Festeggiati i 90 anni di vita ed i 60 di attività culturale del prof. Moschiano
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31 Mar 2016
- Scritto da Ferdinando Mercogliano
Autore: Ferdinando Mercogliano dal Forum del Vallo di Lauro 2050 - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Lauro - Sabato 26 marzo 2016, un gruppo di amici, conoscenti e molti soci della Pro Lauro si sono recati a casa del prof. Pasquale Moschiano per fargli gli auguri, festeggiare i suoi 90 anni di vita e omaggiarlo per i 60 di attività culturale.
Pasquale Moschiano è nato a Moschiano il 26 marzo del 1926. Sposato con Maria Ferraro, originaria di Fontenovella, da lungo tempo vive a Lauro.Tanto di quel che sappiamo della storia, delle tradizioni e della cultura della nostra terra lo dobbiamo a lui. Siamo quel che siamo anche grazie alla sua infaticabile attività in campo culturale e politico. Io conosco il “professore” da quando ho cominciato ad interessarmi alla vita pubblica di Lauro. Il suo primo libro che ho letto è stato “1799, saccheggio e incendio di Lauro” pubblicato nel 1979. Nel libro sono ricostruite le vicende del mese di aprile 1799, quando al tempo della Repubblica Partenopea, un gruppo di facinorosi e di sostenitori della causa sanfedista si misero ad abbattere gli alberi della libertà. Nient’altro che degli alberi, o dei pali, innalzati nelle piazze principali in cima ai quali venivano sistemati i simboli della repubblica.
Oggi siamo abituati a sopportare, senza reagire, oltraggi ben più gravi ai simboli della nostra patria. Allora il gesto fu inteso come un segno preciso di ribellione. Il responsabile dell’abbattimento fu arrestato e fucilato. Ciò non bastò a fermare le provocazioni di quella parte della popolazione che spingeva per la rivolta. Per punire la ribellione, il 30 aprile, fu inviato il generale Championnet alla testa di una colonna composta da più di tremila fanti e cavalieri. Gli insorgenti, tirarono qualche colpo di archibugio da lontano e poi si diedero alla fuga su per le montagne, seguiti dalla maggior parte della popolazione. I soldati entrarono nel paese e, senza incontrare resistenza alcuna, incendiarono e distrussero tutto ciò che poterono. Trucidarono anche 17 persone, infermi, storpi, monache, coloro che non avevano potuto o voluto mettersi in salvo. A sera, le fiamme del castello dei principi Lancellotti, dall’alto del primo sasso, illuminarono tutta la valle: «ardevano tetti, mura, porte, biblioteche, quadreria, mobili, biancheria, bellissimi arazzi, tutto fu ridotto in cenere e lasciato un mucchio di rovine come al dì di oggi. Il più grave danno cagionato dall’incendio fu la perdita dell’archivio, questo conteneva molte carte trasportate ivi da Roma». Sono le dolenti parole di Donna Giuseppina Massimo, moglie di Ottavio III, riportate nel suo manoscritto Storia della famiglia Lancellotti.
Conosciamo l’entità dei danni grazie a un certificato, in carta legale di grani 12 del Regno delle Due Sicilie, conservato nell’archivio del Castello: «Certifico io sottoscritto, Cancelliere del Comune […] come sotto il dì trenta aprile 1799 (millesettecentonovantanove) dalla truppa francese fu messo ad universal sacco e fuoco questo comune, ove rimasero incendiate cinque chiese, due monasteri, i principali palazzi dell’ex Feudatario, del ridetto comune, e d’altri più cospicui proprietari, e quasi la maggior parte degli edifici. Nello stesso incendio rimasero preda delle fiamme le migliori antiche schede di diversi Regii Notari e gli archivi del Comune, della Parrocchia e del cennato ex feudatario e quasi tutte le scritture e carte che si conservavano nelle private case. Dal che ne fo fede come di atto pubblico e notorio, e consacrato nella Istoria del Regno e di cui ne offrono dolorosa memoria gli infelici avanzi di detti Pii Luoghi ed edifici del Comune, ed ex Barone non più restaurati dalle loro rovine».
Un trauma, una tragedia immane per la storia delle comunità del Vallo. Un buco nero della memoria destinato a durare secoli. Fino a quando, verso la metà del Novecento Pasquale Moschiano cominciò a spulciare le carte di archivi abbandonati e malridotti. Lavorava come maestro elementare, ma tutti lo chiamavano ’o professore, forse perché era una persona amante del sapere in mezzo a tanti che non studiavano. Per me sarebbe più indicato chiamarlo semplicemente maestro, una parola che un tempo indicava la persona dotta in una scienza, in un arte o in un mestiere e prima ancora indicava il più grande, il maggiore. Quel giovane docente coltivava in solitudine la sua passione per la storia e ne insegnava i rudimenti ai suoi piccoli allievi.
Nel 1955 pubblicò il suo primo opuscoletto: “Un episodio del Brigantaggio a Moschiano”. In quel momento, nel Vallo di Lauro non erano disponibili libri sulla storia locale, né vi era una bibliografia che potesse indirizzare le ricerche. Alcune notizie si potevano estrapolare da libri dedicati alla storia di città limitrofe, come il testo del Remondini “Della nolana ecclesiastica storia” risalente al 1747 o il più recente, diciamo così, testo del Vincenti “La contea di Nola”, datato 1861. Moschiano cominciò ad occuparsi dei fatti del 1799 in una sua relazione datata 1957: “Attraverso il Vallo di Lauro, briciole di storia di casa nostra”. Briciole di storia appena, ma bastarono a riaprire uno spazio per la memoria.
La studiosa tedesca Aleida Assmann ha scritto che «la storia di un luogo non finisce con il suo abbandono o con la distruzione; esso conserva i relitti materiali che diventano elementi della narrazione, a loro volta punti di riferimento di una nuova memoria culturale. Questi luoghi necessitano comunque di spiegazioni: il loro valore deve essere attestato anche dalla tradizione orale. La continuità spezzatasi con la conquista, l’abbandono e l’oblio non è riproducibile a posteriori, ma, attraverso la mediazione del ricordo, può essere ricostruita». La memoria è la possibilità di disporre delle conoscenze passate e sono le persone, siamo noi, attraverso il ricordo, a creare questa possibilità.
Proust sosteneva che le persone possono rompere l’incanto che tiene prigioniere le cose, portarle alla luce e impedire che cadano per sempre nel nulla. Nelle prime pagine de La strada di Swann, il narratore, nell’assaporare un pezzetto di madeleine inzuppato nel tè, viene travolto dal flusso dei ricordi che lo riporta alla sua fanciullezza passata nel paesino di Combray, a un tempo ritenuto ormai perduto: «quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo». Un piccolo episodio, un gesto, possono contribuire a restituirci il passato.
Pasquale Moschiano, con le sue briciole, schiuse una possibilità, con i suoi scritti iniziò a formare una nuova memoria culturale, capace di riappropriarsi dei momenti della storia passata. Nella sua lunga e operosa vita ha pubblicato più di cinquecento articoli e numerosi libri e opuscoli su argomenti di storia e di cultura locale. E lo ha fatto senza mai smettere di seguire, incoraggiare e sostenere ogni iniziativa culturale dei suoi concittadini. Lo spazio della memoria che lui ha aperto, nel tempo, ha spinto altre persone scrivere a intervenire, nel dibattito pubblico. Dove prima non c’era nulla, uno spazio vuoto, un buco della memoria, un’assenza di voci, è fiorito nel tempo un ampio articolato e approfondito discorso a più voci. Tutto scaturito dalla passione e dall’impegno di un giovane maestro elementare.
Il direttore responsabile, prof. Gianni Amodeo, il direttore editoriale, prof. Pietro Luciano, e tutto lo staff de IL MERIDIANO, per l’occasione, augurano al prof. Moschiano ancora tanti anni di vita culturale.
BAIANO / CIRCOLO L’ ”INCONTRO”: LE DONNE DEL ‘900 E LUNGO GLI ITINERARI DEL TERZO MILLENNIO
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25 Mar 2016
- Scritto da Pietro Luciano
All’”Incontro”, sabato 12 marzo, incroci speciali tra l’Irpinia, il Mediterraneo e l’Islam, con Gaetana Aufiero, Marisa Anzalone e Daniela Romano. Le esperienze di Giuseppina Divisato nella ricerca scientifica del CNR di Napoli nel complesso mondo della genetica. Servizio di Geo. Foto di Enrico Stago.
20.03.2016 - Squarci ampi e densi di significato aperti nella grande e smisurata tela della micro-storia, i cui profili concorrono a nutrire e ad alimentare il racconto della macro-storia, dandole fragranza di seducente sapore cognitivo, lievitanti fermenti di riflessione e convincente senso di vissuta realtà nell’ umana spirale di speranze e delusioni, gioie e dolori, progressi e decadenze. E ancora: orizzonti squadernati sia sulle tormentate inquietudini – spesso trasformate nelle cupe tragedie di guerre generate da ignobili e turpi fondamentalismi ideologici, ipocrite e deformi maschere del crudele potere della forza e della perversa ricchezza materiale - sia sugli effervescenti aneliti di libertà, che attraversano il mondo islamico. Squarci e orizzonti convergenti verso le prospettive, che disegna la ricerca scientifica, al servizio della qualità della vita e per l’armonia dei rapporti tra la natura e tutte le forme viventi.
Sono le coordinate del ricco e interessante mix, che ha dato in-put e svolgimento alle penetranti ricognizioni di analisi sulla tematica “ Dall’Irpinia al Mediterraneo. Storia e Storie di donne. Percorsi del ‘ 900 ”. Un affresco a tinte forti ed esaustivo - ravvivato dall’ariosità di racconto proiettato sullo schermo del passato recente con diffuse luci per il rischiarare il presente e il futuro prossimo venturo - che ha catalizzato l’interesse dell’uditorio del Circolo “ L’Incontro “.
Ad alzare il sipario sullo scenario, era la lettura - curata da Maria Laura Conte - del racconto di “ Voce ‘e notte ”, scritto da Romeo Lieto. Un realistico bozzetto narrativo sulla durezza del lavoro o, per meglio dire, della fatica che praticavano le donne del territorio, soprattutto per la raccolta delle fascine di rami e ramoscelli dei castagneti del Bosco montano di Arciano, su cui la comunità per secoli ha esercitato gli usi civici in un’economia di diffuso auto-consumo; fascine destinate alla panificazione domestica, per lo più, nei forni comuni “ ind’ ‘e curtine“ e ad ardere nelle fornaci delle “carcare” per la produzione della calce; fascine, legate tra loro in tutt’uno formando “ ‘ a sarma “, ch’era caricata sulla testa protetta da un panno arrotolato – “ ’ o curuoglio ”- da trasportare a piedi quasi nudi – appena coperti da calzature di ruvido telo - a valle attraverso sentieri malagevoli. Ed erano necessarie almeno dodici mila fascine di formato medio, secondo le stime del geometra Luigi Schettino, figlio di uno dei più noti ed esperti “imprenditori” del settore, Gennarino ‘o carcararo, rappresentativo della quarta generazione della famiglia “specializzata” nella difficile e complicata attività. Era la mole di legnatico, che permetteva di mantenere - con meticolosa attenzione e cura - elevata e costante la temperatura, trasformando le pietre di roccia, estratte dalle cave locali, in trecento - poco più o poco meno - quintali di materiale costruttivo.
’ Ngiulinella ‘e don Giuanni – protagonista del racconto - era la bonaria e generosa “caporale” che organizzava le donne, per la raccolta delle fascine, dando loro la “voce” di richiamo alla fatica giornaliera sul fare delle “due” o ”tre” lungo il gomitolo di stradine e vichi de “‘ E Vesuni ”, quando cominciavano a filtrare nell’oscurità i timidi spiragli dell’alba, che si apprestava a scalzare la notte. Ma ‘Ngiulinella s’industriava anche come sensale nella compravendita dei prodotti di campagna ed arrotondava la modeste e scarne entrate con quelle che ricavava per la custodia e per le pulizie dei locali del Circolo sociale - “ ‘A casina r’’e signuri “ che da oltre un secolo apre i battenti nel Palazzo comunale. E il patronimico della donna, che fino agli anni ’60 è stata un’”istituzione” cittadina, era dovuto a “don” Giovanni Belloisi, il maresciallo dei Vigili municipali - tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 - la cui famiglia aveva adottato ‘Nngiulinella fin da bambina.
NONNE E MADRI DEL PRIMO ‘900
LE LIBERTA' COSTITUZIONALI, L’EMIGRAZIONE DEGLI ANNI ’50, L’AUTONOMIA
Sul racconto di Romeo Lieto, la prof.essa Gaetana Aufiero innestava i fili tematici della sua ricerca sociologica, con addentellati antropologici, intitolata “ Due ciliegie e una nespola” pubblicata da Delta-3, in cui rivisita il ruolo delle nonne e delle madri, tra la fine dell’800 e il ‘900, nel Sud, ma con particolare rilievo per il micro-cosmo dell’Irpinia; una ricerca- corredata da interviste in presa diretta, condotte da giovani - ben documentata. E’ il ruolo delle donne nel lavoro e nella famiglia, con caratteri di sostanziale marginalità sociale, pur costituendo l’asse portante dell’identità della comunità e della stessa economia produttiva, che ne governava le relazioni in un contesto statico, cristallizzato nei profili arcaici. E la scelta matrimoniale - per atavica condizione - non era per nulla appannaggio della volontà delle donne, bensì degli interessati calcoli dei genitori, anzi del padre-padrone, la cui dimensione dominante si … ripeteva con il marito-padrone.
Il cambio di passo e di costume - spiegava la prof.ssa Aufiero – si concretizzava negli anni ’50, quando si sviluppano i processi della Grande emigrazione di braccianti, contadini, manovali, che dal Sud approdano a Torino e Milano e, soprattutto nella Germania federale, dove c’è bisogno di forza-lavoro per le industrie. Le mogli, in larga parte, restano nelle terre natie, per accudire figli e figlie; una condizione che ne accresce ancor più le responsabilità verso la famiglia, facendone maturare la consapevolezza della personale capacità di autonomia di scelta e decisione. E’ la consapevolezza, che si combina con la conquista delle libertà costituzionali dello Stato repubblicano e del pluralismo politico della democrazia rappresentativa. Un passaggio, questo, che Gaetana Aufiero focalizzava, evocando l’atmosfera di passione civile, di cui le donne furono protagoniste con il voto sul referendum istituzionale del giugno del ’46 – a suffragio universale con piena parità di genere - e nelle elezioni politiche del ’48. L’ulteriore trasformazione sociale sarebbe stata innescata dalla scolarizzazione diffusa con il diritto allo studio, tra i principi fondanti della Carta costituzionale.
Era il respiro del progresso civile, che si manifestava in pieno; quel respiro, che in Irpinia tra l’800 e il ‘900 aveva espresso figure altamente simboliche per profondità di cultura e sensibilità sociale con Giuseppina Mascilli e Carolina Pironti, rispettivamente moglie e figlie di Michele Pironti, personalità di spicco della rigorosa Destra storica, giurista di assoluta eccellenza, parlamentare e Ministro guardasigilli dei governi presieduti da Menabrea . E su Giuseppina Mascilli e Carolina Pironti si soffermava la dott.essa Marisa Anzalone, direttrice della Biblioteca provinciale di Avellino, con “ medaglioni” a tutto tondo, rappresentandone la nobiltà dei sentimenti e il coraggioso rapportarsi con il vivere civile, nella Montoro e nell’ Irpinia del loro tempo.
IL CORANO E LE INTERPRETAZIONI STRUMENTALI
IL FEMMINISMO ISLAMICO E LA MODA DEL BELLO ESPRESSIONE DI LIBERTA’
L’obiettivo sul Medio Oriente, a cui l’Europa e il Sud d’Italia si saldano attraverso le acque del Mediterraneo, era rivolto con i tasselli esplicativi in power point dalla professoressa Daniela Romano, docente di Lingua e civiltà araba. Un’ originale sequenza di immediata presa e approccio, fatta di immagini, lingua scritta e riflessioni “parlate” dal vivo. Nucleo centrale dell’intervento di Daniela Romano il senso reale della questione femminile nei Paesi islamici, determinata da condizioni storiche e sociali e non certo da fattori religiosi. Un punto d’attacco, per evidenziare che “ la subalternità delle donne verso gli uomini è dovuta alla lettura tradizionale del Corano; un’interpretazione generata da un lavoro esegetico d’impronta esclusivamente maschilista in una società patriarcale e propagatasi nei secoli ”. La poligamia e la misoginia non sono altro che un’evidente testimonianza delle interpretazioni strumentali, in chiave maschilista, del Testo sacro dell’Islam, ch’è la seconda religione nel mondo, con un miliardo e duecento milioni di praticanti, e segue per diffusione quella del Cristianesimo e delle sue varie professioni di fede.
In questo prospetto, l’analisi di Romano si concentrava sulla crescita, nonostante gli ostacoli e le difficoltà da superare, del femminismo islamico, fenomeno culturale e sociale che ha già trovato radici estese in alcuni Paesi del mondo arabo. E’ il fenomeno, che promuove l’emancipazione delle donne, nel segno della consapevolezza dei propri diritti e opportunità nei contesti sociali di riferimento; primaria finalità del fenomeno è il sostegno alle donne nel “districarsi tra sistema patriarcale e religione per vivere lo spirito del tempo, difendendo il diritto alla femminilità nel conciliare l’amore per la bellezza con i principi religiosi ”. Un percorso lungo il quale si muove la Moda con straordinari effetti. E’ la Moda, che si fa veicolo ed espressione di libertà, declinando estetica e visione islamica. Un forte volano di evoluzione umana identificato con la dimensione-fashion.
LA RICERCA SCIENTIFICA E I GIOVANI
Il sigillo al convegno era impresso dal lineare e limpido intervento della dott.essa Giuseppina Divisato dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli e ormai prossima a conseguire il titolo di Dottorato in Scienze biomolecolari. La giovane ricercatrice ripercorreva il cammino finora compiuto negli studi e delle scelte fatte con convinta determinazione per il grande interesse che nutre verso la Genetica e l’ampia gamma delle sue applicazioni con orizzonti sempre più aperti. Una dedizione, la sua, per il sapere scientifico, filtrato dalla concezione umanistica della vita.
Rilievo particolare, Giuseppina Divisato, riservava alla recente scoperta del gene responsabile del tumore a cellule giganti, associato al morbo di Paget, che è una forma di tremenda e aggressiva degenerazione ossea; una scoperta, che si deve al team di ricerca, di cui è componente, e coordinato dal dottor Fernando Gianfrancesco. Un’esperienza di studio di significativo interesse e impegno, che ha fatto registrare il primo e importante step , che condurrà alle soluzioni praticabili in farmacologia per le specifiche terapie, anche se il percorso da seguire non sarà affatto breve. Sottolineato che il progetto di ricerca, approdato agli importanti esiti della scoperta compiuta dopo cinque anni d’intenso impegno corale in Laboratorio, ha preso le mosse nel 2010, la ricercatrice ne rendeva merito di condivisione a Telethon e all’ Airc, le cui iniziative umanitarie promuovono e favoriscono la ricerca scientifica. Un versante, questo, su cui l’articolazione del Consiglio nazionale per la ricerca operante a Napoli costituisce un’indubbia eccellenza in ambito europeo.
Una testimonianza, quella di Giuseppina Divisato, che evidenzia l’importanza degli investimenti morali e di ordine economico che la società e le istituzioni possono e debbono fare sui giovani - e sono tanti, ben più di quanto si immagini - di qualità, per volontà e intelligenza, nel coniugare studio e lavoro.
Avella: “I Rami del Melo” portano il teatro nelle scuole
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21 Mar 2016
- Scritto da Michele Amato
Michele Amato - 19.03.2016 - Questa mattina, presso il Teatro “Biancardi”, gli alunni dell’ISIS Baienese-Lauro sono stati accolti dall’Associazione I Rami del Melo per un dibattito e per assistere allo spettacolo “O fantasma e l’Avvocato”, commedia di Carlo Taranto recitata dal gruppo di attori amatoriali avellani “I Compagneros”. Prima dell’inizio dello spettacolo c’è stato un dibattito, che ha visto l’intervento di autorità e di esperti di teatro.
Il presidente dell’Associazione, Giuseppe Sorice, ha salutato i giovani ed i professori, ha ringraziato la D. S. prof.ssa Marina Petrucci per aver accolto con gioia l’invito a partecipare all’incontro. Ha detto Sorice:”Cercheremo di diffondere tra voi la passione per il teatro creando una vera e propria compagnia teatrale scolastica,puntiamo sulla vostra partecipazione, tra voi si potrebbe nascondere un futuro attore, lo faremo in modo graduale facendovi abituare alla recitazione”.
A seguire l’intervento di Nicola Le Donne e Marco Saviano, entrambi diplomati all’Accademia delle Arti Teatrali, oggi membri della Compagnia Stabile del Teatro Totò, che hanno sottolineato l’importanza del teatro amatoriale, vera e propria palestra per i giovani che intendono intraprendere questa esperienza; hanno poi annunciato la loro presenza in diversi teatri con lo spettacolo “Don Giuseppe Diana”, dedicato al sacerdote di Casal di Principe, vittima della camorra. Una testimonianza importante quella dei due giovani attori, che hanno esortato gli alunni ad avere coraggio e a tentare la via del teatro.
Poi ha parlato il sindaco avv. Domenico Biancardi: “Faccio i miei complimenti agli attori presenti e saluto tutti i giovani; credo che il teatro qui ad Avella stia diventando una realtà. In passato alcuni politici hanno criticato la scelta che abbiamo fatto, invece oggi ci ritroviamo un teatro sempre occupato per vari eventi e anche rappresentazioni piccole e grandi. Questo grazie al lavoro delle Associazioni di Avella e al nostro impegno. Il teatro può essere anche un’ottima palestra per chi vuole comunicare qualcosa, non solo a livello artistico ma anche sociale e politico”.
Infine c’è stato l’intervento del prof. Nicola Montanile, direttore della Biblioteca Comunale, che ha ricordato che ad Avella già negli anni ‘’50 sono state portate in scena diverse rappresentazioni, ospitando pezzi da novanta del teatro italiano, come ad esempio Carlo Molfese, che ha approfondito i suoi studi teatrali a Napoli, in stretto contatto con Totò, Nino Taranto ed altri personaggi importanti.
Montanile ha ricordato anche la partecipazione dei ragazzi alle recite e alle rappresentazioni sacre, definendo tutti come degli attori sin dalla nascita, giustificando il pianto dopo il parto come una reazione negativa determinata dal trapasso dal comodo grembo materno alla vita di tutti i giorni, dove c’è bisogno di indossare la maschera e quindi recitare una parte.
VISCIANO: AL VILLAGGIO DEL FANCIULLO RICORDATA MADRE ANNA
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24 Mar 2016
- Scritto da Pietro Luciano
Nicola Valeri - 19.03.2016 - Tre sindaci: San Vitaliano, Saviano e Visciano insieme ad altri illustri relatori hanno presentato il libro "Ardeva di Santo zelo", di madre Anna Vitiello con raccolta di pergamene scritte di suo pugno tra il 1938 e il 1974.
Madre Anna, classe 1904, conobbe Padre Arturo alla fine degli anni '40 ed era sposata con Angelo Maresca. Il povero Angelo rimase vittima di una sparatoria e la moglie Anna rimase vedova. La famiglia Maresca già conosceva il giovane don Arturo che a Torre Annunziata aveva fondato la Casa San Francesco da Paola. Anna Vitiello, su consiglio dello sposo prima che spirasse, decise di dedicarsi alla vita consacrata e con Padre Arturo fonda la congregazione delle suore Piccole Apostole della Redenzione.
Madre Anna è stata la spalla di Padre Arturo e suo consigliere in tante scelte. Tra i due, come hanno ricordato Padre Vito e il prof. Fioravante Meo, direttore di Radio Carpine, litigi e opinioni diverse ma alla fine si decideva sul futuro dell'opera.
Madre Anna è stata anche una guida sicura per tanti ragazzi che dal Villaggio del Fanciullo passavano alla Casa di Torre Annunziata per studiare o imparare un mestiere o legarsi alla vita consacrata. Sono tante le vocazioni, maschili e femminili, nate grazie alla tenacia di Padre Arturo e madre Anna.
I ricordi di Giovanni Manzo, come quelli di Antonio Falcone sono andati oltre ogni emozione, così come pure quelli di Pellegrino Gambardella, oggi sindaco di Visciano ma anche ex allievo e medico di fiducia. Presenti tanti ex allievi, come Ariosto Prudenziano, oltre a Giovanni Manzo. Hanno ricordato Madre Anna anche i superiori delle due congregazioni fondate da Padre Arturo e Madre Anna, don Egidio Pittiglio e Madre Nunzia Gentilcore.
Il sindaco di Saviano, Carmine Sommese, ha espresso l'auspicio che le pubbliche amministrazioni siano sempre più coinvolte in progetti di solidarietà e accoglienza al di là dalla mancanza di fondi sempre più al lumicino. Sulla stessa onda Antonio Falcone, sindaco di San Vitaliano che suggeriva ai colleghi sindaci di elargire fondi alla cultura e memoria storica. Fioravante Meo suggeriva al sindaco fi Visciano di dedicare la strada via Precursori Viscianesi a Madre Anna. Giuseppe Nappi, presidente di Comunità 2000, organizzatore dell'evento, chiedeva a Madre Nunzia di promuovere il processo canonico per elevare Madre Anna agli onori degli altari.
Ha coordinato i lavori il prof. Domenico Napolitano. Nel corso della manifestazione gli alunni della scuola primaria del Villaggio del Fanciullo hanno omaggiato Madre Anna con canti preparati dalle suore.
VISCIANO E LA COMUNITÀ DELLA PICCOLA OPERA RICORDA L'ORDINAZIONE SACERDOTALE DI PADRE ARTURO
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18 Mar 2016
- Scritto da Nicola Valeri
Nicola Valeri – 13.03.2016 - Celebrazione Eucaristica nella Basilica della Vergine Consolatrice del Carpinello per ricordare l'ordinazione presbiterale del Servo di Dio "Padre Arturo D'Onofrio. Il sacro rito, iniziato alle ore 18.00, è stato presieduto da don Lino D'Onofrio, vicario diocesano in rappresentanza del vescovo Mons. Beniamino Depalma. Presenti numerosi sacerdoti dell'Opera guidati da Padre Egidio Pittiglio e la comunità parrocchiale con in testa il parroco Padre Mario Foglia. Presente anche la Civica Amministrazione con il sindaco Pellegrino Gambardella.
Al termine della cerimonia il clero e i fedeli presenti si sono recati nella Cripta del Santuario per rendere omaggio alla Tomba di Padre Arturo.
Il Servo di Dio viene ordinato sacerdote a Tortona, nell'Alessandrino, da Mons. Egisto Melchiorre, vescovo di Tortona e vescovo emerito di Nola, dove conobbe Don Luigi Orione, oggi Santo. Qualche anno dopo il giovane sacerdote torna a Visciano, suo paese natale, per far visita alla propria mamma. Erano gli anni della guerra che mieté numerose vittime anche nel profondo Sud. Ma Padre Arturo, non potendo più tornare in Piemonte, con l'aiuto della mamma Chiara e della famiglia, crea la prima casa di accoglienza a Visciano.
È la casa paterna ad ospitare i primi orfanelli, noti come Sciuscià (figli della guerra). Da quel momento nasce la Piccola Opera della Divina Redenzione che, con il tempo, diventerà grande. Padre Arturo fonda due congregazioni religiose: i Missionari e le Piccole Apostole della Divina Redenzione. Qualche anno dopo conobbe la giovane Anna Vitiello che guiderà le Suore delle Piccole Apostole della Divina Redenzione. Poi fonda le missioni in America Latina e India.
Tanti ragazzi, accuditi nel Villaggio del Fanciullo a Visciano, studiando imparano anche un mestiere. Oggi è l'Associazione ex allievi a creare iniziative per ricordare il proprio fondatore. Ultima in ordine di tempo è un monumento che sarà realizzato all’uscita della bretella autostradale dell'A 16 Napoli-Bari. Si tratta di un opera in acciaio che rappresenta i vari momenti della vita di Padre Arturo, come i pellegrinaggi delle pietre che partivano dalla ex cava di Schiava per realizzare il Villaggio del Fanciullo ed altre opere. Per il Servo di Dio è in corso il processo canonico in Vaticano per l'Elevazione agli Onori degli Altari.
Per l'occasione il servizio di assistenza e sicurezza è stato espletato dagli operatori di Protezione Civile-ATAPC che, da qualche anno, prestano servizio di volontariato presso il Santuario e sono i custodi della Tomba di Padre Arturo.
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