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RISORGIMENTO, UN MARTIRE DELLA LIBERTA’: IL CARBONARO AVELLANO NICOLA LUCIANO

Nella prima parte le vicende dallo scoppio dei Moti Carbonari del 1820 alla condanna del Sergente-Maggiore di cavalleria del re ad anni venti di ferri, da scontare nell’isola di Favignana.

 

1 16 e1593536540307IL RAPPORTO (1): “Rapporto a De Concilj della deliberata diserzione da Nola - Avella il 1° luglio 1820

Signor Tenente, mi affretto parteciparvi che questa mattina il sotto-uffiziale del distaccamento qui stazionato del reggimento Borbone cavalleria, è venuto ben tre volte in mia casa, insistendomi che mi fossi con sollecitudine portato in Nola per un affare che non ammetteva dilazione.

Veggendo abbastanza dei suoi detti di che mai si trattasse, non ho esitato un momento a recarmi colà. Mi sono abboccato col tenente Silvati e col sergente-maggiore Altomare, i quali mi hanno comunicato la risoluzione presa di muoversi col reggimento nella prossima notte in unione di parecchi paesani. I medesimi perciò mi hanno premurato a disporre i miei e quanti più avessi potuto del circondario, per attendere la loro mossa e la loro venuta alle cinque e mezzo di notte, e che frattanto mi fossi portato costà per recarne a voi l’avviso. Io non ho creduto di potermi muovere un solo momento da qui in questa circostanza, e credo anzi che la mia persona sia necessaria; vi scrivo perciò, e colla presente vi metto a giorno di tutto. Io non solamente già ho disposto i miei paesani, ma insieme anche ho inviato il sergente dei militi Stefano Maietta a recarne l’avviso pel circondario, ed ho spedito un corriere in S. Maria per avvisarne i signori Maietta, i quali essendo colà relegati per opinione, correranno certamente alla difesa della causa comune. Voglio sperare che se voi secondate un tal movimento sarà tutto per riuscire felice, e che l’aurora di domani sarà quella della nostra rigenerazione politica.

Nicola Luciano”. 

Il personaggio che firma la lettera è il patriota avellano, nato ad Avella, il 28 gennaio 1786 da don Francesco e Donna Cecilia d’Anna; morto il 23 aprile 1859, celibe e domiciliato nella strada detta S. Giovanni della Collegiata.

 

ap22 001LA CRONACA (2): Ad Avella vi erano i Calderai ed Carbonari, i primi erano capeggiati da Don Giuseppe Barba, a cui era affiliata tutta la famiglia, mentre ai secondi apparteneva Don Francesco Majetta, Capitano dei militi provinciali.

Queste due famiglie, per lotte sanguinose, nelle quali non vennero risparmiati nemmeno i domestici, furono allontanate da Avella; infatti i Barba furono destinati a Caserta, i Majetta a S. Maria Capua Vetere.

I Majetta tornarono in paese allo scoppio della rivoluzione ed insieme agli altri Carbonari accusarono i Barba di trasporto di armi, di tramare contro il governo e chiesero che fossero relegati in un’isola; ma quando nel 1821 cadde il governo costituzionale e le truppe austriache tornarono nel Regno, Don Giuseppe Barba, il 6 giugno, era già sindaco e allora per i Carbonari cominciarono tempi duri, con arresti, processi e condanne. Don Francesco Majetta morì il 15 gennaio 1850, nella sua casa alla “Contrada S. Giovanni”.

 

copertinoa pubblicazione per il 150enario img011NICOLA LUCIANO: In questa lotta politica si inserì proprio il fervente liberale Don Nicola Luciano, che divenne il capo incontrastato dei Carbonari avellani e mandamentali.

Studiò nel Seminario di Nola e poi legge a Napoli, ma non si sa se si laureò; militò nel corpo dei corazzieri a cavallo e divenne Sergente-Maggiore di cavalleria del re, col grado di maresciallo, ma, perché di sentimenti rivoluzionari, si dimise.

Nel 1817, infatti, era ad Avella, dove lavorava a diffondere la Carboneria e ad incoraggiare gli affiliati e, quindi, si scontrò ben presto con la famiglia Barba.

Successivamente, fu obbligato a risiedere in Capua sotto sorveglianza, da dove ritornò il 16 giugno 1819, dopo sedici mesi, e ripigliò le file delle interrotte trame e si tenne in contatto con il Minichini e con gli altri Carbonari del Circondario; stabilì contatti con Bianchi e Preziosi di Mercogliano e strinse rapporti con De Concjli di Avellino, testimonianza attestata dalla lettera-rapporto.

Ma il contributo del Luciano non si limitò alla preparazione dei Moti, ed infatti guidò anche una colonna di 400 avellani sulla linea del Ponte di Schiava per fronteggiare le truppe del Generale Carrascosa.

Eletto Sindaco al posto di Don Arcangelo Niola, fece inalberare, sulla torre civica, il vessillo tricolore carbonaro; resse il Comune fino alla caduta del Governo Costituzionale e i suoi avversari lo accusarono di aver dilapidato il patrimonio comunale, di fare beneficenza e di aver imposto una tassa “ingiusta e capricciosa”. Però, dovettero riconoscere che non aveva commesso abusi col bastonare i cittadini, come avevano fatto altri Carbonari, e fu lodato perché, quando entrarono gli austriaci nel Regno, aveva mantenuto l’ordine pubblico.

Venne arrestato il 2 maggio “nella piazza di Avella” da un piccolo numero di gendarmi e da guardie rurali del Comune di Nola, in seguito a precise indicazioni ricevute dal su menzionato Giuseppe Barba.

Fu giudicato dalla Gran Corte Speciale di Napoli con sentenza del 20 Agosto 1825 e, ritenuto responsabile del delitto di lesa Maestà, fu condannato alla pena dell’ergastolo, ridotta poi ad anni venti di ferri, pena da scontare nell’isola di Favignana, da dove fu liberato per effetto dell’atto sovrano del 18/12/1830.

Dopo un anno fu coinvolto in un'altra congiura, ma si sottrasse alla cattura, rendendosi latitante. (...continua...)

 

1- La Storia della rivoluzione di Napoli entrante il luglio 1820 - Biagio Gamboa.

2- La guerra tra i Barba e i Majetta - La Voce della Bassa Irpinia del 1° Maggio 1985 - avv. Pasquale Perna.

3 - Archivio Storico di Nicola Montanile - Albo pubblicato nella ricorrenza del 1° Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, Editrice L’Arca, Maggio 2011

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