IL MAIO DI BAIANO: UNA COSTUMANZA ARCAICA DI FEBBRE RIGENERATRICE

Appunti di Nicola Montanile ai margini di una festa. Foto di Carmine Montella.

Entro i relitti dellambiguo l6004 Gennaio 2020 - Le festa popolari derivano da credenze e usanze antichissime. Il loro significato va infatti ricercato in lontanissime cerimonie, nelle quali erano riflesse concezioni magiche e religiose connesse al lavoro agricolo ed al continuo rinnovarsi della natura. Tale significato, con il tempo, sia per l’influsso della cultura in evoluzione, sia per l’azione regolatrice e moralizzatrice esercitata dal Cristianesimo, ha subito un totale cambiamento. Ciò nonostante le tradizionali celebrazioni legate al perpetuo mutare delle stagioni, sono sopravvissute senza perdere del tutto caratteristiche che ne avevano causato il sorgere e il tramandarsi. In queste numerose e caratteristiche feste a sfondo agricolo e religioso, l’albero ha avuto ed ha tuttora un ruolo importantissimo, avendo dato origine a sagre in tutta l’Europa. Dalle caratteristiche generali delle “ierofanie vegetali” abbiamo già parlato in un precedente articolo”. Così introducono il loro lavoro gli studenti della I C del Liceo Scientifico “E Medi” di Cicciano, Giuseppe Bonaiuto e Pierluigi Romano, nel testo, coordinato dal prof. Franco Salerno, anno scolastico 1982-1983, “Entro i Relitti dell’Ambiguo”, edito per la Tipografia FerraraQuindi la festa del Maio, da poco conclusasi, felicemente e con successo, assume, senz’altro, una importanza notevolissima e presenta vari livelli.

maio 1“PRIMO LIVELLO: Caratteristiche generali delle feste del “maggio”, che sono diffuse in tutta Europa, Due le interpretazioniLa prima è quella di Paolo Toschi, presentata nel suo libro “Le origini del teatro italiano”. Egli, riguardo ai cosiddetti “maggi”, scrive: Crediamo di non andare molto lontano dal vero opinando che fin dalla remota antichità, le varie popolazioni che abitarono l’Italia festeggiassero il ritorno della primavera e l’inizio di un ciclo annuale o stagionale in una data che ha per centro il primo maggio: i riti che si compivano dovevano svolgersi secondo un principio generale comune, ma con la varietà di espressioni che la diversa formazione etnica e religiosa comportava. Per quanto riguarda il Lazio, ci troviamo di fronte ai problemi delle conoscenze circa la dea Maja, il “mensis majus”, la festa della “Majuma” e i “Floralia”. Una delle più antiche divinità laziali era Maja o Majesta. Essa significava il rigerminare della vegetazione della terra in maggio. Si trattava di feste estremamente licenziose. Già nell’ultimo secolo della repubblica vi prendevano parte delle danzatrici-meretrici.

La seconda è quella che Mircea Eliade propone mettendo a fuoco tre elementi caratterizzanti di queste “feste di magggio”: La prosperità rigeneratrice, il carattere collettivo e l’aspetto orgiastico. In Europa esiste ancora l’uso di portare un albero della foresta e collocarlo in mezzo al villaggio in primavera, all’inizio dell’estate o per San Giovanni, oppure tutti vanno nel bosco a tagliare rami verdi e li appendono nelle case, per assicurare la prosperità del capofamiglia. Questo si chiama ‘albero di Maggio’ o ‘May-pole’. In tutti i luoghi dove si ritrova questo cerimoniale, il Maggio dà occasione a divertimenti collettivi che finiscono con un ballo intorno all’albero. E’ una festa della primavera che, come tutte le manifestazioni del genere, ha qualche cosa dell’Orgia.

SECONDO LIVELLO: Articolazione della “festa d’ò majo” a Baiano

maio 2Diretta e chiara testimonianza di quanto hanno scritto da Eliade e Toschi, è la festa da noi scelta come campo di analisi. Cominciamo con il dare qualche notazione descrittiva sul luogo del rito. La città di Baiano si estende ai limiti della provincia di Avellino, in una fertile valle, attorniata dai Monti Avella, Summonte, Cornaioli e di Arciano. La popolazione di Baiano gravita, per quanto riguarda le attività economiche, su Napoli e su Pomigliano d’Arco, sede dello stabilimento Alfa Sud. La caratteristica del folklore è rappresentata dalla festa religiosa popolare del “Majo Natale”, dedicato al santo protettore Stefano Protomartire, a cui è stata innalzata, tra l’altro, l’omonima chiesa. Utilizziamo, come materiale – sulle fasi e le modalità con cui si svolge attualmente la festa – il testo di Vittorio Vecchione “La festa d’ò majo a Baiano” (1979) - sulla scorta delle indicazioni di questo testo, dividiamo lo svolgimento della festa in quattro fasi1) La prima fase della festa consiste nello sradicamento dell’albero, nel suo trasporto e nella sistemazione di esso al centro della piazza. Più precisamente la cerimonia si svolge in questo modo. La sera del 25 dicembre, dopo la rituale Messa natalizia, una squadra di forti e valenti “mannesi” (segatori di legname) si reca con cani e con un consistente numero di giovani, armati di carabine, al bosco di Arciano. Quivi essi segano il più alto dei castagni della selva comunale e lo caricano su un camion che giunge in paese al tramonto. A questa gioiosa festa partecipa tutta la popolazione baianese, accorrendo in massa con entusiasmo e facendo spesso a gara per partecipare alla spedizione presso il bosco di Arciano. Per i giovani è, evidentemente, motivo di orgoglio e atto di coraggio e di audacia il far parte della squadra dei “mannesi”. 2) La seconda fase è costituita dalla “processione” del castagno attraverso le vie del paese, quando, cioè, la popolazione scarica la sua intensa sete di rumore e di allegria, lanciando in aria petardi e colpi di carabina. 3) La terza fase è costituita dal rito, durante il quale l’albero viene issato con funi e posto in una grande buca nel centro della piazza, proprio di fronte alla chiesa del santo4) La quarta fase consiste nella conclusione della festa, durante la quale viene appiccato un fuoco, su di una gigantesca pira, fatto di rami, carte e oggetti vari.

maio 3TERZO LIVELLO: Analisi dei temi ed elementi della struttura della “festa d’ò majo”. Gli elementi strutturali della manifestazione sono i seguenti: a) La socializzazione. Si deduce che tutta la popolazione di Baiano accorre per vedere il “majo” consacrato al prodigioso santo Stefano, suo patrono. Il “socializzare”, cioè il porre il rito sotto l’ottica del “collettivo”, è, senza dubbio, un fatto alquanto positivo, poiché, in questo caso, lo stare insieme ha il giusto scopo di far vivere un profondo momento di fede e, contemporaneamente, attimi di vero “accomunamento” con l’altro. Già uno dei primi studiosi del “majo” di Baiano, Antonio D’Amato, rilevava questa caratteristica della ”socializzazione”, quando scriveva chericchi, poveri, signori e plebei, tutti vengono a portare la loro offerta di legna”. b) L’agonismo. In dialettica con il tema della “socializzazione” figura l’agonismo, che è stato ben analizzato da Paolo Toschi, il quale afferma “Anche il semplice fatto di scegliere e trasportare il ‘majo’ dal bosco in città rinserra spesso un motivo agonistico, in quanto esso costituisce un atto di coraggio e di audacia compiuto per imporsi all’ammirazione delle ragazze, e offre l’occasione, ai maggiaioli, di superare, nella scelta e nella bellezza dell’albero, la schiera dei giovani che avevano piantato il ‘majo’ l’anno precedente. c) L’entusiasmo (3). Queste due caratteristiche generano a loro volta un atteggiamento ”religioso”: l’entusiasmo che etimologicamente significa appunto “ispirazione divina” di tipo bacchico-dionisioco (4), che finisce per essere un “andare oltre” la “norma”. Antonio D’Amato, infatti, scriveva che durante questa festa “l’entusiasmo del popolo non ha limiti”.

Il sincretismo pagano – cristiano

Maio 4Proprio questo “entusiasmo” è l’elemento che spinge verso un’aria “pagana”, perché la festa è caratterizzata da baldoria incontenibile e scene addirittura quasi orgiastiche. Del resto è significativo che una canzone d’accompagnamento dell “processione” del “majo” reciti nel seguente modo mescolando “furore orgiastico” e fede cristiana. “Sto Natale è festa nostra/che te sceta pur ‘e Sante/mett’a pressa ‘a tutti quante/d’int’ ‘vvene pe’ cantà(5). In verità in altre località del Sud proprio per questi motivi la festa del “majo” è stata avversata dalla chiesa, mentre a Baiano il Parroco benedice addirittura il “majoì” e il giorno dopo guida la processione di Santo Stefano. Comunque resta fermo che la festa, avendo dei tipici rituali così grossolani, ma anche tanto affascinanti, riporta senz’altro la mente indietro nei millenni a costumanze antichissime o meglio precristiane, i cui riti, libagioni e gesti si riflettono quasi direttamente in quella che è oggi la “festa d’ò majo”. 

d) La genesi. E’ possibile, a questo punto, ricostruire la genesi del “majo” di Baiano. Secondo G. Mang è un “avanzo d’una usanza dei Germani antichi”, che passarono per queste regioni. Secondo Filippo di Castel Lentini, la festa affonda le sue radici nella cultura (6) italiana dal momento che nella zona dell’Appennino pistoiese si celebrano feste nominate “Cantamaggio”, assai simili a quelle di Baiano. Di una tesi simile si fa portatore Raffaele Corso che scrive “il majo irpino rientra in quella grande famiglia dei riti magico-sacro che i primitivi abitatori dell’Appennino solevano celebrare ora nel solstizio di inverno, ora nel solstizio d’estate, vuoi come incantesimi del sole, come opina Westermarck”. In ogni caso, come si vede, al dì là delle differenziazioni tra queste tre tesi, almeno un elemento in comune possiamo riscontrare: la tesi della presenza, all’interno della stratificazione strutturale della “festa d’ò majo” di un sincretismo (7) fra “cultura cristiana e cultura non cristiana” (sia che si tratti di “cultura pagana” o “cultura folklorico-popolare” o “cultura magico-sacrale”). 

Maio 5e) Il fuoco. In questa festa molta importanza ha il “fucarone”, altro tipico simbolo delle antiche feste italiane e dell’Europa in senso lato. Presso Baiano, comunque, il fuoco ha sicuramente uno scopo magico, poiché serve soprattutto per allontanare le epidemie (8) dalle famiglie e dal bestiame. Inoltre, elemento insieme distruttore e benefico, il “fucarone” è oggetto a un tempo di timore e di venerazione; l’accenderlo diventa una cerimonia sacra e si ha grande cura di custodirne la purità. Il “rito del fuoco” ha, quindi, in sostanza, un motivo sacrificale, nel senso che è finalizzato a ringraziare il Santo Protettore per i buoni raccolti delle campagne e, di conseguenza, per la floridezza dell’economia. In questa ottica si inserisce il simbolismo del centro(9), di cui si è già fatto cenno riguardo al simbolismo del “monte”, luogo deputato del “sacrificio archetipale” (10): infatti, come si è detto, è dal monte che l’albero viene sradicato ed è al “centro” della piazza che esso viene issato. Sull’originalità del “rito del fuoco” nel “majo” di Baiano all’interno delle feste del “maggio” si leggono queste note di Raffaele CorsoParrebbe, a prima vista, che nulla abbia di singolare questa costumanza, vestigio di <fuochi sacri> tra passati nella relgione cristiana con quella pagana: ma non è così, ove si consideri che gli elementi onde essa risulta e si svolga, il falò e il ‘majo’, si presentano, in tanti altri casi come due fatti distinti, mentre a Baiano sono associati e insieme combinati. Questa duplice categorie di cerimonie dovettero formare un tempo remoto, un solo rito, il quale, a poco a poco, per quel processo di disintegrazione che è nell’ordine delle cose, si sarebbe scomposto e frammentato, riducendosi ora alla sola rappresentazione del <focaraccio> rituale, ora a quella del ‘maggio’. La supposizione non è infondata, ove si tenga presente che in vari paesi e paeselli dell’Abruzzo, una regione non tanto discosta dall’Irpinia, il falò natalizio si prepara con la fiaccola di pino, di faggio, di ginepro, di tasso barbasso, con cui i popolani accompagnano le proprie donne alla messa notturna. Ma il majo non c’è. D’altra parte, laddove questo si consuma, il focaraccio non l’accompagna“.

Da queste note conclusive deduciamoaffermano gli studenti Giuseppe Buonaiuto e Pierluigi Romano della Prima C dell’Istituto Liceo Scientifico “E. Medi” di Cicciano, anno solastico 1982 – 1983 che il sistema culturale del ‘majo’ di Baiano si presenta da un lato come l’effetto di un lungo processo di sedimentazione, il quale affonda le sue radici nelle venerazione di divinità del fuoco e del focolare (Estia in Grecia e Vesta a Roma), dall’altro come uno di quei ‘relitti dell’ambiguo’, che è sopravvissuto, con la sua ‘organicità’ e ‘compattezza’, nel ‘processo di disintegrazione’ che è nell’ordine delle cose”.

Note dell’autore: 1) Ierofania: Indica qualche cosa che manifesta il sacro. 2) Orgia: Termine derivato dal greco “òrghia”, che significa “culto misterioso” o “misteri”; in genere veniva riferito ai culti di Demetra e di Bacco.

Note, a cura degli studenti della Ia C Liceo Scientifico E. Medi di Cicciano: 3) Dal greco “enthusiasmò” significa condizione derivante dalla presenza della divinità nell’animo, invasamento. Nella dimensione antropologica, indica una scarica frenetica di pulsioni inividuali e collettive. E’ in rapporto con l’orgia e la trance4) L’espressione deriva da Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, dio del vino, della gioia, dell’ebbrezza e del benessere fisico. Scacciato da Licurgo, re degli Edoni, e da Penteo, re di Tebe, girò per la Grecia con una schiera di “baccanti”, poi passò in Asia, giungendo fino in India e dappertutto introdusse il culto. Scese anche nell’Ade per condurre nell’Olimpo la madre Semele, morta nel darlo alla luce: evidenti sono i nessi Luce/Tenebre e Vita/Morte, che sono alla base di tanta parte della religione e della magia. A causa anche delle influenze asiatiche il suo culto assunse carattere orgiastico: chiassose e disordinate erano le feste in suo onore caratterizzate infatti da abbondanti libagioni di vino e dalla violazione delle norme erotiche5) Questo Natale è una festa nostra//che sveglia anche i Santi/provoca una febbre a tutti quanti/nelle vene di cantare. (6) E. B. Taylor, che fu il primo ad usare tale termine nell’accezione antropologia, la definì in “La cultura primitiva, 1871 ”quel complesso insieme, quella totalità che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità ed abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. La c. ha un aspetto inequivocabilmente storico; ”L’eredità sociale è il concetto-chiave dell’antropologia culturale”. Come “concezione del mondo e della vita” può essere “ufficiale” ed “alta” (delle classi o ceti dominanti) oppure “subalterna” (delle classi subalterne). 7) Deriva dal greco “syncretismò”, che indica in Plutarco (Moralia, 490) l’unione dei cretesi di fronte ad un comune nemico; è poi passato a significare una fusione di dottrine religiose e di livelli culturali diversi8) Significativo fu il ricorso alla processione di S. Stefano, santo del “majo” per ottenere protezione durante la funesta epidemia di “vaiolo nero”, che colpì la zona di Baiano nel 1903. 9) Omphalòs. Termine greco (in sancrito “nabhih” e in latino ”umbilicus”), che significa letteralmente “Ombelico”, ma anche “centro, punto centrale”. Ha un ruolo sacro: infatti nella tragedia greca è l’oracolo di Delfo ad essere chiamato “omphalòs ghès” = “ombelico”, centro della terra (Eschilo: Eumenidi, v. 40; Sofocle: Edipo re, v. 898; Euripide, Medea, v. 668). Il ruolo sacro di esso è stato studiato da M. Eliade in T.s.r.: In tutte le tradizioni l’ombelico è una pietra consacrata da una presenza sovraumana, è il luogo sacro per eccellenza, l’ombelico, che con il suo simbolismo garantisce una nuova nascita e una coscienza reintegrata. 10) In filosofia, termine usato nella tarda antichità ellenica, per indicare l’idea platonica, ossia il modello originario (in greco “archètipon”) delle forme, di cui le cose sensibili sono semplici copie. In psicoanalisi questo concetto è presente nelle teorie di C. G. Jung, per il quale “nell’inconscio sono presenti non soltanto le latenze rappresentazioni appartenenti originariamente alla coscienza del singolo individuo, ma anche le altre, che hanno un carattere universalmente umano e si attuano, oltre che nei sogni, nelle visioni e nei deliri dei singoli individui, anche nel simbolismo dei materiali mitologici e dei sistemi religiosi” (E.. G. f., p. 471). Nella storia delle religioni la categoria “archetipo” è stata adottata da M. Eliade in T.s.r.. L’aggettivo di “archetipo” è “archetipale”.