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Il mare a Nola: Ipotesi storiche sul ritorno di San Paolino dopo la prigionia

edicola sulla strada provinciale nola e28093 palma campania posta a ricordo della scomparsa chiesa della madonna del porto 600x800Antonio Fusco - 09.04.2016 -  Nell’antichità, secondo una millenaria tradizione popolare, il territorio di Nola era bagnato dal mare, e questa convinzione è tuttora radicata nella memoria popolare dal dettoS’arricorda ‘o mare a Nola”, usato per indicare una cosa risalente ad una imprecisata età molto antica. Come ogni “vox populi”, tale radicata convinzione non può essere nata dal nulla, ma originata da una realtà geografica e storica, che ci sfugge, se vogliamo vedere per forza le onde del mare lambire le mura della città.

La problematica del “mare a Nola” fu trattata da Francesco Palliala, il quale faceva rilevare che l’Agro nolano in epoca storica non può essere mai stato bagnato dal mare, trovandosi la città distante molte miglia dalla costa, dove fiorivano vivaci città portuali.  Lo storico  riporta anche che dopo San Paolo Belsito, nella zona della Cappella ‘o Spirito, sulla strada provinciale per Palma Campania, furono rinvenuti oggetti utilizzati per la pesca. 

La segnalazione potrebbe essere collegata al fatto che il territorio che si estende intorno alla “Cappella ‘o Spirito”, e quindi vicinissimo a Nola, si chiama “Porto”. La prima citazione della località si rinviene in un documento del 1271 in cui si riporta che “il capitolo della cattedrale concede ad Alessandro Clarastella al canone annuo di due carlini da corrispondere nella festa di S. Maria a settembre una terra nel casale di Caliziano in località Porto”.

Andava sotto il nome di Calizzano o Caliziano un casale agricolo scomparso che si estendeva nella zona intorno alla Cappella ‘o Spirito e Pozzoromolo, dopo San Paolo Belsito. A localizzare   più precisamente il sito Porto è la presenza di un’edicola votiva sulla strada provinciale Nola – Palma Campania eretta a ricordo della scomparsa chiesa della Madonna del Porto. Il sacro edificio scomparso viene menzionato anche da G. Bruno che lo chiama Tempio di Porto.  

Le citazioni ci portano ad argomentare sulla probabilità che nella zona, subito dopo San Paolo Belsito, poteva esserci il terminale di un canale navigabile collegato in qualche modo al fiume Sarno, e quindi al mare,  punto di arrivo e partenza per piccoli natanti, zattere e barconi a chiglia piatta, adibiti al trasporto di persone e merci. Segmenti ancora visibili di detto canale potrebbero essere quelli menzionati in un documento redatto nel luglio del 1354, in cui Tommaso Magaldo di Nola lascia nel suo testamento alla frateria della cattedrale una terra “in località Campo Marino, vicino ai fossi della città di Nola”;vale a dire che nella zona di Campo Marino, nel comprensorio dopo Pozzoromolo, vicino alla zona Porto (Cappella ‘o Spirito), esistevano dei fossati, probabili residui di un porto-canale, evidentemente ancora ben visibili e di pertinenza territoriale della città di Nola.

L’esistenza di un canale realizzato dai Romani, con il quale sarebbe stato possibile arrivare da Nola al mare in breve tempo e viceversa. non deve meravigliare. La sua realizzazione sarebbe stata cosa di poco conto, dato che erano capaci di opere di genio, pubbliche e private, di ben altro impegno. L’imperatore Nerone, per restare nell’ambito dell’argomento, fece iniziare lo scavo di un canale, poi non ultimato, che doveva mettere in comunicazione Ostia col lago d’Averno, lungo centosessanta miglia e largo tanto da dare la possibilità di transito a due navi che si incrociavano, allo scopo di raggiungere Miseno e la costa campana senza entrare nel mare.

La presenza del porto-canale, potrebbe rendere plausibile  il ritorno dalla prigionia di San Paolino con una barca. Se i Nolani, come si crede,  andarono ad accogliere il Santo in festante corteo non dovettero andare fino al mare per dare il benvenuto al loro amato Vescovo, ma dirigersi verso il loro porto-canale, poco oltre San Paolo Belsito, senza percorrere  improbabili chilometri a piedi.

Se così fosse San Paolino, per fare ritorno alla sua amatissima Nola, potrebbe essersi imbarcato nel porto di una città costiera, Oplonti (Torre Annunziata ) o Pompei, dal momento che particolari narrativi della sua vita non possono assolutamente essere spiegati con le leggendarie fantasie africane che probabilmente, sono dovute al fatto che il re dei Visigoti Alarico I era intenzionato di trasferire in Africa la sua gente, cosa che non si verificò.

Come di solito si faceva, i barbari radunavano i prigionieri in una solo campo di raccolta, in una località dove attendevano familiari e benefattori disposti a riscattarli. Si può opinare, pertanto, che San Paolino, insieme con altri Nolani, sia andato in una città portuale della costa campana, dove Alarico poteva aver radunato i prigionieri in attesa di un riscatto e dove il santo Vescovo avrebbe avuto la richiesta della vedova per far liberare il suo unico figlio. Visto che Alarico aveva intenzione di andare in Africa potrebbe avere pensato, in un primo momento, di partire da un porto campano, preferendo poi dirigersi a Reggio in Calabria.

La nostra ipotesi nasce da citazioni riportate da alcuni scrittori. Sul litorale campano sorgevano città portuali collegate all’interno attraverso il fiume Sarno (Oplonti – Torre Annunziata, Pompei). Il coinvolgimento dei Pompeiani e dei Torresi in questo racconto si deve a due tradizioni locali, riguardanti il riscatto del figlio della vedova e il leggendario ritorno per mare di San Paolino dall’Africa. Riporta il Galante: “Quando Paolino dopo la sua gloriosa cattività ritornava trionfatore nella sua Nola, approdando alle rive di Oplonti  o all’antico porto pompeiano, tra l’osanna, le palme ed i gigli del popolo, percorse certamente la mesta cenere che copriva Pompei. (…). Ma il più bel titolo di patronato che abbia il santo Vescovo Paolino sulle contrade di Valle  e della nuova Pompei, nasce da quel portentoso eroismo di carità, quando per riscattare il figliuolo della vedova diede di sé stesso in volontaria schiavitù. Or quell’avventuroso giovane che Paolino riscattava a prezzo della propria libertà, era appunto dei contorni della vecchia Pompei; se ne contendono la gloria Boscoreale e Torre Annunziata; era insomma dell’antica Civita;  le locali tradizioni lo assegnano ai tenimenti di Valle di Pompei. ”.

Questa tradizione “costiera” circa la provenienza del giovane e di sua madre, è suggerita, implicitamente,   anche da Charles Perrault, quando scrive che il marito della donna era un pescatore.

NOLA: CALA IL SIPARIO SULLA QUARTA EDIZIONE DEL FESTIVAL DEI DIRITTI DEI RAGAZZI

5000 studenti in Piazza Duomo. Il Vescovo Benianimo Depalma: “No ai muri spinati dell’Europa”. Tra pochi giorni Roccarainola accoglierà ed ospiterà una famiglia profuga siriana.

Festival 1ra.na. - 11-04.2016 - Una bella e consolidata realtà vissuta per il quarto anno consecutivo con gioia, entusiasmo e passione. Cala il sipario sul Festival dei diritti dei Ragazzi organizzato dall’Ufficio Scuola della Diocesi di Nola, dalla Cooperativa Sociale Irene ’95 di Marigliano e dall’Assessorato ai Beni Culturali del Comune di Nola.

Festival 21Siamo tutti migranti” il tema scelto per questa quattro giorni di incontri, convegni, testimonianze e dibattiti che ha affascinato, catturato, divertito e fatto riflettere accendendo i riflettori su una delle tamatiche più attuali del momento.

Questa sinergia che si è creata tra la Cooperativa sociale Irene ’95, l’amministrazione Comunale, i dirigenti scolastici ed i docentiha sottolineato Don Virgilio Maroneci ha facilitato il compito per poter costruire un percorso che ci aiuta ad andare avanti”.

Festival 3Solo con la cultura e l’istruzioneha affermato Cinzia Trinchese assessore ai beni Culturali del Comune di Nolasi sconfigge ogni forma di prevenzione ed arroganza. Nola in questi cinque giorni si è confermata terra di accoglienza ed amicizia; già in apertura c’è stata una piazza gremita ed una esplosione di giovani in festa. Ed oggi lo è stata ancor di più”.

Festival 4Non solo divertimento, creatività, fantasia, gusto, palato ma anche tanti momenti di riflessione. Un Festival in cui tutti hanno creduto e che nemmeno la pioggia sabato è riuscita a fermare; sport in piazza infatti nonostante il maltempo con giovani e meno giovani impegnati in una gara podistica di 4 chilometri guidata dall’associazione sportiva Nola Running. E poi le comunità, gruppi civili e pieni di voglia di vivere che hanno animato la 4 giorni. Tante le realtà coinvolte dal Marocco, Brasile, Perù, Polonia, Grecia ed Albania.

Festival 5Questa mattina la marcia finale con partenza da piazza d’Armi con la presenza di tanti sindaci del nolano tra cui il sindaco di Nola Geremia Biancardi, di Scisciano Edoardo Serpico. In corteo anche il Procuratore capo della Repubblica Paolo Mancuso, Beniamino Depalma Vescovo di Nola, tanti amministratori e soprattutto loro: circa 5.000 studenti accompagnati da docenti e genitori che, passando per Piazza G. Bruno, la Villa Comunale si sono riversati in piazza Duomo diventata in pochi minuti una piazza straordinaria con una grande esplosione di colori ed emozioni.

Il Festival dei diritti dei ragazziha sottolineato il Sindaco Geremia Biancardicontinua ad essere una grande occasione per le istituzioni; ora dobbiamo fare in modo che il prossimo anno Nola diventi città dei ragazzi d’Italia”.

Festival 6Per noi oggi c’è una speranzaha affermato padre Beniaminopossiamo continuare a sognare; ragazzi, avete invaso Nola e ci avete portato gioia; conservata questa capacità. Da giovani potete cambiare il mondo. Grazie all’Ufficio Scuola della Diocesi, alla Cooperativa Sociale Irene, all’amministrazione comunale di Nola, ai dirigenti scolastici: insieme avete creato una grande rete. Oggi siete grandi maestri per l’Europa che sta creando muri spinati. Non bisogna avere paura del diverso; abbiamo in comune la stessa radice. Ogni bambino ha diritto alla vita, libertà, felicità, al gioco e all’esercizio; facciamo una grande catena di solidarietà per quei bambini che aspettano di passare le barriere. Auguri per il vostro futuro”.

Festival 7Una bella manifestazione, dunque, testimonianza diretta che uniti si ottengono grandi risultati. Anche nella praticità in termini di aiuto concreto e non solo idealistico. Al termine della marcia, infatti, il vice presidente della cooperativa Irene ’95, Salvatore Fedele, anima pulsante del Festival, ha annunciato che nei prossimi giorni Roccarainola accoglierà ed ospiterà un’intera famiglia profuga della Siria. Mancano solo le ultime autorizzazioni dei competenti ministeri e la procedura sarà completata. Una bella notizia che sa di speranza.

LA CAMPANIA HA DUE PATRONI: SAN GENNARO E SAN PAOLINO DI NOLA

liria tar. – 01.04.2016 - Dal prossimo 22 giugno San Paolino di Nola sarà celebrato in tutte le diocesi della Regione Campania con il grado di memoria obbligatoria.

sanoailuniLa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha, infatti, accolto la richiesta di riconoscimento del Santo Vescovo nolano come Patrono secondario della Regione Ecclesiastica Campana, presentata dal Presidente della Conferenza dei Vescovi della Campania, S. Em. Rev. Card. Crescenzio Sepe.
Sono grato al Cardinale Sepe e a tutti i vescovi della Campania - ha dichiarato il vescovo di Nola, S. Ecc. Mons. Beniamino Depalmaper aver presentato quest’importante richiesta e alla Congregazione per averla accolta. San Paolino che fu politico, intellettuale, artista, pastore e servitore dei poveri interceda per noi e ci aiuti a lavorare perché la Campania diventi nuovamente la regione felice che lui amò”.
Paolino di Nola, ovvero Ponzio Anicio Meropio Paolino (Bordeaux, 355 – Nola, 22 giugno 431), è stato un vescovo italiano, originario dell’Aquitania, venerato dalla Chiesa cattolica come santo. Fu vescovo di Nola nel V secolo. È considerato il patrono dei suonatori di campane, o campanari, poiché a lui è attribuita, per convenzione, l'invenzione delle campane come oggetto utilizzato in ambito ecclesiastico. 

BAIANO / ANTONIO CACCAVALE E FRANCO SCOTTO: QUANDO LA STORIA RACCONTA IL TERRITORIO E ISPIRA LA TRASFIGURAZIONE NARRATIVA

All’” Incontro “La rivisitazione del micro-cosmo sociale di Tufino negli itinerari di cave e cavità con la guida speciale di Nunzio Troilo e la trama de “L’alba nei suoi occhi”, una intensa vicenda d’amore, ambientata nel secondo dopo-guerra

 

Circolo LIncontroGianni Amodeo – 03.04.2016 - Un prologo di divulgazione scientifica  interessante ed efficace, con il supporto di filmati e diapositive, per focalizzare e analizzare compiutamente  la conformazione del territorio;  prologo sviluppato con linguaggio lineare e chiaro dal geologo Nunzio Troilo - docente in Istituti statali d’istruzione superiore-  per rappresentare le mappe geologiche con cui si identificano le peculiarità dei cosiddetti Distretti vulcanici dei Campi Flegrei e del Vesuvio, il cui assetto  si è venuto componendo  39 mila anni fa con i materiali delle “ nubi eruttive”, formando  quella vasta stratificazione di pietra tufacea, che connota il sottosuolo  della pianura campana e l’area nolana, che ne è parte integrante. Sono le mappe, che permettono di far risaltare -e comprendere- le specificità delle interazioni tra territorio e storia umana, l’ambiente naturale e l’ambiente artificiale del “costruito”, i fattori climatici e i processi di antropizzazione che, com’è ben noto, negli ambiti di pianura sono strutturalmente i più antichi nell’evoluzione della scala dell’incivilimento lungo i tornanti del divenire storico.  

Con questa chiave di lettura introduttiva, il professore Troilo nei locali del Circolo socio-culturale “L’ Incontro” puntava l’obiettivo sulle “schermate”, che configurano ancora ben visibili gli scenari di cave e cavità, che per secoli sono stati- e parzialmente lo sono ancora- gli elementi caratterizzanti della realtà di Tufino e … dell’intero contesto fino a Casalnuovo e Napoli ;  cave e cavità, da cui si estraevano le pietre tufacee di largo e prevalente utilizzo nell’edilizia. Un materiale costruttivo, quello delle pietre tufacee, specie se con basso indice di porosità, che soltanto mezzo secolo fa- poco più o poco meno- è stato soppiantato dal duttile cemento, mentre nei nostri giorni si consolida l’uso di altri materiali costruttivi secondo i moduli della bioedilizia.

Cacavale e Scotto 1Nella ricognizione, con puntuali e congrui riferimenti alla storia del   territorio, era disegnato l’itinerario della possibile ri-attivazione funzionale soprattutto delle cavità, utilizzate da sempre per la conservazione delle derrate agro-alimentari ed enogastronomiche … allo stato di freddo biologico \ naturale. E sono cavità, che ancora insistono non soltanto sul territorio di Tufino, ma anche in quello di Casamarciano, Cicciano e Comiziano. Un itinerario, che, con le debite proporzioni e in scala ridotta, potrebbe ispirarsi al modello di valorizzazione turistico-culturale delle cavità che compongono il “paesaggio” della Rupe di Orvieto.

DAL TERRITORIO ALLA STORIA DI TUFINO

Con la dimensione territoriale si apriva il viatico per quella sociale di Tufino, il toponimo che la dice chiara e lunga sulla micro-storia della comunità cittadina , le cui condizioni di vita materiale sono state per lungo corso di secoli intrecciate con l’estrazione delle pietre tufacee. Un sistema di attività, ch’era all’origine della filiera dell’edilizia del territorio, con varie tipologie di tecniche lavorative. Come per dire che cave a cielo aperto e cavità, incise e strutturate con pareti laterali di sicurezza come autentici cunicoli ben protetti, fino alla profondità di 20 metri, erano risorsa economica, generata, però, dal duro e pesante lavoro - ‘a fatica - dei cavatori, in condizioni ambientali che si possono immaginare e di palese esposizione a rischio.

libro CaccavaleSu questa scia s’innestava il racconto di Antonio Caccavale, per evidenziare alcuni passaggi basilari nell’impianto del suo saggio, intitolato “ TUFINO E I TUFINESI NELLA STORIA”, edito da StreetLib – disponibile anche in formato digitale per la grande catena di distribuzione polifunzionale che fa capo ad Amazon – con riferimento non solo all’universo umano dei cavatori, ma anche e soprattutto alle tormentate vicende dell’emigrazione dall’Italia agli Stati Uniti d’America, a cavallo dell’800 e del  ‘900; vicende,  per le quali si fuggiva dalla miseria e dall’arretratezza, di cui furono partecipi poco più di ottocento tufinesi, di cui il testo riporta in schede dettagliate le generalità e i dati anagrafici, testimonianza di un paziente lavoro di ricerca, che l’autore ha condotto, grazie anche alle ben note competenze tecnologiche, con le banche dati della Fondazione “The Statue of Liberty”-Ellis Island- e di “Castel Garden”.

Di quei flussi migratori, che -  è opportuno notarlo- non hanno nulla di diverso e di dissimile da quelli attuali, che dal Medio Oriente e dall’Africa impoverita si riversano nell’Europa mediterranea occhiuta nella propria torre dell’egoismo particolaristico, essendo per di più aggravati dai drammi di guerre e persecuzioni politico-religiose, l’autore dava un ampio squarcio. E tornava utile il ricordo della distinzione, che veniva fatta ad Ellis Island nei rigorosi controlli igienico-sanitari, a cui le autorità sottoponevano i migranti provenienti dall’Europa e dall’Asia, prima di riconoscere loro la possibilità d’ingresso negli States; distinzione per la quale i migranti provenienti dall’Italia erano ripartiti in due “grandi” aree, quella del Nord e quel Sud. I migranti provenienti dal nostrano Sud, come si sa, non erano considerati di “razza bianca” - specie se siciliani-  con tale “attestato”, erano variamente discriminati, una volta acquisito il titolo d’accesso. E c’è altro ancora. I migranti, che dichiaravano di non avere già certezza di lavoro con rapporti o contratti pre-costituiti, erano “preferiti” nell’ammissione nella corsia d’ingresso negli States. Erano manovalanza … di immediata disponibilità per qualsiasi lavoro e con bassa remunerazione garantita, per sopravvivere.

Cacavale E’ la storia che si replica nei nostri giorni con gli extra-comunitari – i clandestini … invisibili, anche se “viventi” in carne ed ossa - fatti sbarcare nel cosiddetto Bel Paese e in altre aree dell’Unione europea, ma super sfruttati nei lavori più umili, specie in agricoltura, perché privi dei “permessi di soggiorno”. Un beffardo e bizzarro strabismo “normativo - istituzionale”, che rende i … clandestini utili e buoni, anzi ottimi da sfruttare e “pagare” con pochi euro al giorno, ma fantasmi per conclamata “legge”.

E le pagine dedicate dal saggio all’emigrazione Oltre Atlantico s’interpongono tra le figure che connettono strettamente la loro dimensione umana, in positivo e in negativo, con le vicende storiche di Tufino; figure, che Antonio Caccavale tratteggia con efficacia di dettagli. E così si profilano la personalità forte del marchese e duca di Gallo, Marzio Mastrilli e quella della virtuosa e sensibile contessa di Roccarainola, Isabella Mastrilli, con la sontuosa e preferita dimora proprio nella località di Ponticchio, in pieno territorio tufinese. Considerevole e rilevante la caratura politica di Marzio Mastrilli, diplomatico e ministro del governo borbonico nel Regno delle Due Sicilie e, con l’avvento dell’età napoleonica, nel Regno di Napoli con il governo di Gioacchino Murat. Una personalità poliedrica e di alto profilo culturale, quella di Marzio Mastrilli, mentre Isabella Mastrilli, tra le poche donne che annovera la Letteratura del ‘700, autrice di testi teatrali e raffinate composizioni liriche.

Il rovescio del mondo dei Mastrilli – tra i maggiori potentati feudali d’Italia, con vasti possedimenti in Campania, tra cui quelli dell’asse che correva tra Marigliano, Nola, Tufino, Avella e Baiano- si ritrova, invece, in uno dei maggiori boss della mafia italo-americana, Vito Genovese, emigrato giovanissimo negli States  da Risigliano di Tufino, dov’era nato e che con le sue “imprese”, saldando criminalità e ricchezza, tenne in scacco New York, alla pari degli altri “personaggi del Gotha mafiosa, in grado di determinare le scelte delle istituzioni e persino di condizionare le nomine dei giudici delle Corti statunitensi. Ma i “capolavori” criminosi di Vito Genovese - colui che “Non onora la terra natale”, come con pudico e commendevole senso civico evidenzia l’autore nello specifico capitolo del saggio- appartengono agli anni del secondo dopo-guerra mondiale in Italia, lungo le coordinate di collegamento tra la Sicilia e la Campania. Sono gli anni del contrabbando, ma anche e soprattutto dei rapporti che il boss italo-americano aveva non solo con Charles Poletti, il massimo responsabile delle truppe statunitensi, sbarcate nel luglio del ’43 in Sicilia, ma anche con Salvatore Giuliano, il bandito che fiancheggiò il Movimento indipendentista siciliano di Finocchiaro Aprile; e la banda di Giuliano - utilizzata in chiave anti comunista - fu l’artefice  dell’efferata  Strage di Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, dove si erano radunati braccianti, contadini e pastori, per festeggiare il Primo Maggio. Era il 1947.                                                   

ERASMO, LJUBA E IL NARRANTE STEFANO                                                            

Cacavale e Scotto 1 Copia 2Dall’ approccio con la Geologia e la Storia incentrato su Tufino e…dintorni al racconto de “L’ALBA NEI SUOI OCCHI” -  pubblicato da 13 Lab Essedi - in cui Francesco Scotto - trascrivendo la narrazione dello scomparso padre Stefano, ch’è stato presidente della Gioventù dell’Azione cattolica e pubblico amministratore di Baiano per vari cicli consiliari - fa rivivere la commovente e bella storia d’amore tra Erasmo e Ljuba. Una storia illustrata dall’autore in tutti gli elementi caratterizzanti, con cui finzione e realtà coesistono. E la russa  Ljuba  - conosciuta giovanissima in uno dei lager, in cui i tedeschi nella seconda guerra mondiale concentravano i prigionieri e gli ebrei da destinare alla morte nei forni crematori- s’identifica con la metafora dell’ Alba d’amore  che rischiara e accompagnerà vita naturale durante l’esistenza di Erasmo e della famiglia che formerà con la donna. E nel lager si prenderanno cura di Marzia, una bambina ebrea, ch’è stata affidata loro dal padre consapevole di dover morire. La bambina subirà un’atroce violenza e sevizie, morendone. Una tragica fine di cui Erasmo e Ljuba conserveranno per sempre il ricordo.

E’ un percorso, che si dipana dal vessatorio e crudele sistema concentrazionario, a cui venivano sottoposti i prigionieri del campo di Jena, per attraversare la terra russa - dopo il ’45 con la liberazione dei pochi ischeletriti sopravvissuti dei lager e la disfatta del nazismo hitleriano - e raggiungere Demidov, dov’era nata Ljuba. Un’odissea, con cui si intrecciano le vicissitudini e le traversie, che incontra Erasmo per opera dei genitori di Ljuba che contrastano l’amore della figlia per Erasmo Baldassarre, umile muratore di Santeramo, in provincia di Bari, travolto dalle mille tragedie che segnano tutte le guerre, colpendo le umili e semplici genti, che ne sono coinvolte da un verso all’altro. L’odissea della guerra contro la Grecia - quella a cui l’Esercito italiano avrebbe “spezzato le reni”, secondo lo slogan mussoliniano- si incrocia con l’odissea che Erasmo e Ljuba vivono insieme nel lager e in terra russa, per trovare serenità familiare e lavoro in terra di Puglia…fino alla dipartita nel 2000, a pochi mesi l’uno dall’altra.

Caccavale e Scotto 2Il racconto - evidenziava Scotto – si articola sul piano della Grande storia, quella del secondo conflitto mondiale, della Guerra fredda e il piano degli effetti che si riflettono su uomini, donne e giovani cambiandone o alterandone le traiettorie esistenziali desiderate o sognate; effetti che cambiano cammini di vita in atto… e tanto altro ancora.  Erasmo come Ljuba ne sono una testimonianza.

Come dire che il discrimine tra caso e causa, con cui si generano necessità e virtù, non è facile da tracciare. Di certo, segue itinerari imperscrutabili …per quello che si definisce comune buon senso. A posteriori…   

Il caso: A Napoli una statua romana nell’androne di un condominio

Risale al I sec. d.C. e non risulta ancora censita una statua all’ingresso di un palazzo al centro storico di Napoli. Da Corriere del Mezzogiorno del 9 dicembre 2015.

Il reperto di un certo pregio è stato individuato da un gruppo di studiosi napoletani, che preferiscono mantenere l’anonimato, nel cortile di un palazzo d’epoca in vico Pallonetto a Santa Chiara, nei pressi della confluenza con via Mezzocannone.

Napoli Statua romana nellandrone di un condominioLa statua è la tipica rappresentazione della Fortuna con cornucopia. Acefala, mutila, indossa la tipica tunica con scollo a V, lunga fin sotto il ginocchio. Sopra la tunica porta la palla, un largo drappo di stoffa che scendeva fino ai piedi, contornava il corpo ed era tenuto su dalle braccia. La tunica non ha maniche, cosicché si può datare alla fine del I inizio II sec. d.C. Sotto i seni porta il cingulum attorno alla vita.

A quanto riferiscono i residenti la statua è sempre stata “di casa” per tanti anni abbandonata supina nell’androne, poi con la ricollocazione recente è stata inglobata in una base moderna.

Fabio Giordano ci parla di un ritrovamento di una base dedicata alla Fortuna su Sant’Aniello a Caponapoli nei pressi della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Da qui si dedurrebbe che sull’acropoli si trovava il tempio della dea. In linea d’aria, l’area di confluenza tra via Mezzocannone e vico Pallonetto a Santa Chiara è molto vicina al Largo Corpo di Napoli, dove nell’antichità si trovava il Tempio di Iside e dove veniva venerata anche la dea della Fortuna.