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Cultura e Spettacoli

MUSICA: MORTO EZIO BOSSO, IL MUSICISTA CHE SAPEVA EMOZIONARE

BOSSO EZIOEzio Bosso è morto. Il grande musicista, pianista, direttore d’orchestra compositore, se n’è andato stanotte nella sua casa di Bologna. Aveva 48 anni. Accanto a lui la sua compagna Annamaria e i suoi cani amatissimi. A portarselo via il cancro con cui conviveva da molti anni e che lo costringeva a lunghi periodi di sosta per le terapie. Ad acuire il quadro clinico malattia neurodegenerativa che l’aveva costretto in carrozzella. Eppure, nonostante tutti questi mali, il musicista non si è mai arreso. Ha continuato a combattere fino alla fine con il coraggio di un leone. La musica, la sua passione più grande, la sua ragione di vita, l’aveva anzi spinto a sfide sempre più grandi. A trasformare ogni sconfitta del corpo in una rinascita dello spirito. Lo scorso settembre aveva dovuto dire addio al pianoforte, le sue dita non rispondevano più bene, i dolori a forzarle sui tasti si erano fatti insopportabili. Niente più piano ma avanti con la sua orchestra, la Europe Philharmonic, con cui lo scorso gennaio aveva tenuto le ultime trionfali serate all’insegna di Beethoven e Strauss al Conservatorio di Milano per la Società dei Concerti. Il fisico già molto provato, eppure indomito. Appena veniva issato dalla sua carrozzina al predellino del direttore, Bosso si trasformava. Alzava la bacchetta e accendeva la musica dando davvero tutto se stesso. Assistere a un suo concerto, a una sua prova era un’esperienza bellissima perché ci si rendeva conto di quanto amore lui trasmettesse ai suoi musicisti, senza concedersi pause, senza mai accontentarsi, senza smettere anche quando era chiaramente esausto. Ezio era vivo perché faceva musica. La quarantena imposta dal virus gli è stata fatale. Ancora una volta ha cercato di reagire, si è impegnato in uno studio matto e disperatissimo delle partiture, si è appassionato alla lettura di libri di storia. Ma la linfa per lui salvifica, il fare musica insieme con gli altri e per gli altri, non c’era più. «I miei orchestrali sono i miei fratelli, i miei figli – aveva detto nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della Sera-. Ci sentiamo moltissimo ma non è lo stesso». Si preoccupava per il loro futuro: «Alcuni stanno vivendo un periodo di grande sofferenza, non possono più suonare, non hanno più un reddito». Era triste Ezio, ma non smetteva di pensare al futuro. Aveva in mente molti progetti, stava pensando a nuovi modi di fare musica nel rispetto delle distanze. La voglia più grande era sentire il calore di un abbraccio. Abbracciare gli amici, i suoi musicisti. Magari un albero. Sentire la forza di un affetto che passa da un essere vivente all’altro tramite le braccia. Anche quando sono esili e dolenti come le sue.