per la caratura e le scelte decisionali, con cui l’ Istituto della Città Martire del secondo conflitto mondiale ha concorso - e concorre in modo proficuo- nei processi di trasformazione della realtà sociale e produttiva del territorio, saldando l’economia agricola di base a quella industriale, favorita dall’insediamento della Fiat, e al terziario; un’attività di concorso e supporto, quello esercitato dalla BpC, in cui ha un ruolo specifico la costante collaborazione con l’Università dell’area cassinate, con notevoli sostegni per la crescita delle relazioni culturali e sociali. Una presenza operosa, radicata nel territorio, con normali protagonisti i ceti sociali che lo vivono, conoscendone e interpretandone istanze e vocazioni.
TERRITORIALITA’ E BANCHE LOCALI
SI’ PER L’ECONOMIA REALE, NO PER L’ECONOMIA FINANZIARIA DI SPECULAZIONE
“ Nella società contemporanea - ha spiegato Balletta - caratterizzata dall’internazionalizzazione dei mercati e dagli sviluppi costantemente innovativi delle tecnologie informatiche e telematiche, la funzione delle Banche locali, vincolate ai territori e alle loro specificità di autonomia programmatica e gestionale, ha notevoli margini di espansione e consolidamento, anche e soprattutto per i vincoli legislativi che derivano dalle disposizioni stringenti della legge di riforma Amato-Carli del 1990”.
I principi di cooperazione, che ne costituiscono l’asse portante, insieme con le dirette e condivise responsabilità di coloro che ne sono promotori, rendono le Banche locali strumenti validi per lo sviluppo della piccola e media imprenditoria. E l’affidabilità deriva dalle relazioni fiduciarie che s’instaurano tra coloro che “ fanno impresa ” sul territorio e coloro che per competenze professionali esercitano le funzioni di dirigenza nelle Banche stesse. “Sotto questa visuale – ha aggiunto- le Banche locali si collocano nell’ambito dell’ economia reale, che costituisce l’unico tracciato percorribile per lo sviluppo della società attraverso il lavoro produttivo, connesso con le dinamiche delle piccole e medie imprese, che da sempre hanno costituito e costruiscono l’assetto della realtà italiana. Ed é necessario- ha concluso Balletta – evitare le insidie dell’economia finanziaria, ch’è una sovrapposizione, anzi una distorsione dell’economia reale.
I TEMI DEL DIBATTITO
Vari i temi tratteggiati nel dibattito, che ne seguiva. Dalla visione dell’ Economia civile, teorizzata nel ‘700 da Antonio Genovesi, grande pensatore dell’Illuminismo napoletano e di rilevante profilo europeo, calibrata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, radicati nel cristianesimo sociale, alla formazione imprenditoriale, per approdare alla valorizzazione dei territori del Sud, che passa anche attraverso il rilancio dell’agricoltura di qualità, favorendo l’accorpamento dei suoli agrari, la cui eccessiva frammentazione impedisce la costituzione di aziende competitive; rilancio di cui , di cui siano artefici i giovani, professionalmente formati. Ad animare il confronto, erano gli interventi di Pasquale Gaglione, del prof. Angelo Perna, del dott. Clemente Vaccaro, dell’avv.to Mario Colucci, dell’imprenditore Stefano Vecchione dell’avv.to Emanuele Litto.
La consegna al prof. Francesco Balletta dell’attestato di ringraziamento del Circolo “L’Incontro” -per l’importante opportunità di conoscenza data- concludeva … l’appuntamento.
Eccone il contenuto:Al professore Francesco Balletta per la linearità e chiarezza comunicativa a servizio dei giovani nelle aule universitarie della Federico II, avendo profuso un cospicuo e articolato patrimonio di conoscenza della Storia dell’Economia e della Finanza nelle vicende della realtà sociale italiana; un impegno che prosegue nella saggistica e nella pubblicistica, oltre che nel volontariato civico per il territorio.
Roccarainola: ll Monumento ai Caduti dello scultore Vincenzo Puchetti
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19 Nov 2015
- Scritto da Antonio Fusco
Inserito nel prospetto del primo stadio del campanile della chiesa di S. Giovanni Battista evidenzia un’arte ancorata ad un’estetica che identificava il “bello” artistico con una veristica ed armonica rappresentazione della realtà.
Antonio Fusco - Lo scultore Vincenzo Puchetti, autore del notevole monumento funebre del Vescovo di Nola Agnello Renzullo nella Cattedrale, nacque a Campobasso il 29 aprile 1894 e morì a Napoli il 15 maggio 1947, città in cui aveva lo studio. Nel corso della sua trentennale attività si dedicò più che altro alla creazione di monumenti ai caduti, a pannelli lapidei e a tutto tondo, che riflettono il suo consenso all’ideologia socio-politica e culturale del suo tempo, mirante ad indirizzare gli artisti verso un naturalismo accademico di stampo nazionalistico, finalizzato ad esaltare le glorie italiane.
Lo scultore, pertanto, per proprie convinzioni estetiche, non accolse, se non in qualche episodio creativo, le proposte tecnico-formali degli artisti più progressisti del suo tempo (Martini, Marini, Manzù, Fazzini, Boccioni), rimanendo ancorato ad un’estetica che identificava il “bello” artistico con una veristica ed armonica rappresentazione della realtà. Anche quando non è legato alla tematica patriottica, come è nel caso del citato monumento del vescovo Renzullo, guarda sempre alla lezione formale della classicità.